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giovedì 18 marzo 2010

Strumenti di tortura vendesi. Coinvolte anche cinque ditte italiane


di Umberto De Giovannangeli

Esportare strumenti atti alle torture. Affari che grondano sangue. Alcune aziende di Paesi europei, in particolare Germania e Repubblica ceca ma anche Italia, traggono profitto da un cono d'ombra giuridico che consente loro di vendere strumenti utilizzati per infliggere torture in almeno nove Stati del mondo che utilizzano disumani metodi d'interrogatorio. A denunciarlo è un rapporto di Amnesty International, l'organizzazione per la difesa dei diritti dell'Uomo con sede centrale a Londra. Fra questi «strumenti di tortura» figurano manette per appendere persone al muro, blocca-caviglie, batterie per somministrare scariche elettriche e «aerosol di prodotti chimici», serrapollici in metallo, viene precisato nel rapporto che sarà discusso oggi dalla sottocommissione per i diritti dell'Uomo del Parlamento europeo. «Fornitori di attrezzature per l'applicazione della legge in Italia e Spagna - si afferma nel rapporto - hanno promosso la vendita di “manette” o “manicotti” da elettroshock da usare su detenuti» con scariche anche da 50 mila volt.

Questi scambi illeciti sono proseguiti anche dopo il varo, nel 2006, di un bando europeo del commercio internazionale di attrezzature progettate per la tortura e i maltrattamenti. In Italia come in altri Paesi il traffico avviene, almeno ufficialmente, all'insaputa del governo che, riferisce Amnesty, ha «dichiarato di non essere a conoscenza» di alcun produttore o esportatore attivo in questo campo. In Italia, Finlandia e Belgio però - sempre secondo l'organizzazione per la tutela dei diritti umani - alcune società hanno dichiarato apertamente in interviste sui media o attraverso i propri siti web di fornire articoli messi al bando ma spesso prodotti in altri Paesi.

Sono cinque le aziende italiane che secondo il rapporto di Amnesty International sarebbero implicate nel commercio internazionale di strumenti tortura. A pagina 34 del rapporto di Amnesty, curato dalla fondazione di ricerca Omega e intitolato «Dalle parole alle azioni», è pubblicata una tabella nella quale vengono menzionate cinque compagnie italiane (Defence System Srl, Access Group srl, Joseph Stifter s.a.s/KG, Armeria Frinchillucci Srl e PSA Srl) coinvolte in un commercio internazionale di arnesi finalizzati alla tortura tra il 2006 ed il 2010. Insieme alle aziende italiane la tabella menziona tre compagnie belghe e due finlandesi. La società di Pero, in provincia di Milano, Defens System srl, citata nel rapporto di Amnesty respinge ogni accusa e fa sapere di preparare «una denuncia per diffamazione e calunnia nei confronti del responsabile di Amnesty Italia».

La replica: le aziende italiane «messe all'indice» nel rapporto hanno rigettato ogni accusa. «Stiamo preparando una denuncia per diffamazione e calunnia nei confronti del responsabile di Amnesty Italia», sottolinea Marc Busin, titolare della Defence System srl, società di Pero, in provincia di Milano. «Tutto quello che viene riferito nel rapporto non è in alcun modo riconducibile ai prodotti da noi commercializzati», dice Busin, spiegando di essere «importatore ufficiale ed esclusivista per l'Italia», quindi fornitore delle altre quattro aziende italiane citate nel rapporto, «di due prodotti che sono lo spray antiaggressione a base di peperoncino e il dissuasore elettrico: non proibiti, certificati e da anni in vendita nel Paese». Sulla stessa linea il titolare dell'Armeria Frinchillucci, situata in pieno centro a Roma. «Sono esterrefatto. È una cosa vergognosa. Tutto è in mano agli avvocati», afferma Massimo Moroni Frinchillucci. «Tutti i prodotti che commercializziamo - rimarca ancora Busin - sono passati più volte al vaglio delle autorità competenti e sono sempre stati ritenuti strumenti non atti all'offesa, quindi di libera vendita e libero porto sul territorio italiano, sulla base di varie sentenze, l'ultima definitiva del Tar Lazio del 2008...». Un ulteriore problema, infine, è messo in rilievo nel rapporto di Amnesty. Dei 27 Paesi membri dell'Ue, «dieci non hanno intrapreso alcuna attività» per informare i cittadini del regolamento europeo e delle sanzioni previste. E tra gli Stati inadempienti, figura anche l'Italia.

Il rapporto diffuso da Amnesty International e ORF - sottolinea Riccardo Noury, portavoce per l'Italia di Amnesty - mette in evidenza zone d'ombra e carenze di trasparenza e controllo, tali da non poter escludere che, nonostante il Regolamento emanato dall'UE nel 2005, l’Italia possa prendere parte al “commercio della tortura” ». L’Italia, incalza Noury, «è tra i venti Paesi dell'Ue a non aver fornito, come invece prevede l'art. 13 del Regolamento, informazioni sulle licenze all'esportazione di materiali di sicurezza e di polizia. L'Italia ha inoltre dichiarato di non essere a conoscenza di aziende italiane che commercializzino materiali descritti dal Regolamento.

Amnesty non ha prove del contrario, ma il fatto che, dal 2006 al 2010, cinque aziende italiane abbiano commercializzato prodotti quali bastoni stordenti, pistole elettriche, manette serrapollici e altri ancora, magari anche saltuariamente ma destinati non si sa a chi, rende impellente la richiesta di maggiori controlli per escludere che l'Italia prenda parte in questo modo al proliferare della tortura nel mondo». «Non mi meraviglia che possano accadere queste cose nel nostro Paese - osserva a sua volta Sergio D’Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino - visto che da 20 anni nella legislazione italiana non è stato introdotto il reato di tortura come previsto dagli impegni che l'Italia ha assunto quando ha sottoscritto l’adesione alla convenzione Onu contro la tortura». «A noi non risultano esportazioni di strumenti di tortura, per questo chiederemo alle Dogane italiane se hanno avuto notizie al riguardo e siamo pronti ad applicare le sanzioni penali ed amministrative previste a quelle imprese italiane che hanno volutamente violato la legge», commenta Adolfo Urso,viceministro allo Sviluppo Economico con delega al Commercio Estero.

1 commento:

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