In Etiopia esiste una pratica culturale molto diffusa: il matrimonio forzato. Fino al 2003 il 69 per cento dei matrimoni era frutto di un sequestro.
L’uomo sceglieva la donna, la rapiva e la violentava. La mattina dopo lei diventava ufficialmente sua moglie. Non poteva né scappare né tornare dalla sua famiglia perché una donna che ha perso la verginità non ha altra scelta se non restare con l’uomo che l’ha stuprata. Questa è per esempio la storia di Nurame, racconta l’Independent, rapita all’età di otto anni e diventata schiava del marito. Ma è anche la storia di tante donne che sono tutt’ora costrette a vivere senza poter scegliere ciò che vogliono e condurre una vita dignitosa.
Nel 2005 il matrimonio forzato è stato dichiarato ufficialmente illegale e chi rapisce una donna dovrebbe finire in prigione. La legge tuttavia, spiega l’Independent, non tutela le zone più povere del paese. Lo dimostra il caso di una tredicenne che si è rivolta al tribunale del suo villaggio per sottrarsi al matrimonio illegale. Il giudice ha respinto l’accusa dicendo che l’uomo aveva rapito legalmente la giovane perché l’amava.
Ma qualcosa sta cambiando. Ci sono donne che riescono a trovare la forza per ribellarsi, come Boge Gebre. È stata la prima ragazza del suo villaggio ad avere un titolo di studio. Da giovane è riuscita a scappare e ora ha fondato un’associazione a Kembatta, la città in cui vive.
Alle assemblee della Kmg (Le donne di Kembatta insieme) partecipano anche gli uomini e le donne possono parlare liberamente di tutto quello che hanno sofferto. Vengono anche trasmessi i terribili filmati di pratiche infibulatorie e alcuni uomini cominciano ad avere qualche ripensamento. Alemu Kinole è uno di questi.
Era uno degli uomini più temuti di Kembatta, un rapitore di donne. Eppure oggi quando cammina per strada tutte lo salutano e lo ringraziano: ha salvato molte di loro o della loro famiglia. Da quando partecipa alle assemblee della Kmg si sente diverso. Non accetta i matrimoni forzati e pensa che gli uomini debbano cominciare a cambiare. E forse comincia a essere possibile.
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