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mercoledì 10 febbraio 2010
LAICITà. L’ALTRA FACCIA DEI DIRITTI UMANI
Mai come negli ultimi tempi abbiamo sentito tante volte l’espressione diritti umani sulla bocca di esponenti delle gerarchie vaticane. Dal caso Englaro, alla depenalizzazione dell’omosessualità, ai 60 anni della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, non c’è stato un solo giorno in cui non abbiamo sentito un richiamo al primato della morale (cattolica) travestito degli abiti, laicamente più comodi, del diritto naturale. Ora il problema è che questo abito apparentemente comodo è una camicia di Nesso. Con l’espressione diritto naturale non ci si riferisce di certo a quello a cui si riferiva Grozio. Non si tratta infatti di argomentazioni basate sulla ragione, bensì dell’applicazione normativa della morale cattolica. Oppure, i principi del cattolicesimo si possono discutere? In tal caso non sarebbero più dei principi. La Chiesa cattolica è espressione di verità, oppure, è un’opinione? Può essere posta in discussione? Senza dubbio ci troviamo nel primo caso, ossia nell’ambito della «verità». Diversamente, dovremmo poter immaginare un Papa che cambia idea sulle unioni omosessuali, sulla legge del divorzio, riguardo alla legge sull’aborto, sul controllo delle nascite eccetera. In questo senso le religioni dogmatiche sono conservatrici per definizione: non vi può essere un Papa “progressista”, poiché non può porre in discussione principi che non dipendono da lui.
A prescindere dall’essere favorevoli o contrari su queste o altre questioni, un laico non deve rispondere a problemi in base a una ricerca della giusta interpretazione di un dogma, ma ragionare sulla bontà o meno di un’idea in quanto tale. Essere laici implica il circoscrivere la propria fede a un fatto di coscienza individuale; essere laici significa cercare di risolvere problemi tentando di concepire la migliore legge possibile in funzione della collettività, e non di imporre la propria fede, in funzione di un dogma (indiscutibile in quanto tale), sugli altri. Ciò non equivale a un “relativismo” spicciolo, dove ogni opinione è uguale a un’altra, ci si pone invece nella condizione di pensare leggi in grado di rispondere a una data esigenza, al fine di regolamentare al meglio la vita di una comunità di individui. Per far questo non è necessario fondare un’etica.
Con questo non vogliamo dire che la Chiesa cattolica debba tacere su aspetti della vita considerati fondamentali per la propria missione salvifica, anzi, la possibilità di esprimersi su diverse tematiche è parte integrante del gioco democratico. Eppure, sembra che manifestare una posizione contraria a quella della Chiesa cattolica, per molti politici – anche di sinistra –, significhi esporsi a un costo intollerabile in termini di perdita di consenso. Perciò, tra battersi per il rispetto della dignità della persona (quali la cessazione delle cure di fine vita, l’abolizione della pena di morte per gli omosessuali nel mondo, l’estensione del matrimonio alle persone dello stesso sesso) e il consenso, sarà più saggio e conveniente – a loro giudizio – scegliere il secondo.
La seconda spiegazione (meno evidente) è che nel nostro Paese abbiamo da sempre delegato alla Chiesa cattolica il campo dell’etica, come se fosse una sua prerogativa esclusiva. All’attuale pontefice – che tanto bene conosce l’Italia – ciò è chiarissimo, al punto da aver ribadito non solo che la divisione tra Stato e Chiesa (bontà sua!) è giusta, ma che a quest’ultima spetta un primato sull’etica. Insomma, un’etica laica sembrerebbe non esistere.
Ora, mentre la prima spiegazione, purtroppo, si lega a uno scarso senso delle istituzioni da parte della classe dirigente politica italiana, la seconda spiegazione è assolutamente inconsistente dal punto di vista giuridico. Non si vuole qui sostenere che un ordinamento giuridico sia insensibile a scelte valoriali, il punto è che tali scelte sono state compiute dal legislatore Costituente e vanno via via tradotte in norme e prassi interpretative che seguano questa unica direzione: il rispetto del diritto di ciascuno a realizzare se stesso (art. 2 cost.) autodeterminandosi nelle proprie scelte di vita (art. 13 cost.).
Quello che la Corte costituzionale definisce il principio supremo della laicità, comporta che a tali valori e non a quelli di una confessione religiosa (almeno sulla carta maggioritaria) si dia la prevalenza nell’agone politico nell’amministrazione della giustizia. Ferma ovviamente la libertà dei cattolici di autodeterminarsi nelle proprie scelte di vita alla luce delle Sacre scritture.
Tra l’atteggiamento della Santa sede e quello di uno Stato laico c’è questa differenza: seguendo le direttive vaticane i cattolici hanno il pieno diritto di conculcare la libertà di coloro che non la pensano allo stesso modo; seguendo il modello di uno Stato laico a tutti viene data la possibilità di essere liberi, rimanendo i cattolici nel pieno diritto di conformare la propria vita alla loro fede.
Chissà se anche in Italia – come è accaduto qualche giorno fa in Spagna – ci sarà un giudice che avrà il coraggio di ordinare che i crocifissi vengano tolti dagli edifici pubblici? Per il momento l’unico giudice che si è rifiutato di tenere udienza a Camerino perché in un’aula c’era un crocifisso ha subito una condanna a 7 mesi e a un anno di interdizione dai pubblici uffici per omissione di atti di ufficio e interruzione di pubblico servizio, oltre a varie sanzioni disciplinari dal CSM. È solo un esempio, un episodio tratto dalla cronaca, che suona paradossale per uno Stato laico, mentre è assolutamente coerente con uno Stato confessionale.
Francesco Bilotta – ricercatore di diritto privato nell’Università di Udine.
Luca Taddio – Partito Socialista Fvg / Radicali Italiani
giovedì 29 gennaio 2009 , di http://www.gaynews.it/view.php?ID=80610
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