Dal 26 febbraio al 3 marzo in Triennale una mostra dedicata alla star. La maison Ferragamo e gli eredi celebrano una donna eccentrica e irraggiungibile, ammaliatrice e misteriosa. Che colleziona scarpe e Picasso, frequenta circuiti intellettuali e ama l’Italia. Ma, soprattutto, divinamente contemporanea
Gli abiti, la moda furono intrecciati alla vita e al mito di Greta Garbo fino dai suoi primi passi, in una sorta di premonizione del destino che avrebbe fatto di lei la “divina”. Raccontano le cronache, infatti, che la diciassettenne ragazza di Stoccolma (al tempo si chiamava ancora Greta Lovisa Gustafsson) era impiegata ai grandi magazzini Pub quando il regista Erik Petschler entrò nel reparto modisteria con l’intenzione di comprare dei cappelli per il suo nuovo film. A servirlo fu Greta e i due diventarono subito amici; così la fanciulla, dopo una serie di foto pubblicitarie, debuttò nel cinema. La notorietà, però, iniziò dall’incontro con Mauritz Stiller, il più dotato regista svedese dell’epoca, che la convinse anche a mutare il suo poco musicale cognome in Garbo. Sbarcata a Hollywood, la giovane attrice svedese doveva diventare in breve la diva più osannata di tutti i tempi, la mitica “femme fatale” dal fascino androgino, ammaliatrice e irraggiungibile, assurta a simbolo del mistero della femminilità. Garbo fu la dea dell’amore destinata a una fine tragica: spia e traditrice (“Mata Hari”), prostituta o cortigiana di lusso (“Camille”, dove è Margherita Gauthier), talvolta a tendenze suicide (“Destino”, “Anna Karenina”), molte volte adultera, ma sempre riscattata da una grande passione e da una dolorosa espiazione. Alla messa in scena della femminilità che Garbo officiava film dopo film, facendo di lei una donna sovranamente aristocratica e lontana, contribuirono in maniera decisiva le toilette del celebre costumista Adrian, che si licenziò dalla Metro Goldwyn Mayer per non eseguire l’ordine di “americanizzarla”. Hollywood inventò per lei un personaggio nuovo, con cui sostituì i due tipi fino ad allora predominanti della vamp peccaminosa e dell’ingenua destinata al sacrificio: la donna sofisticata, emancipata e tuttavia destinata all’amore.
Un’immagine coerente con le sue passioni amorose nella vita, reali o immaginarie: dal pigmalione Stiller al divo John Gilbert, a gay conclamati che avrebbe “convertito”, come il fotografo Cecil Beaton o il dietologo Gayelord Hauser. E ciò malgrado l’accompagnasse una costante fama di omosessualità, in particolare per la sua (quarantennale) love story con la baronessa Cécile de Rothschild. Risolutamente contraria al matrimonio, non si sposò mai: anzi, piantò da un giorno all’altro John Gilbert per avere annunciato le loro prossime nozze, di cui erano già state fatte le pubblicazioni. Garbo intercettava le mode (chi non ricorda il basco della “Carne e il diavolo” o il pigiama di “Grand Hotel”?) e contemporaneamente le dettava, trasformandone in merchandising i costumi di scena. La sua leggenda, paradossalmente alimentata proprio da uno scontroso riserbo (detestava le interviste e la pubblicità, evitava le occasioni mondane), le permise anche di attraversare indenne il passaggio dal cinema muto al sonoro, confine su cui caddero molte dive dell’epoca. Nel suo primo film sonoro, “Anna Christie”, preceduto dal celebre slogan “Garbo Talks!”, Greta pronunciava una frase destinata a restare negli annali: “Jimmy, un whisky con ginger-ale a parte.E non fare l’avaro, baby…”. Era il 1929. Dieci anni dopo la diva (questa volta i cartelloni annunciavano a caratteri cubitali: “Garbo ride!”) fu la protagonista di una memorabile commedia, “Ninotchka”; ma il film seguente, “Non tradirmi con me”, si rivelò un insuccesso e convinse la Garbo a lasciare per sempre il cinema, all’età di soli 36 anni. Vivrà un altro mezzo secolo restandone sempre lontana; benché, periodicamente, la stampa ne annunci il grande ritorno. La sua assenza non fa che alimentare il mito. Eppure l’attrice degli abiti costosissimi, dei veli e dei satin che Adrian creava per lei (celebri fra tutte le mise disegnate nel 1937 per “Margherita Gauthier”), si è trasformata in una donna semplice, perfino un po’ trascurata, che indossa maglioni e scarpe basse e cela il volto sotto gli occhiali scuri e la tesa di cappelli sgraziati. Malgrado le indimenticabili immagini in cui somiglia a un’eterea figura di Klimt, in realtà, Greta aveva amato particolarmente i personaggi androgini, come la “Regina Cristina”, travestita in abiti maschili, e aveva sognato d’interpretare Giovanna d’Arco, una donna capitano della Marina mercantile norvegese e perfino un uomo, il Dorian Gray di Wilde.
(Pubblicato il 22 febbraio 2010)di Roberto Nepoti - Foto per getile concessione del Greta Garbo Estate. Greta Garbo Family
fonte:http://velvet.repubblica.it/dettaglio/greta-garbo-mistero-e-stile/67048
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