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lunedì 4 ottobre 2010

Sarà ballottaggio in Brasile. Il duello fino all'ultimo voto Rousseff-Serra.

Pur essendo la più votata, la 62enne Rousseff si è fermata sotto la soglia del 50% (ovvero al 46%) ora dovrà vedersela con il suo principale avversario, il socialdemocratico José Serra.

Per conoscere quindi il nome del prossimo capo dello Stato del colosso sudamericano bisognerà aspettare il 31 ottobre, data nella quale è previsto il secondo turno, e cioè il duello fino all'ultimo voto Rousseff-Serra.

Serra (68 anni) ha avuto un lusinghiero 33% mentre Marina Silva - la candidata del Partito Verde - ha incassato quasi il 20% dei consensi, al di sopra delle aspettative, confermando così di essere la vera sorpresa della giornata.

Il Brasile di Dilma fa paura agli Stati Uniti


225px-Dilma_Rousseff_2010“Una ex-guerrigliera alla guida del Brasile”, è il titolo del Wall Street Journal su Dilma Rousseff. Ma più del passato della neo-presidente, è il futuro che preoccupa gli Stati Uniti. Impreparati a un inedito “condominio” col Brasile, la neo-potenza che sfida la loro egemonia sul continente americano.

Altro che Fidel Castro o Hugo Chavez, il Brasile è un vero colosso economico, giustamente associato a Cina India e Russia nella sigla Bric che fu coniata dalla Goldman Sachs. Senza gli estremismi cubano o venezuelano, il Brasile s’impone tuttavia con una politica estera autonoma. A volte sgradevolmente antagonista a quella di Washington: come non bastasse la crescente integrazione economica con la Cina, da Brasilia sono partite inziative di dialogo con l’Iran che per la Casa Bianca sono un’eresìa.

Visto dal Nord questo Brasile è uno strano animale, di cui ancora non si sono “prese le misure” adeguatamente. Il tono con cui il Wall Street Journal rovista nel passato della Rousseff è emblematico dei sospetti che l’establishment Usa nutre nei confronti della nuova leader. “Nel suo curriculum vitae c’è anche la lotta armata, rapine in banca per finanziare la guerriglia, tre anni di carcere per sovversione dello Stato”.

Salvo ricordare, quasi di sfuggita, che tutto questo accadeva quando il suo paese era sotto il giogo di una dittatura militare appoggiata da Washington. Poi i dettagli più leggeri: “Per cambiare la sua immagine di rivoluzionaria si è fatta la chirurgia estetica, le lenti a contatto, e una pettinatura più adatta a una presentatrice televisiva”.

Un disagio analogo, da parte degli Stati Uniti, accolse alle origini l’avvento del “padre politico” della Rousseff, il presidente uscente Luiz Ignacio Lula da Silva, anche lui altamente sospetto per le origini marxiste e la lunga carriera da sindacalista. Oggi però almeno su Lula il Wall Street Journal è costretto a cambiar tono, elogiandone il “pragmatismo” e la “popolarità immensa”.

Difficile evitare i paragoni tra Stati Uniti e Brasile, nella performance economica e sociale. Sotto la guida di Lula il gigante sudamericano ha sollevato 35 milioni di cittadini dalla povertà e ne ha fatto un nuovo pezzo di middle class. Proprio mentre negli Stati Uniti la crisi distruggeva 8 milioni di posti di lavoro e la percentuale dei cittadini sotto la soglia della povertà superava ogni record storico.

Lula è riuscito a lanciare quel New Deal che il Congresso ha negato a Obama: le grandi opere infrastrutturali, dalle dighe per le centrali idroelettriche all’alta velocità ferroviaria, procedono molto più spedite in Brasile che negli Stati Uniti. L’economia del colosso del Sud quest’anno crescerà oltre l’8%, quella degli Stati Uniti è più vicina alla crescita zero. Sono questi i paragoni che contano, gli stessi che orientano le scelte degli investitori.

Il real, la moneta brasiliana, ha guadagnato il 30% sul dollaro. “La più sopravvalutata del mondo”, la definiscono gli economisti di Goldman Sachs secondo i quali il real vale il 55% in più di quello che sarebbe un cambio di equilibrio. La ragione sta nella fiducia degli investitori, inclusi quelli degli Stati Uniti, che continuano a esportare capitali in Brasile. Anche denaro caldo, speculativo: il cosiddetto carry-trade consiste nell’indebitarsi in dollari (costa poco) per investire in Brasile dove il rendimento a breve ha raggiunto il 10,75%.

La fiducia degli stranieri include le imprese di Stato brasiliane come l’ente energetico Petrobras che ha appena finito con successo il collocamento di 70 miliardi di dollari di azioni. San Paolo secondo i rilevamenti di Marsh & McLellan è “la città più cara del mondo, molto più di Manhattan”.

Moneta forte e inflazione possono danneggiare le esportazioni brasiliane, dalle materie prime alle derrate agricole. Si teme perfino un inizio di “deindustrializzazione”: il miracolo Lula non è fatto solo di export di risorse naturali verso la Cina, c’è dietro anche il decollo tecnologico di un Brasile che esporta perfino aerei.

“La Rousseff non potrà limitarsi a continuare le politiche di Lula – osserva Thomas Trebat della Columbia University – perché un prezzo del successo è l’aumento delle aspettative, delle domande sociali”. Per ora il prezzo del successo brasiliano lo pagano gli Stati Uniti: costretti a condividere con un vicino ingombrante il ruolo imperiale anche sul proprio continente.


Fonte:http://www.ansa.it/web/notizie/photostory/primopiano/2010/10/04/visualizza_new.html_1756516425.html

http://rampini.blogautore.repubblica.it/

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