Amnesty, il mondo a Rapporto

Diritti negati, anche l’Italia nel mirino. E Frattini perde le staffe

I diritti umani nel 2009? Violazioni in 159 Paesi, secondo Amnesty International, che ieri a Roma ha presentato il suo Rapporto (edito da Fandango Libri) e puntato il dito contro “quei governi potenti che stanno bloccando i passi avanti della giustizia internazionale, ponendosi al di sopra delle norme sui diritti umani, proteggendo dalle critiche gli alleati e agendo solo quando politicamente conveniente”.

La repressione e l’ingiustizia “prosperano nelle lacune della giustizia globale, condannando milioni di persone a una vita di violazioni, oppressione e violenza”, ha spiegato Christine Weise, presidente della Sezione Italiana dell’associazione. “I governi – ha proseguito – devono assicurare che nessuno si ponga al di sopra della legge e che ogni persona abbia accesso alla giustizia, per tutte le violazioni dei diritti umani subite: fino a quando non smetteranno di subordinare la giustizia agli interessi politici, la libertà dalla paura e dal bisogno rimarrà fuori dalla portata della maggior parte dell’umanità”.

Le “lacune della giustizia”, secondo Amnesty, “hanno rafforzato un pernicioso reticolo di repressione”: torture e altri maltrattamenti sono la prassi in almeno 111 Paesi, i processi iniqui rappresentano un’intollerabile norma in almeno 55 Stati, le restrizioni alla libertà di parola riguardano almeno 96 Paesi e le detenzioni di prigionieri “di coscienza” ne caratterizzano ben 48.

Se “in Medio Oriente e in Africa del Nord – spiegano i rappresentanti di Amnesty – l’intolleranza dei governi nei confronti delle critiche è stata sistematica in Arabia Saudita, Siria e Tunisia e la repressione è aumentata in Iran, in Asia il governo della Cina ha esercitato ancora più pressione verso chi provava a sfidare la sua autorità, attraverso arresti e intimidazioni di difensori dei diritti umani. Migliaia di persone, a causa della forte repressione e delle difficoltà economiche, hanno lasciato la Corea del Nord e Myanmar”.

Mentre “lo spazio per le voci indipendenti e per la società civile” si è ridotto anche “in alcune parti della regione Europa e Asia centrale: inique limitazioni alla libertà d’espressione hanno avuto luogo in Azerbaigian, Bielorussia, Russia, Turchia, Turkmenistan e Uzbekistan. Il continente americano è stato tormentato da centinaia di omicidi illegali commessi dalle forze di sicurezza in vari paesi tra cui Brasile, Colombia, Giamaica e Messico, mentre negli Stati Uniti d’America è proseguita l’impunità per le violazioni dei diritti umani compiute nel contesto della lotta al terrorismo. Governi africani, come quelli di Guinea e Madagascar, hanno affrontato il dissenso con un uso eccessivo della forza e omicidi illegali, mentre le voci critiche sono state oggetto di repressione, tra gli altri, in Etiopia e Uganda.

Nel conflitto di Gaza e del sud d’Israele, “le forze israeliane e i gruppi armati palestinesi hanno ucciso e ferito illegalmente i civili. Migliaia di persone hanno subito le conseguenze dell’escalation di violenza da parte dei talebani in Afghanistan e Pakistan, così come degli scontri in Iraq e Somalia. Nella maggior parte dei conflitti, le donne e le bambine sono state stuprate o sottoposte ad altre forme di violenza da parte delle forze governative e dei gruppi armati”.

Sul terreno delle scelte politiche, Amnesty International, attraverso la stessa Christine Weise, sostiene che “i governi devono essere chiamati a rispondere per le violazioni dei diritti umani che causano e aumentano la povertà. La Conferenza Onu di revisione degli Obiettivi di sviluppo del millennio, che si terrà a New York a settembre, costituirà un’opportunità per i leader del mondo per passare dalle promesse a impegni vincolanti”.

Impegni che andrebbero assunti anche nei confronti delle popolazioni femminili, essendo noto (ma non interessa a molti) che “sulle donne, in particolare quelle povere, si abbatte il peso dell’incapacità dei governi di realizzare questi obiettivi”. L’associazione per i diritti umani ha stimato che le complicazioni legate alla gravidanza siano costate la vita a circa 350mila donne. Inoltre, “la mortalità materna è spesso la conseguenza diretta della discriminazione di genere, della violazione dei diritti sessuali e riproduttivi e della negazione del diritto alle cure sanitarie”.

Amnesty ha chiesto agli Stati del G20 ancora inadempienti (Arabia Saudita, Cina, India, Indonesia, Russia, Stati Uniti d’America e Turchia) di ratificare lo Statuto della Corte penale internazionale e non ha omesso, nel suo Rapporto, qualche buona notizia: “In America Latina sono state riaperte inchieste su crimini coperti da leggi di amnistia, come dimostrano le epocali sentenze riguardanti l’ex presidente del Perù Alberto Fujimori, condannato per crimini contro l’umanità, e l’ultimo presidente militare dell’Argentina Reynaldo Bignone, condannato per sequestri e torture. Tutti i processi celebrati dalla Corte speciale per la Sierra Leone si sono conclusi salvo quello, ancora in corso, contro l’ex presidente della Liberia, Charles Taylor”.

Per quanto riguarda il nostro Paese, nell’aggiornamento del Rapporto relativo ai primi cinque mesi del 2010 emergono tutti i forti limiti nelle politiche di accoglienza. In particolare, riguardo ai diritti di migranti e richiedenti asilo, Amnesty ha denunciato le possibili conseguenze del cosiddetto ‘pacchetto sicurezza’: “La legge potrebbe dissuadere gli immigrati irregolari dal denunciare i reati subiti e ostacolare il loro accesso a istruzione, cure mediche e altri servizi pubblici per timore di denunce”. Inoltre, “nell’aprile 2009 le disquisizioni di diritto internazionale marittimo tra Italia e Malta sono state anteposte al salvataggio in mare di 140 migranti ei richiedenti asilo messi in salvo dalla nave cargo Pinar”. Non a caso, la politica dei rinvii forzati “ha provocato una drastica riduzione delle domande d’asilo presentate all’Italia, passate da 31mila del 2008 alle circa 17mila del 2009″. Le ‘raccomandazioni’ che denunciano la violazione dei diritti degli immigrati, dei rifugiati e dei richiedenti asilo ammontano a 90, e a gennaio di quest’anno il gruppo di lavoro della Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria ha criticato il nostro Paese per i centri di identificazione ed espulsione.

Le note dolenti, nel Belpaese, non finiscono qui: il Rapporto cita i casi di discriminazione dei Romanì “in diverse città, tra cui Milano e Roma, gli sgomberi forzati illegali con il conseguente aggravarsi delle condizioni di povertà”. Si sofferma inoltre sul caso-Rosarno del gennaio scorso: “Sussite il timore che le cause di fondo di quei fatti risiedano, da un lato, nel massiccio sfruttamento dei migranti impiegati nell’agricoltura e, dall’altro, nella mancata adozione da parte delle autorità italiane di misure concrete per contrastare la xenofobia in aumento in tutto il Paese”.

Preoccupano anche “l’incremento dei crimini basati sull’intolleranza” nei confronti delle persone Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) e la perdurante assenza “di uno specifico reato di tortura nel codice penale”. Sono pervenute infatti all’associazione “frequenti denunce di tortura e di altri maltrattamenti commessi da agenti delle forze dell’ordine, nonchè segnalazioni di decessi avvenuti in carcere in circostanze controverse”.

Tra le annotazioni di Amnesty International, quella sui respingimenti ha fatto letteralmente perdere le staffe al ministro degli Esteri Frattini: “L’Italia è certamente il Paese europeo che ha salvato più persone in mare – ha spiegato da Caracas – si tratta di un Rapporto indegno che respingo al mittente, indegno per il lavoro dei nostri uomini e delle nostre donne delle forze di polizia che ogni giorno salvato le persone, tutto il contrario di quello che dice Amnesty”.

L’associazione, dal canto suo, non arretra di un passo: “E’ in vigore il reato di clandestinità – ha sostenuto Giusy D’Alonzo, che si è occupata del caso-Italia – che allontana l’immigrato dalle istituzioni al punto che se è testimone o subisce un reato, non può denunciarlo. C’è una politica di respingimenti come quella con la Libia, che non tiene conto della questione dei diritti umani. Sono anni che solleviamo l’attenzione sui rapporti diplomatici fra Italia e Libia. Nulla si sa delle 800 persone che sono state riconsegnate a quel Paese”.

di Paolo Repetto

fonte:http://www.inviatospeciale.com/2010/05/amnesty-il-mondo-a-rapporto/

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