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venerdì 31 ottobre 2025

Rio em Sangue: La favela sotto assedio, lo Stato in silenzio


28 ottobre 2025. Rio de Janeiro si sveglia nel terrore. Nel cuore dei complessi di Penha e Alemão, 2.500 agenti armati irrompono all’alba. Droni con esplosivi, blindati, sparatorie a ritmo di 200 colpi al minuto. Il bilancio è devastante: oltre 130 morti, tra cui quattro poliziotti e decine di civili. I residenti raccolgono i corpi dei propri cari, li allineano per strada, mentre il governatore Cláudio Castro celebra il “successo” dell’operazione in diretta TV.

 La guerra non dichiarata contro i poveri


Questa non è una lotta al narcotraffico. È una guerra sociale. La polizia agisce secondo una teoria non scritta: gli abitanti delle favelas sono “contaminabili” dal crimine, quindi non meritano fiducia né prossimità. La repressione è l’unica risposta. Ma la realtà è ben diversa: la mancanza di politiche strutturali di sicurezza pubblica, la disuguaglianza sociale e il mercato lucrativo della droga alimentano l’espansione delle fazioni criminali.

Comando Vermelho e PCC: la radice del potere armato


Il Comando Vermelho, nato negli anni ’70 nelle carceri di Rio, oggi domina il 18% della regione metropolitana. Il PCC, originario di São Paulo, estende la sua influenza. Secondo l’Istituto Fogo Cruzado e il GENI dell’Università Federale Fluminense, nel 2023 il numero di territori controllati da gruppi armati è raddoppiato. La criminalità non si indebolisce: si organizza, si espande, si radica.

 La politica che sorride al crimine

Il consigliere comunale Thiego Raimundo dos Santos Silva, alias TH Joias, è stato arrestato per traffico d’armi. In un video virale, appare accanto al governatore Cláudio Castro, sostenitore di Bolsonaro. Mentre i bolsonaristi attaccano Lula per un berretto CPX (che non ha nulla a che fare con il crimine), tacciono di fronte a un alleato politico circondato da accuse gravissime. L’ipocrisia è un eufemismo.

 La strategia del vittimismo e la complicità istituzionale

Cláudio Castro, con una mossa irresponsabile e politicamente astuta, ha cercato di scaricare la colpa della propria incompetenza sul governo federale. Si è presentato come vittima, cercando di giustificarsi con un ambiguo: "Non è esattamente quello che intendevo". Ma le immagini dei corpi allineati davanti alla favela parlano chiaro: non è una vittoria, è una carneficina.

Lo stesso Castro ha presentato ricorso per revocare il divieto di costruzione della raffineria Refit, nonostante sospetti di legami con le organizzazioni criminali CV e PCC. La cocaina che alimenta il Comando Vermelho arriva dalla Colombia e transita per Goiás e Minas Gerais, governati da esponenti dell’estrema destra (Zema e Caiado). La polizia in quegli stati non fa il suo lavoro? Allora perché la piattaforma politica di Cláudio Castro si erge sulle bare delle vittime?

La narrazione tossica dei media di destra

TV Brasil, ICL Notícias, TV 247 e altri canali indipendenti hanno mostrato la verità dietro il massacro: famiglie distrutte, bambini traumatizzati, città paralizzata. Ma i media mainstream celebrano l’operazione come una “vittoria”. Non è una vittoria. È una tragedia nazionale. La Corte Suprema e l’ONU chiedono indagini. La Chiesa denuncia: “La vita è sacra, va sempre difesa”.

 La sicurezza pubblica è responsabilità dello Stato

Il governatore è Cláudio Castro, sostenitore di Bolsonaro. La sicurezza pubblica è competenza dello Stato, ma la colpa viene attribuita a Lula. Rio de Janeiro è governata da anni da esponenti della destra radicale, e il risultato è sempre lo stesso: bagni di sangue e rafforzamento della criminalità organizzata. E sono proprio loro ad opporsi all’Emendamento sulla Sicurezza proposto da Lula.

Applaudire con "CONGRATULAZIONI, GOVERNATORE" è disgustoso. Cláudio Castro dovrebbe essere messo sotto accusa e processato. Non sanno nemmeno chi hanno ucciso.

 Conclusione: il Brasile non è finito

La barbarie è stata così oltraggiosa che guardare le immagini ha fatto sentire tutti un po’ morti dentro. Non è la società ad essere malata. È una minoranza di milionari e politici corrotti che pianifica, esegue e celebra la violenza. Il Brasile non è finito. Ma Rio de Janeiro ha bisogno di verità, giustizia e cambiamento.

Fonte: G1 - 



“La carne nera è la più economica del mercato”: Sudan, il genocidio che non fa notizia

Una madre sudanese stringe i suoi figli in mezzo alla paura.
Seduta su una tavola di legno, circondata dal silenzio e dalla tensione, cerca di proteggere ciò che ha di più prezioso: i suoi bambini. I loro occhi parlano di terrore, ma anche di resistenza. In uno scenario di guerra e abbandono, questo gesto diventa un atto di coraggio. La guerra non ha volto, ma ha voci. E queste voci chiedono di essere ascoltate

Nel cuore del Darfur, la città di El-Fasher è caduta. Dopo 18 mesi di assédio, le Rapid Support Forces hanno preso il controllo. Ospedali distrutti. Civili disarmati giustiziati. Fame usata come arma. Eppure, nessun titolo in prima pagina. Nessuna breaking news. Nessuna indignazione globale.

La frase cantata da Elza Soares — “A carne mais barata do mercado é a carne negra” — non è solo una metafora. È una diagnosi. È la fotografia brutale di un mondo che continua a trattare i corpi neri come sacrificabili, invisibili, irrilevanti.

🔴 30 milioni di persone colpite. 
🔴 17 milioni di bambini senza scuola.
🔴 Esecuzioni di massa documentate da immagini satellitari e video. Ma il mondo scrolla. Passa oltre. Perché?

Perché la morte nera non fa rumore. Perché il dolore africano non vende. Perché il razzismo sistemico decide chi merita compassione e chi no.

Questo non è solo silenzio. È complicità. È disumanizzazione. È razzismo.

Sudan: non è una guerra tra idee. È una guerra tra poteri nudi.

Nel Sudan non si combatte tra destra e sinistra. Non ci sono visioni opposte, programmi politici, ideali da difendere. Si combatte per il potere. Per il controllo. Per il dominio.

Da una parte, l’esercito regolare (SAF). Dall’altra, i paramilitari delle RSF. Entrambi musulmani sunniti. Entrambi ex alleati nel colpo di stato del 2021. Ora nemici. Non per ideologia, ma per ambizione.

🔴 Nessuna parte difende la democrazia. 
🔴 Nessuna parte protegge i civili. 
🔴 Nessuna parte propone un futuro. Solo violenza. Solo fame. Solo morte.

Il Darfur è diventato un laboratorio di atrocità:

Esecuzioni di massa


Stupri su base etnica


Bambini affamati, donne bruciate vive


Ospedali distrutti, città assediate

Questa non è una guerra civile. È una guerra predatoria. È il collasso di uno Stato divorato da chi doveva difenderlo.

E mentre i corpi neri vengono massacrati, il mondo tace. Perché non c’è ideologia da difendere. Non c’è petrolio da proteggere. Non c’è interesse da salvare.

Ma ci sono vite. Ci sono madri che proteggono i figli sotto le bombe. Ci sono bambini che piangono in campi profughi. Ci sono popoli che resistono.

Siamo pronti a scendere in piazza per il Sudan?


Fonti rilevanti

Il Metropolitano – “Darfur sotto assedio: il Sudan chiede un’indagine ONU sul genocidio ad Al Fasher” Il Sudan ha chiesto formalmente al Consiglio di Sicurezza dell’ONU di aprire un’indagine sul genocidio in corso. L’OMS ha denunciato l’uccisione di oltre 460 civili e il rapimento di sei operatori sanitari presso l’ospedale pediatrico saudita. 👉 Leggi l’articolo


Today.it – “Cadaveri e sangue visibili dallo spazio: cosa sta succedendo in Sudan” Le RSF hanno assediato El-Fasher per 500 giorni, impedendo l’accesso a cibo e beni essenziali. Le atrocità sono talmente gravi che le immagini satellitari mostrano chiazze di sangue e mucchi di cadaveri nelle strade. 👉 Leggi l’articolo

🌈 Rob Jetten: il volto nuovo della politica olandese

Rob Jetten e Nicolás Keenan: amore e politica in primo piano.


Rob Jetten, nato a Veghel nel 1987, è il leader del partito liberal-progressista D66 e potenziale nuovo primo ministro dei Paesi Bassi. A 38 anni, rappresenta una svolta generazionale e culturale: sarebbe il primo premier apertamente gay nella storia del paese.
Biografia e carriera

Cresciuto in una famiglia di insegnanti, si è laureato in pubblica amministrazione all’Università Radboud di Nimega.


Ex promessa dell’atletica, ha fatto da pace-setter alla campionessa olimpica Sifan Hassan.


In politica dal 2017, ha ricoperto ruoli chiave come ministro del clima e dell’energia, e leader del D66 dal 2023.


Ha condotto una campagna elettorale con lo slogan “Het kan wél” (“Si può fare”), portando il suo partito dal quinto posto al vertice in meno di due anni.
💙 Visibilità e diritti

Rob Jetten ha fatto coming out da adolescente e ha usato la sua visibilità per combattere l’omofobia. In occasione della Giornata Internazionale contro l’Omofobia, ha letto pubblicamente messaggi d’odio ricevuti online. Oggi è fidanzato con Nicolás S. Keenan, giocatore argentino di hockey, e la loro relazione è diventata simbolo di orgoglio e normalizzazione.

🌍 Altri politici LGBTQ+ di rilievo
🇺🇸 Pete Buttigieg


Ex candidato alle primarie democratiche USA e attuale Segretario ai Trasporti.


Primo uomo apertamente gay a ricoprire un incarico ministeriale federale negli Stati Uniti.
🇮🇹 Nichi Vendola

Ex presidente della Regione Puglia, dichiaratamente gay.


Fondatore di Sinistra Ecologia Libertà, ha sempre difeso i diritti civili e l’ambiente.
🇩🇪 Jens Spahn

Ex ministro della Salute in Germania, membro della CDU.


Ha sposato il giornalista Daniel Funke, diventando uno dei volti più visibili della comunità LGBTQ+ nel centrodestra europeo.
🇳🇿 Grant Robertson

Vice primo ministro della Nuova Zelanda e ministro delle Finanze.


Primo uomo gay dichiarato a ricoprire ruoli così alti nel governo neozelandese.
🇫🇷 Clément Beaune

Segretario di Stato francese agli Affari Europei.


Ha fatto coming out nel 2020, impegnandosi contro l’omofobia in Europa.

🔥 Conclusione

Queste figure dimostrano che la visibilità LGBTQ+ in politica non è solo possibile, ma necessaria. Rob Jetten incarna una nuova era: giovane, progressista, ambientalista e orgogliosamente se stesso. La sua ascesa è un messaggio potente per chi sogna una politica più inclusiva e coraggiosa.


Fonti su Rob Jetten

Quotidiano.net – Rob Jetten, enfant prodige della politica olandese


Il Foglio – Sorprese e sicurezze di Jetten


ANSA – Europeista e paladino dei diritti


Sky TG24 – Chi è Rob Jetten


Wikipedia – Rob Jetten


martedì 28 ottobre 2025

Il giorno in cui la dignità diventò legge


Martin Luther King Jr. riceve la notizia: il Senato ha approvato il Civil Rights Act. È il 1964. Il suo volto non urla, non esulta. È un volto che trattiene la storia. Una storia che ha marciato, cantato, pianto, resistito.

Quel momento non è solo una vittoria politica. È il respiro di chi ha camminato sotto il sole del Sud, di chi ha sfidato l’odio con la voce, di chi ha sognato una nazione dove la pelle non pesa più del carattere.

King non è solo un leader. È un corpo che ha portato il peso di milioni. E in quell’istante, quando la legge riconosce ciò che il cuore già sapeva, il suo silenzio è più eloquente di mille discorsi.

Questa immagine ci ricorda che la giustizia non è un evento, ma un processo. Che ogni conquista nasce da una somma di gesti, di voci, di sogni condivisi. E che anche oggi, ogni legge che protegge, ogni parola che cura, ogni gesto che include… è figlia di quella lotta.

Per chi continua a sognare, per chi non smette di marciare, per chi crede che la dignità non sia negoziabile: questo momento è nostro. Da custodire, da raccontare, da rilanciare.

SEZIONE LETTURA A audácia dos invertidos (L’audacia degli invertiti) – Rodrigo Faour e la memoria queer brasiliana


Nel cuore vibrante di Rio de Janeiro, tra cabaret, silenzi imposti e gesti di resistenza, Rodrigo Faour ci consegna un archivio vivo: L’audacia degli invertiti. Un libro che non racconta solo storie, ma le trasforma in specchi, in fuochi, in ponti. Dal 1950 al 1990, la comunità LGBTI+ brasiliana ha osato esistere, amare, creare. E Faour ne raccoglie le tracce con audacia e dignità.

 Il libro: pubblicato da Grupo Editorial Record, A audácia dos invertidos (L’audacia degli invertiti) ricostruisce la storia della comunità LGBTI+ a Rio de Janeiro attraverso articoli, testimonianze, fotografie e frammenti di cultura pop.


🌈 Temi: visibilità, sopravvivenza, creatività queer, resistenza culturale.

Perché iniziare da qui: Faour non solo documenta, ma celebra. Il suo lavoro è un atto d’amore verso chi ha vissuto nell’ombra e ha trasformato il margine in scena.


Citazione:«Tra bagliori, ombre e storie di resistenza, questo libro spalanca le porte di una Rio de Janeiro vibrante e trasgressiva.»


Dove trovarlo: disponibile in formato cartaceo e ebook su Amazon Brasil e altre librerie online.

Questo libro è un invito. A leggere, sì. Ma anche a ricordare, a riconoscere, a riscrivere. In ogni pagina, un gesto di audacia. In ogni nome, una scintilla. In ogni silenzio, una possibilità di voce.

“Il genere è legge: le Isole Vergini riscrivono l’identità”

Le Isole Vergini Statunitensi hanno appena segnato un punto di svolta nella storia dei diritti civili. Con un ordine esecutivo firmato dal governatore Albert Bryan Jr., il territorio diventa il primo degli Stati Uniti a riconoscere legalmente le persone trans e intersex attraverso la modifica del marker di genere sui documenti ufficiali.

La misura consente ai residenti di richiedere il cambiamento del genere indicato su patente e certificato di nascita, presentando una dichiarazione di un medico abilitato o un ordine giudiziario. Ma la vera rivoluzione è semantica: i documenti aggiornati useranno il termine “genere” al posto di “sesso”.

Bryan ha dichiarato che la modifica è necessaria per garantire sicurezza e coerenza: “Se una persona si presenta come uomo, ma il documento dice ‘donna’, gli agenti non sanno se stanno parlando con la persona giusta”. Il governatore ha anche aggirato il parlamento locale, dopo che una proposta simile era stata bloccata in commissione. Un atto di disobbedienza istituzionale? O una presa di posizione necessaria?

Questa decisione non è solo un passo avanti per i diritti civili. È una dichiarazione politica: le identità non si discutono, si rispettano. Quando lo Stato cambia linguaggio, cambia anche il modo in cui guarda i suoi cittadini.

lunedì 27 ottobre 2025

Charles III, il re che abbraccia la diversità: sostegno ufficiale alla comunità LGBTQIA+ e dialogo interreligioso

Cerimonia di inaugurazione del memoriale a Lichfield. La scultura in bronzo, ispirata a un foglio accartocciato, rende visibile la memoria delle persone LGBTQIA+ perseguitate nell’esercito britannico. Un gesto tardivo, ma necessario, che trasforma l’accusa in testimonianza.














A 76 anni, Charles III rompe il silenzio della monarchia britannica su temi storicamente marginalizzati. Il 27 ottobre 2025, il sovrano ha inaugurato a Lichfield un memoriale dedicato ai veterani LGBTQIA+ discriminati nell’esercito. La scultura, un foglio accartocciato, simboleggia le note usate per denunciare l’orientamento sessuale dei militari.

Non è un gesto isolato. Già durante il Ramadan, Charles e Camilla avevano visitato la comunità musulmana di Londra, partecipando alla preparazione dei pacchi alimentari per l’iftar. Un re che si avvicina, ascolta, e riconosce.

In un’epoca di polarizzazione, Charles III sceglie la memoria e la dignità. Non per consenso, ma per coscienza.

Colonialismo britannico e persecuzione LGBTQIA+: una storia globale di oppressione


Molte delle leggi anti-LGBTQIA+ ancora in vigore nel mondo hanno radici nel colonialismo britannico. Durante l’espansione dell’Impero, la corona inglese ha esportato nei territori occupati una visione moralista e repressiva della sessualità, codificata in leggi che criminalizzavano l’omosessualità e l’identità di genere non conforme.
Le leggi imposte

Buggery Act (1533): prima legge britannica contro la “sodomia”, punibile con la morte. Rimase in vigore per secoli e fu la base per la criminalizzazione in patria.


Sezione 377 del Codice Penale Indiano (1860): introdotta dai britannici, ha criminalizzato i rapporti omosessuali in India e in molte altre colonie. È stata replicata in decine di paesi africani e asiatici.


Queste leggi non solo punivano gli atti sessuali, ma alimentavano stigma, violenza e repressione sociale.
Eredità coloniale

Oggi, oltre 30 dei 53 paesi del Commonwealth mantengono leggi anti-LGBTQIA+ derivate dal periodo coloniale.


In paesi come Ghana, Nigeria, Kenya e Uganda, l’omofobia è spesso giustificata come “tradizione locale”, ignorando che fu imposta dalla corona britannica.


L’attivista Lady Phyll ha definito il colonialismo britannico “la radice dell’omofobia globale”.
🇬🇧 Persecuzioni in patria

Fino al 1967, l’omosessualità era illegale nel Regno Unito. Migliaia di persone furono arrestate, tra cui Alan Turing, il genio matematico costretto alla castrazione chimica.


Il primo Gay Pride britannico si tenne solo nel 1972.


Nel 2018, l’allora premier Theresa May ha chiesto scusa ai paesi del Commonwealth per le leggi imposte durante il colonialismo, definendole “sbagliate allora e sbagliate oggi”
Fonti principali

sabato 25 ottobre 2025

IDoug Krugman lascia i Marines e accusa Trump: “Non posso servire chi disprezza la Costituzione”


Washington D.C. — Il colonnello Doug Krugman ha annunciato le sue dimissioni dal Corpo dei Marines degli Stati Uniti dopo 24 anni di servizio, con una dichiarazione che ha scosso ambienti militari e civili.


“Non posso continuare a servire sotto un presidente che non rispetta la Costituzione degli Stati Uniti,” ha dichiarato Krugman.

La sua rinuncia è avvenuta il 30 settembre 2025, in seguito a un evento ufficiale in cui il presidente Donald Trump e il segretario alla Guerra Pete Hegseth hanno tenuto discorsi fortemente politicizzati davanti ai vertici militari. Krugman ha denunciato l’uso improprio dei poteri d’emergenza, il dispiegamento della Guardia Nazionale senza richiesta statale e la pressione esercitata sui militari affinché si allineino politicamente.

In un editoriale pubblicato sul Washington Post, Krugman ha espresso “preoccupazione per il futuro del paese” e ha condannato i recenti provvedimenti presidenziali, tra cui la grazia concessa agli insurrezionisti del 6 gennaio e il rifiuto di concedere asilo agli alleati afghani.


“La mia coscienza non può più tollerare il silenzio,” ha scritto. “Ogni giuramento ha un limite: il mio si ferma dove inizia il disprezzo per la democrazia.”


Fonti verificate
https://www.politicamentecorretto.com/2025/10/18/doug-krugman-vicepresidente-della-marina-degli-stati-uniti-e-uscito-dallesercito-dopo-24-anni/ -  Doug Krugman lascia la Marina USA


LinkedIn – Dichiarazioni e contesto


Yahoo News – Editoriale sul Washington Post

Netflix sfida la censura omofoba con “Reclutas”: una serie che il Pentagono definisce “spazzatura woke”



Mentre negli Stati Uniti si intensifica la pressione delle destre conservatrici contro i contenuti LGBTQ+, Netflix risponde con una provocazione consapevole: il lancio della serie reclutas, che racconta la storia di giovani omosessuali arruolati nel Corpo dei marines. La serie, ispirata alle memorie reali di Greg Cope White (The Pink Marine), è prodotta da Norman Lear e interpretata da Miles Heizer. Ambientata negli anni ’90, la narrazione rompe con gli stereotipi della mascolinità militare e mette in discussione l’ideologia dominante all’interno delle forze armate.

La reazione del Pentagono non si è fatta attendere: in un comunicato ufficiale, il Dipartimento della Difesa ha bollato la serie come “spazzatura woke”, accusando Netflix di minare gli “standard di élite” e la “neutralità sessuale” delle forze armate. A rincarare la dose è intervenuto il deputato trumpista Tim Burchet, che ha chiesto un’indagine contro i dirigenti della piattaforma per “promozione ideologica” e “visibilità eccessiva della diversità”.

Ma Netflix non è sola. Altre aziende come Disney, Apple e Costco hanno rifiutato di piegarsi alle pressioni dei gruppi anti-LGBTQ+, confermando il loro sostegno a campagne inclusive, donazioni a organizzazioni per i diritti civili e politiche aziendali contro la discriminazione. Disney, in particolare, ha difeso la sua collaborazione con la Human Rights Campaign (HRC), rifiutando di interrompere il rapporto con l’organizzazione che fornisce consulenza su inclusione e uguaglianza.


Esodo silenzioso: migliaia di LGBTQ+ americani cercano rifugio in canada dopo la rielezione di Trump



Mentre le piattaforme culturali resistono, la realtà sociale negli Stati Uniti si fa sempre più inquietante. Secondo Rainbow Railroad, organizzazione canadese che aiuta persone LGBTQI+ a fuggire da contesti violenti e persecutori, le richieste di aiuto provenienti dagli USA sono aumentate del 760% nei primi otto mesi dell’anno.


“La maggior parte di chi ci contatta lo fa perché ha paura di continuare a vivere negli Stati Uniti,” ha dichiarato Latoya Nugent, portavoce dell’organizzazione. Solo nelle 24 ore successive alla rielezione di Donald Trump, Rainbow Railroad ha ricevuto oltre 1.100 chiamate. Per la prima volta nella sua storia, gli Stati Uniti sono diventati il paese da cui proviene il maggior numero di richieste di aiuto.

Le cause? Un’ondata di oltre 600 proposte legislative contro i diritti LGBTQ+, la cancellazione dei servizi di supporto psicologico dedicati ai giovani queer (come la linea 988 Suicide & Crisis Lifeline), e un clima politico sempre più ostile. “Molti ci dicono di sentirsi isolati, abbandonati, in pericolo,” ha aggiunto Nugent. “Noi siamo qui per ascoltare e aiutare come possiamo.”



Fonti degli articoli
Sulla serie “Reclutas” e la reazione del Pentagono

Cinematographe – La serie Netflix che ha irritato il Pentagono


La Vanguardia – Es ridículo que el Pentágono vaya a por una serie de Netflix


Everyeye – Il Pentagono ha attaccato la serie Boots


Sull’esodo LGBTQ+ verso il Canada e Rainbow Railroad


The Guardian – LGBTQ+ Americans seek help from Canada’s Rainbow Railroad


NBC News – Spike in LGBTQ+ calls to Rainbow Railroad after Trump’s re-election

Un Nobel che tradisce la pace


Il Consiglio Norvegese per la Pace ha annunciato che non parteciperà alla tradizionale processione con fiaccole durante la consegna del Prêmio Nobel per la Pace 2025. La ragione? La scelta di María Corina Machado come vincitrice, figura controversa dell’opposizione venezuelana.

“Rispettiamo profondamente il Comitato Nobel, ma dobbiamo restare fedeli ai nostri ideali” — ha dichiarato la presidente Eline H. Lorentzen.

Il Consiglio, che rappresenta 17 organizzazioni pacifiste e oltre 15.000 attivisti, ha denunciato una mancanza di allineamento tra i valori della premiata e quelli del movimento per la pace.

Una scelta che imbarazza la storia del Nobel

Machado è accusata da diverse voci internazionali di aver invocato l’intervento straniero in Venezuela, di aver legittimato crimini di guerra e di aver sostenuto politiche imperialiste. Come ha scritto il giurista Fabio Marcelli:


“Un Nobel paradossale, che arriva mentre il popolo palestinese vive una tregua fragile e il Venezuela affronta una crisi profonda. Premiare Machado significa ignorare le ferite aperte della democrazia e della sovranità.”

 Il Consiglio Norvegese per la Pace ha dichiarato:


“Siamo intrappolati in una decisione sbagliata. Questo premio è stato assegnato a chi invoca l’invasione del proprio paese, benedice i crimini di guerra del genocida Netanyahu e quelli di POTUS nei Caraibi.”



Fonti critiche

Il Fatto Quotidiano – Un Nobel paradossale tra Venezuela e Palestina


ReputationUp – Il controverso Nobel e la reputazione del Venezuela

giovedì 23 ottobre 2025

“Contagio, silenzio, negazione – La risposta trans a Róisín Murphy”


Nel settembre 2025, la cantante irlandese Róisín Murphy ha pubblicato un lungo post su X (ex Twitter) in cui ha attaccato l’attivismo trans, definendolo “crudele”, “infantile” e “una minaccia alla libertà creativa”. Pur dichiarando di “non odiare le persone trans”, Murphy ha descritto l’identità trans come un “contágio”, sostenendo che il calo di giovani che si identificano come trans o non binari negli Stati Uniti sia una “buona notizia”.


Queste affermazioni non sono semplici opinioni: sono dichiarazioni che contribuiscono alla stigmatizzazione e alla marginalizzazione delle persone trans. Inserite in un contesto di visibilità pubblica e declino artistico, sembrano più un tentativo di provocazione mediatica che una riflessione consapevole. È un copione già visto: artisti che flirtano con l’inclusività finché conviene, poi voltano le spalle quando il mercato cambia. I cosiddetti “pink money” diventano monete false.

Come attivista LGBTQ+, trovo questo comportamento non solo deludente, ma pericoloso. Quando figure pubbliche che hanno goduto del sostegno della comunità decidono di attaccarla, contribuiscono alla normalizzazione della transfobia. Non è solo una questione di opinioni: è una dinamica che ha conseguenze reali sulla vita delle persone.

Questo blog nasce per dare voce, non per restare neutrale. E in questo spazio, chi tradisce la fiducia della comunità LGBTQ+ deve essere chiamato per nome.

“Post pubblicato da Róisín Murphy su X il [23 ott 2025
], successivamente rimosso o non più visibile.
 @roisinmurphy.

Arresto di Alessia Tanzi a Sharm el-Sheikh: repressione trans in Egitto

“Viaggiare da persona LGBTQ+ non è sempre libertà.

Il caso di Alessia Tanzi, donna trans italiana arrestata all’aeroporto di Sharm el-Sheikh, ha riportato l’attenzione sulle gravi violazioni dei diritti umani contro le persone LGBTQ+ in Egitto. Secondo quanto riportato da Gay.it, Alessia è stata trattenuta per ore in una stanza dell’aeroporto, sottoposta a interrogatori umilianti e privata di cibo, acqua e contatti con l’esterno.
I fatti

Alessia era in viaggio con il compagno, ma i documenti non ancora rettificati hanno attirato l’attenzione delle autorità egiziane.


È stata separata dal gruppo, interrogata sul suo corpo e sulla sua identità di genere.


Le autorità hanno minacciato il rimpatrio, trattenendola senza spiegazioni ufficiali.
Un contesto sistemico

Il caso di Alessia non è isolato. Negli ultimi anni, diverse persone trans italiane sono state fermate, umiliate o rimpatriate dalle autorità egiziane:

Federica Mauriello, attivista trans, ha denunciato sputi e percosse da parte della polizia nel 2019.


Micaela Sannicandro e Loredana Corallo, trans baresi, sono state trattenute per 25 ore in aeroporto e rimpatriate senza motivazioni ufficiali.
Violazioni sistematiche dei diritti

Secondo il rapporto 2024–2025 di Amnesty International, l’Egitto continua a reprimere il dissenso e a criminalizzare le identità LGBTQ+:

Le persone trans e omosessuali sono soggette a detenzioni arbitrarie, espulsioni e violenze psicologiche e fisiche.


La legge egiziana non riconosce le identità trans.


Le condizioni di detenzione sono spesso degradanti e prive di garanzie minime.
Reazioni e richieste

Organizzazioni per i diritti umani chiedono:

Maggiore protezione consolare per le persone LGBTQ+ italiane in viaggio.


Pressioni diplomatiche per il rispetto dei diritti umani da parte dell’Egitto.


Una revisione delle politiche turistiche verso Paesi che violano sistematicamente i diritti delle minoranze.


Ecco un elenco aggiornato dei paesi considerati più pericolosi per le persone LGBTQ+ nel 2025, secondo fonti come Human Dignity Trust, ILGA e The Green Voyage



🌍 Paesi dove l’omosessualità è criminalizzata (2025)

In 65 paesi del mondo, le relazioni omosessuali sono ancora considerate un reato. Le pene variano da multe e detenzioni fino alla pena di morte, prevista in almeno 12 nazioni.
⚠️ Esempi di paesi con leggi particolarmente severe:

Nigeria – Pena di morte in alcune regioni sotto la Sharia, arresti e persecuzioni sistematiche.


Iran – Esecuzioni pubbliche per relazioni omosessuali.


Arabia Saudita – Punizioni corporali, detenzione, pena di morte.


Somalia – Arresti e violenze contro persone LGBTQ+.


Pakistan – Criminalizzazione e repressione sociale.


Yemen – Pena di morte per atti omosessuali.


Mauritania – Pena di morte prevista, anche se raramente applicata.


Uganda – Leggi anti-LGBTQ+ estremamente punitive, con pene fino all’ergastolo.


Brunei – Pena di morte sotto la legge islamica.


Qatar – Detenzioni e deportazioni di persone LGBTQ+.


Afghanistan – Persecuzioni e violenze sistematiche.


Egitto – Detenzioni arbitrarie, espulsioni, umiliazioni (come nel caso di Alessia Tanzi).

martedì 21 ottobre 2025

Un mondo senza di noi? Non è mai esistito. Ma il governo italiano sembra desiderarlo.

La guerra ai woke: distrazione di massa e fallimento politico
Dai templi antichi alle strade moderne, le persone queer sono sempre state qui. Storie d’amore lesbiche scolpite nella storia, legami gay che hanno plasmato culture, cuori bisessuali che hanno amato oltre i confini, vite trans che hanno sfidato le norme rigide, corpi intersex esistiti ben prima che la medicina provasse a definirli—siamo sempre stati parte della storia umana.

Mentre la povertà cresce, i corpi senza casa si moltiplicano, e la qualità della vita si deteriora, il governo italiano di estrema destra sceglie un nemico comodo: la cultura woke. Una retorica importata dagli Stati Uniti, amplificata da leader come Trump, e ora rilanciata da Giorgia Meloni, che alla NIAF ha dichiarato:

“La cultura woke cerca di dividerci. Ma siamo le colonne del mondo libero.”

Ma cosa significa davvero woke? In origine, essere woke significava essere consapevoli delle ingiustizie sociali—razzismo, sessismo, omolesbobitransfobia. Oggi, il termine è stato svuotato e trasformato in un bersaglio propagandistico. Una “guerra culturale” che serve a distrarre dai problemi reali:

Tagli alla sanità e all’istruzione


Precarietà lavorativa


Aumento delle disuguaglianze


Erosione dei diritti civili e sociali

Questa strategia non nasce da una visione politica. Nasce dal vuoto. Dalla necessità di creare nemici per nascondere il fallimento umano e istituzionale. Come scrive Repubblica, è una “controversia superficiale” che svuota la democrazia di contenuti.

Ma quel mondo senza di noi è una fantasia. Le persone TLGBQI+ sono parte della storia, della cultura, della vita. Siamo stati qui per primi. Siamo ancora qui. E non ce ne andremo.


domenica 19 ottobre 2025

“Crisi democratica negli USA: il potere sfida la Costituzione, il popolo risponde”


una delle più imponenti giornate di protesta della loro storia recente. Oltre 2.700 manifestazioni si sono svolte in tutto il Paese, coinvolgendo milioni di persone in un’ondata di mobilitazione senza precedenti. L’epicentro simbolico è stato Atlanta, Georgia—uno stato chiave in vista delle elezioni del 2026, dove il senatore democratico Jon Ossoff si prepara a difendere il suo seggio.

Il messaggio delle piazze è stato inequivocabile: “No Kings”. Uno slogan che non è solo provocazione, ma una dichiarazione politica netta. In un’America sempre più polarizzata, dove il presidente Donald Trump continua a comportarsi come un sovrano assoluto, ignorando i limiti costituzionali e alimentando una retorica autoritaria, la società civile ha risposto con fermezza.

Le proteste hanno visto la partecipazione di una vasta coalizione di attivisti, sindacati, studenti, comunità LGBTQ+, gruppi per i diritti civili e movimenti per la giustizia climatica e sociale. In Georgia, la manifestazione ha assunto un significato particolare: non solo per la posta in gioco elettorale, ma per il ruolo storico di Atlanta come culla dei diritti civili. Presenti anche figure di spicco come Stacey Abrams e il senatore Raphael Warnock.

Tra gli slogan più diffusi:

“Chaos. Corruption. Cruelty.” – una sintesi delle accuse rivolte all’attuale amministrazione.


“We are the majority” – un richiamo all’ampio consenso popolare che si oppone alla deriva autoritaria.


“No Kings” – il rifiuto di ogni forma di potere assoluto, in nome della democrazia.

In un contesto segnato da disuguaglianze crescenti, repressione politica e attacchi sistematici ai diritti civili, la giornata del 18 ottobre rappresenta un punto di svolta. Non solo una protesta, ma un segnale chiaro: milioni di persone non sono disposte a cedere la democrazia a chi si comporta da imperatore.

sabato 18 ottobre 2025

Una donna al potere. Un’agenda patriarcale.

Giorgia Meloni segue con coerenza la traiettoria delle destre radicali internazionali: da Javier Milei a Viktor Orbán, passando per Donald Trump. Una linea politica che si nutre di propaganda, polarizzazione e costruzione sistematica del nemico. In Italia, il bersaglio è l’opposizione, accusata di ogni male per distogliere l’attenzione da una realtà economica e sociale sempre più drammatica.

Bollette, carburanti e beni di prima necessità hanno raggiunto livelli insostenibili. I salari restano fermi, le pensioni si assottigliano, mentre la sanità pubblica e la scuola vengono svuotate di risorse. In questo contesto, il governo Meloni continua a favorire interessi privati, banche e lobby, mentre la retorica patriottica serve a coprire un’agenda regressiva.

Meloni è una donna, ma non rappresenta un avanzamento per i diritti di genere. Al contrario, molte femministe la considerano una traditrice simbolica delle lotte delle donne. La sua ascesa non ha portato con sé un’agenda femminista, ma un consolidamento del potere patriarcale. Come disse Trump, “è solo una bella donna”: una frase sessista che, paradossalmente, riflette il modo in cui certi ambienti conservatori la celebrano.

Il suo rifiuto di confrontarsi con la stampa, come dimostrato anche nell’incontro con Trump, è un segnale di chiusura e debolezza democratica. Ma ciò che preoccupa ancor di più è il silenzio — o la timidezza — con cui una parte della sinistra istituzionale reagisce a questa deriva. Di fronte a una destra che occupa lo spazio pubblico con arroganza e revisionismo, la sinistra appare spesso afona, incapace di costruire un’alternativa radicale, popolare e credibile.

In questo vuoto, voci come quella di Elly Schlein — che ha denunciato apertamente la deriva autoritaria del governo Meloni al Congresso del Partito Socialista Europeo — rappresentano un atto di coraggio politico. Ma non possono restare isolate. Serve una risposta collettiva, chiara, determinata. Perché la democrazia non si difende con la prudenza, ma con la verità.

BRASILE: “CORTE SUPREMA SOSPENDE LEGGI CHE VIETANO DI INSEGNARE IL GENERE A SCUOLA”


di Vanessa, persona trans e attivista

C’è un momento in cui le parole istituzionali smettono di essere fredde. Quando nominano l’ingiustizia, quando rompono il silenzio, quando proteggono chi è vulnerabile, la parola pubblica diventa gesto politico. È successo in Brasile, con l’intervento del Ministro Alexandre de Moraes, che ha definito “politica dello struzzo” il tentativo di censurare l’educazione alla diversità di genere nelle scuole.

Ma questa non è solo una notizia brasiliana. È una ferita globale. In ogni Paese — incluso il mio, l’Italia — la discussione sul genere viene distorta, ridotta, strumentalizzata. Si confonde l’educazione di genere con l’identità di genere. Si insinua che parlare di rispetto significhi imporre un cambiamento. Si finge di proteggere i bambini, mentre li si priva degli strumenti per comprendere se stessi e gli altri.
📚 Di cosa parliamo quando parliamo di “educazione
 di genere”?

Parliamo di strumenti per leggere il mondo. Di parole per nominare la violenza, per riconoscere che esistono corpi, desideri, identità che non rientrano nei binari imposti. L’educazione di genere non è un’“ideologia” da temere, ma un antidoto alla paura, all’odio, all’ignoranza.

Non si tratta di “insegnare ai bambini a cambiare genere”. Si tratta di insegnare il rispetto. Di dire che esistono bambine con il cuore azzurro e bambini con le unghie rosa. Che nessuno merita di essere insultato, picchiato, escluso per come si sente o si mostra.
⚖️ La sentenza che rompe il silenzio

La Corte Suprema brasiliana ha dichiarato incostituzionali le leggi municipali che vietavano l’insegnamento del genere nelle scuole. Un atto di giustizia, in un Paese che da sedici anni è il primo al mondo per omicidi di persone trans e travestiti.


“Non possiamo dire ai bambini che esistono solo maschi vestiti d’azzurro e femmine vestite di rosa, e poi accettare che la violenza contro la comunità LGBT aumenti del 1000% ogni decennio.” — Alexandre de Moraes

Il Ministro ha denunciato l’ipocrisia di una società che tollera il discorso d’odio online, ma censura l’educazione che potrebbe prevenirlo. Ha detto ciò che molti tacciono: non si può più fingere che le persone trans non esistano. Anche tra i bambini. Anche tra chi siamo statə.
🌍 Una crociata globale contro la libertà dei corpi

Judith Butler, in un recente articolo pubblicato su Internazionale, denuncia una nuova ondata repressiva che attraversa gli Stati Uniti e l’Europa. L’“ideologia di genere” è diventata un nemico immaginario, utile a giustificare politiche autoritarie e a consolidare il potere. Butler parla di una vera e propria “crociata” contro la libertà sessuale e di genere, orchestrata da governi che vogliono smantellare i diritti civili conquistati con decenni di lotte.


“L’impressione è di uno stato che si autoamplifica, deciso a sconfiggere i princìpi del diritto e a testare i limiti del potere autoritario.”

Questa offensiva non è solo culturale: è giuridica, educativa, mediatica. Si traduce in leggi che censurano, in programmi scolastici svuotati, in piattaforme digitali che amplificano l’odio. Eppure, come ci ricorda Butler, la resistenza è possibile. E parte dalla parola. Dalla visibilità. Dall’educazione.
💔 Il silenzio non è neutro

Io sono una persona trans. E so cosa significa crescere senza parole per dirsi. So cosa vuol dire cercarsi nello specchio e non trovare nulla. So cosa vuol dire essere invisibile, e poi punita per essersi mostrata.

Il silenzio non è neutro. È un’arma. È una complicità. È una forma di cancellazione.

Ma io non ci sto. E non sono sola. Siamo sorelle, fratelli, alleatə, educatori, attivistə. Siamo una comunità che non si accontenta della sopravvivenza. Vogliamo vita piena, visibile, degna.
🌈 Educare è un atto d’amore

Parlare di genere a scuola non è un pericolo. È una promessa. È dire: “Ti vedo. Ti rispetto. Hai diritto di esistere.” È costruire un mondo dove nessunə debba più nascondersi per essere amato.

Io continuerò a scrivere, a parlare, a lottare. Perché chi verrà dopo di me trovi già le parole. Perché ogni bambino possa crescere sapendo che il proprio corpo, la propria voce, la propria verità meritano ascolto.

Non si può più fingere. E io non fingerò mai.

venerdì 17 ottobre 2025

Solidarietà piena a Sigfrido Ranucci.


Questa notte, il giornalista Sigfrido Ranucci ha subito un attentato. Un gesto vile, che non colpisce solo una persona, ma il diritto stesso di raccontare.

Chi racconta la verità non dovrebbe mai dover temere per la propria vita. E invece siamo qui, a contare le bombe, le minacce, le scorte. A misurare il prezzo della libertà con il sangue e la paura.

Viviamo in un clima da pezzenti morali, dove chi governa non protegge la democrazia: la infanga, la attacca, la delegittima. Con parole d’odio, con silenzi complici, con campagne di fango.

Ma noi non ci giriamo dall’altra parte. Siamo con chi indaga, con chi racconta, con chi resiste. Perché la verità non si imbavaglia. E la democrazia non si minaccia: si difende.

giovedì 16 ottobre 2025

“Uruguay: aborto, cannabis, eutanasia. una coerenza legislativa che parla di libertà”


Il 15 ottobre 2025, il Parlamento uruguaiano ha approvato una legge che legalizza l’eutanasia. Una scelta storica, la prima in America Latina a essere sancita per via legislativa.

“Muerte digna” è il nome del testo. Ma è anche un grido: che la fine non sia una condanna, ma una possibilità di pace.

Eutanasia in Europa e in Italia

In Europa, l’eutanasia è legale in Olanda, Belgio, Spagna, Lussemburgo.

In Italia, il dibattito è acceso ma la legge manca.


La storia di Dj Falbo ha aperto una ferita che ancora non si rimargina.
Il corpo è nostro, ma la legge non lo riconosce. Il dolore è reale, ma la politica lo ignora

La scelta dell’Uruguay Mentre l’Europa si divide, l’Uruguay sceglie. Sceglie di ascoltare, di legiferare, di riconoscere che anche il morire può essere un atto di libertà.

Una storia coerente di libertà

L’Uruguay non è nuovo a scelte coraggiose.

Nel 2012, è stato il primo Paese dell’America Latina a legalizzare l’aborto.


Nel 2014, il primo a legalizzare la cannabis.


Oggi, nel 2025, è il primo a legalizzare l’eutanasia.

Non è una questione di opinioni personali. È una questione di libertà individuale. Di riconoscere che ogni cittadino ha il diritto di scegliere — sul proprio corpo, sulla propria vita, sulla propria fine.

Questa coerenza legislativa non è provocazione. È cura istituzionale. È ascolto politico. È umanità codificata in legge.

Una lezione di umanità. Che arriva da Sud. Che ci ricorda che la dignità non ha confini.

Turchia: repressione in nome della “moral". Quando la legge diventa strumento di odio


Il 15 ottobre 2025, il governo turco ha presentato l’11° Pacchetto di Riforma Giudiziaria: un insieme di misure che, sotto il pretesto della “protezione della moralità pubblica”, mira a criminalizzare l’esistenza stessa delle persone LGBTQIA+.

Tra le proposte:

Fino a 3 anni di carcere per chi “promuove comportamenti contrari al sesso biologico e alla morale pubblica”.


Aumento dell’età minima per la chirurgia di affermazione di genere da 18 a 25 anni, con requisiti umilianti e patologizzanti.


Divieto di matrimonio e cerimonie di fidanzamento tra persone dello stesso sesso, punibile con fino a 4 anni di reclusione.


Medici che aiutano le persone trans rischiano fino a 7 anni di carcere.

Queste misure non proteggono la società. La distruggono. Punire l’amore, la transizione, la libertà di espressione significa negare l’umanità stessa.

Non è “morale” ciò che opprime. Non è “famiglia” ciò che esclude.

Questa riforma non protegge la “famiglia”. La usa come scudo per l’odio. Non è giustizia. È repressione.

Fonte: Türkiye Today

Scott Bessent e la strategia del traditore: visibilità senza giustizia nel governo Trump


Si chiama Scott Bessent. È gay, miliardario, sposato con un ex procuratore, padre di due figli nati da gestazione per altri. È stato nominato Segretario del Tesoro da Donald Trump—l’uomo apertamente LGBTQ+ ad aver occupato la carica più alta nella storia del governo statunitense.

Ma non c’è nulla da festeggiare.

Quello che avrebbe potuto essere un punto di svolta nella rappresentazione di un gruppo storicamente vulnerabile si è trasformato in una vetrina vuota. Un’operazione di marketing politico. Un arcobaleno dipinto su un muro che nasconde il filo spinato.

Nei primi mesi del suo mandato, il governo Trump ha firmato decreti che:

ridefiniscono il genere come binario e immutabile, cancellando le persone trans dal riconoscimento federale;


vietano le cure mediche di affermazione di genere;


reintroducono il divieto per le persone trans di servire nelle Forze Armate.

E mentre tutto questo accadeva, il Tesoro sotto la guida di Bessent ha rimosso dai moduli federali contro la discriminazione i campi relativi all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Un gesto silenzioso, ma devastante. Senza dati, non c’è denuncia. Senza denuncia, non c’è giustizia.

Le organizzazioni per i diritti umani lo hanno detto chiaramente:


“Mettere un uomo gay al governo non significa impegnarsi per l’uguaglianza. È una strategia simbolica per mascherare una politica di esclusione.” — Washington Blade

Scott Bessent non è un alleato. È un traditore. Una figura che ricorda il “capitão do mato”: il nero che, ai tempi della schiavitù, veniva incaricato di catturare gli schiavi in fuga. Un corpo marginale usato per proteggere il potere dominante. Un volto queer che serve l’agenda cis-etero-patriarcale.

La sua presenza ci costringe a riflettere: La visibilità, senza un impegno reale per i diritti, può diventare solo un altro strumento di oppressione e occultamento. Nel governo Trump, anche la diversità sembra esistere solo come facciata arcobaleno. 


Le fonti citate nel testo originale sono:

AP News


Human Rights Watch


Washington Blade


Il “capitão do mato”: quando la marginalità serve il potere

Dal Brasile arriva una parola che taglia come un machete: capitão do mato. Durante il periodo coloniale e schiavista, il capitão do mato era un uomo nero incaricato dai padroni bianchi di catturare gli schiavi fuggitivi. Un corpo oppresso che diventava strumento di oppressione. Un traditore, non per natura, ma per funzione.

Oggi, questa figura ritorna come metafora potente. Nel contesto Vanessa Mazza
razziale o femminista, il capitão do mato è chi—pur appartenendo a una comunità discriminata—sceglie di servire il potere dominante. Lo fa per privilegio, per carriera, per paura, o per convinzione. Ma il risultato è lo stesso: diventa vetrina, scudo, complice.

Scott Bessent, uomo gay a capo del Tesoro nel governo Trump, incarna questa figura. La sua presenza non ha portato diritti, ma ha mascherato la loro cancellazione. Ha rimosso dati, ha coperto decreti anti-trans, ha legittimato un’agenda di esclusione. È stato usato come arco-íris di facciata, come prova finta di inclusione.

E allora dobbiamo dirlo chiaramente: Non ogni corpo marginale è alleato. La visibilità non è sempre liberazione. La rappresentanza può essere anche repressione.

Nel nostro attivismo, dobbiamo saper distinguere tra chi lotta e chi decora. Tra chi rischia e chi si vende. Tra chi costruisce ponti e chi fa da guardiano al cancello.

Vanessa Mazza

Pixel Ribelli — dove l’attivismo incontra il digitale

Un archivio vivo di immagini, frasi, e visioni transfemministe. Qui ogni colore è scelta, ogni parola è lotta, ogni errore è umano e sacro. Benvenutə tra i pixel che non obbediscono.

 

martedì 14 ottobre 2025

WASHINGTON: Il costo dell’ideologia: il Senato USA approva un NDAA anti-inclusione



Una lettura critica delle disposizioni anti-LGBTQI+ e anti-DEI contenute nel National Defense Authorization Act 2026, tra regressione normativa e indebolimento istituzionale

L’approvazione del National Defense Authorization Act (NDAA) da parte del Senato statunitense per l’anno fiscale 2026 ha suscitato forti reazioni da parte di organizzazioni per i diritti civili. Tra queste, la National Women’s Law Center ha denunciato l’inserimento di emendamenti che colpiscono direttamente i membri LGBTQI+ delle forze armate e smantellano le politiche di diversità, equità e inclusione (DEI). Questo articolo propone una lettura critica del provvedimento, analizzandone le implicazioni ideologiche, normative e istituzionali.

Strumentalizzazione ideologica della sicurezza

Il NDAA, concepito come strumento bipartisan per garantire la sicurezza nazionale, viene qui piegato a logiche ideologiche che nulla hanno a che vedere con l’efficienza militare. Le disposizioni che vietano cure chirurgiche per l’affermazione di genere e l’esclusione delle donne transgender dallo sport nelle accademie militari rappresentano una torsione normativa che privilegia l’esclusione rispetto alla coesione.

Negazione della pluralità identitaria

Le misure approvate negano la legittimità delle identità queer all’interno di un’istituzione che dovrebbe rappresentare l’intera cittadinanza. In tal senso, il disegno di legge non solo marginalizza soggetti già vulnerabili, ma mina il principio di rappresentanza democratica, riducendo la pluralità a un rischio anziché a una risorsa.


Contraddizione tra obiettivi dichiarati e effetti reali

La retorica della sicurezza nazionale viene contraddetta dai contenuti del provvedimento. Come sottolinea Gaylynn Burroughs, vicepresidente del NWLC, queste misure scoraggiano le potenziali reclute e indeboliscono la fiducia nelle istituzioni militari. L’esclusione sistematica di soggetti LGBTQI+ non rafforza le forze armate, ma le priva di competenze, motivazioni e legami comunitari fondamentali.

Smantellamento delle politiche DEI come regressione istituzionale

L’attacco alle politiche DEI non è solo una scelta ideologica, ma una regressione rispetto agli standard di governance inclusiva promossi negli ultimi decenni. Le politiche di diversità, equità e inclusione non sono meri strumenti di rappresentanza, ma dispositivi di efficienza organizzativa, prevenzione dei conflitti interni e promozione del benessere lavorativo.

L’approvazione del NDAA 2026, nella sua forma attuale, rappresenta un passo indietro non solo sul piano dei diritti civili, ma anche su quello della razionalità istituzionale. L’adozione di misure escludenti e punitive nei confronti delle persone LGBTQI+ e il disinvestimento dalle politiche DEI indeboliscono la struttura militare, minano la fiducia pubblica e pongono interrogativi urgenti sulla direzione politica e morale delle istituzioni statunitensi.


Fonte: https://www.eriegaynews.com/news/article.php?recordid=202511nwlcndaasenate&sourceid=4&sourcereason=RSSFeed

“Due marce, una nazione: fede e orgoglio si incontrano (e si sfidano) a Nassau”



Il 12 ottobre 2025, Nassau ha ospitato due processioni. Una era la marcia del Pride Bahamas, un inno alla dignità LGBTQI+, alla libertà di essere e credere. L’altra, guidata da leader evangelici, era una contro-marcia: cartelli, prediche, slogan. Non per difendere la fede, ma per negarla agli altri.

“The Bahamas belongs to God”, gridavano. Ma quale Dio? Quello che esclude, condanna, divide? O quello che accoglie, ascolta, cammina con chi è emarginato?


Le frange evangeliche che si oppongono ai diritti LGBTQI+ non stanno difendendo la spiritualità. Stanno strumentalizzando la religione per alimentare l’odio. E non è solo una questione queer: è un attacco alla pluralità, alla convivenza, alla libertà di coscienza.

Queste comunità non predicano amore. Predicano paura. E lo fanno in nome di un Dio che, se esiste, piange nel vedere la sua parola usata come arma.
✊ Nazionalismo religioso: quando Dio diventa confine

La frase “The Bahamas belongs to God” non è solo un’espressione di fede. È una dichiarazione politica. In contesti come quello della marcia LGBTQI+, viene usata per affermare che la nazione appartiene a una sola visione religiosa, e che chi non si conforma — queer, ateo, musulmano, spirituale ma non religioso — è un corpo estraneo.

Il nazionalismo religioso trasforma Dio in un simbolo di potere, non di compassione. Legittima la discriminazione come “difesa dei valori”. E impone una moralità unica, spesso patriarcale e eteronormativa.

Ma la spiritualità queer non chiede di possedere la nazione. Chiede di esistere dentro di essa. Di camminare con fierezza, anche quando la strada è stretta. Di dire: “Io sono qui. E nessuna bandiera religiosa può cancellarmi.”


La marcia del Pride non è solo politica. È spirituale. È il diritto di dire: “Io esisto. E la mia fede non ha bisogno del vostro permesso.”

È tempo di smascherare l’ipocrisia religiosa che si traveste da moralità. È tempo di chiedere: chi ha il potere di escludere? E perché lo esercita con tanta violenza?

"Il mio punto fermo sono le idee, prima delle persone.


Perché sono le idee a dire chi siamo, cosa difendiamo, dove vogliamo portare il mondo. E se le idee di qualcuno negano i miei diritti, la mia esistenza, la mia umanità… Non c’è spazio per il diálogo. Non è una differenza di opinioni. È una linea di confine."

Non posso ignorare ciò che pensano. Non è solo paura. È autodifesa.

Morta Miss Major Griffin-Gracy, storica attivista trans e veterana di Stonewall


Miss Major Griffin-Gracy, figura centrale nei movimenti di liberazione TLGBQ+ e veterana dei moti di Stonewall, è morta lunedì 13 ottobre 2025 all’età di 78 anni. La notizia è stata confermata dalla House of GG, il centro educativo e rifugio da lei fondato, che ha comunicato che Miss Major è deceduta “nel comfort della sua casa, circondata da persone care, a Little Rock, Arkansas”.

Nata a Chicago nel 1946, Griffin-Gracy ha dedicato oltre cinquant’anni alla difesa dei diritti delle persone trans, gender-nonconforming e LGB, con particolare attenzione alle donne trans nere, alle persone trans incarcerate e a chi ha subito violenza da parte delle forze dell’ordine. Ha partecipato ai moti di Stonewall nel 1969 e ha successivamente denunciato l’esclusione delle persone trans dal movimento per i diritti gay.

Nel corso della sua vita, ha diretto il Transgender Gender-Variant and Intersex Justice Project (TGIJP), ha fondato programmi di assistenza per persone con HIV/AIDS, e ha creato spazi sicuri come GiGi’s Place e la House of GG, nata nel 2019 come luogo di riposo e rigenerazione per la comunità trans.

Griffin-Gracy ha mantenuto un forte senso critico verso il sistema politico statunitense e il movimento LGBTQ+ mainstream, pur partecipando attivamente a eventi come il Caucus LGBTQ+ del Partito Democratico. Nel 2024, ha tenuto un discorso appassionato contro Donald Trump, esortando la comunità a mobilitarsi.

Oltre al figlio Christopher, Miss Major lascia il suo compagno Beck Witt, i figli Asaiah e Jonathon, numerose figlie spirituali, tra cui Janetta Johnson, e una vasta rete di persone che hanno beneficiato della sua guida e del suo attivismo.

Organizzazioni come Human Rights Campaign e PFLAG hanno espresso profondo cordoglio per la sua scomparsa, definendola una “madre” per molte giovani donne trans e una “pietra miliare” nella storia dei diritti civili.

Come attivista e narratrice, sento profondamente la perdita di Miss Major. La sua storia mi ha insegnato che la cura è resistenza, che la voce conta, che la memoria è azione.

Porto con me il suo esempio ogni volta che scrivo, traduco, creo.

Oggi, onorare la sua memoria significa continuare a lottare. Per le vite trans nere. Per chi è stato dimenticato. Per chi non ha voce. Per tuttə noi.

Grazie, Miss Major. Continueremo a camminare sulle tue orme.

lunedì 13 ottobre 2025

New York: La mostra che riscrive Harlem “The Gay Harlem Renaissance”



 
Harlem non era solo jazz e poesia. Era anche desiderio, travestimento, resistenza. La mostra 
“The Gay Harlem Renaissance” lo dice chiaro: la storia nera è anche storia queer. E non si può più raccontare a metà.


Tra smoking e versi, tra drag ball e salotti ribelli, l’arte LGBTQ nera ha scolpito un Rinascimento che il mondo ha provato a dimenticare. Ma ora riemerge, potente, colorata, scandalosa. Come Gladys Bentley che cantava in abiti maschili. Come Bruce Nugent che dipingeva corpi neri in estasi. Come Langston Hughes che scriveva l’amore in codice.

Questa mostra non è solo memoria. È una riscrittura. Una dichiarazione d’amore per chi ha osato essere sé stessə, anche quando il mondo diceva no.

“La fine non è una fine, ma un’esplorazione di ciò che è venuto dopo.” — Allison Robinson

Il Rinascimento di Harlem non fu solo arte. Fu identità, lotta e visione. Un seme che ha nutrito il movimento per i diritti civili e continua a ispirare oggi.