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giovedì 16 ottobre 2025

Scott Bessent e la strategia del traditore: visibilità senza giustizia nel governo Trump


Si chiama Scott Bessent. È gay, miliardario, sposato con un ex procuratore, padre di due figli nati da gestazione per altri. È stato nominato Segretario del Tesoro da Donald Trump—l’uomo apertamente LGBTQ+ ad aver occupato la carica più alta nella storia del governo statunitense.

Ma non c’è nulla da festeggiare.

Quello che avrebbe potuto essere un punto di svolta nella rappresentazione di un gruppo storicamente vulnerabile si è trasformato in una vetrina vuota. Un’operazione di marketing politico. Un arcobaleno dipinto su un muro che nasconde il filo spinato.

Nei primi mesi del suo mandato, il governo Trump ha firmato decreti che:

ridefiniscono il genere come binario e immutabile, cancellando le persone trans dal riconoscimento federale;


vietano le cure mediche di affermazione di genere;


reintroducono il divieto per le persone trans di servire nelle Forze Armate.

E mentre tutto questo accadeva, il Tesoro sotto la guida di Bessent ha rimosso dai moduli federali contro la discriminazione i campi relativi all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Un gesto silenzioso, ma devastante. Senza dati, non c’è denuncia. Senza denuncia, non c’è giustizia.

Le organizzazioni per i diritti umani lo hanno detto chiaramente:


“Mettere un uomo gay al governo non significa impegnarsi per l’uguaglianza. È una strategia simbolica per mascherare una politica di esclusione.” — Washington Blade

Scott Bessent non è un alleato. È un traditore. Una figura che ricorda il “capitão do mato”: il nero che, ai tempi della schiavitù, veniva incaricato di catturare gli schiavi in fuga. Un corpo marginale usato per proteggere il potere dominante. Un volto queer che serve l’agenda cis-etero-patriarcale.

La sua presenza ci costringe a riflettere: La visibilità, senza un impegno reale per i diritti, può diventare solo un altro strumento di oppressione e occultamento. Nel governo Trump, anche la diversità sembra esistere solo come facciata arcobaleno. 


Le fonti citate nel testo originale sono:

AP News


Human Rights Watch


Washington Blade


Il “capitão do mato”: quando la marginalità serve il potere

Dal Brasile arriva una parola che taglia come un machete: capitão do mato. Durante il periodo coloniale e schiavista, il capitão do mato era un uomo nero incaricato dai padroni bianchi di catturare gli schiavi fuggitivi. Un corpo oppresso che diventava strumento di oppressione. Un traditore, non per natura, ma per funzione.

Oggi, questa figura ritorna come metafora potente. Nel contesto Vanessa Mazza
razziale o femminista, il capitão do mato è chi—pur appartenendo a una comunità discriminata—sceglie di servire il potere dominante. Lo fa per privilegio, per carriera, per paura, o per convinzione. Ma il risultato è lo stesso: diventa vetrina, scudo, complice.

Scott Bessent, uomo gay a capo del Tesoro nel governo Trump, incarna questa figura. La sua presenza non ha portato diritti, ma ha mascherato la loro cancellazione. Ha rimosso dati, ha coperto decreti anti-trans, ha legittimato un’agenda di esclusione. È stato usato come arco-íris di facciata, come prova finta di inclusione.

E allora dobbiamo dirlo chiaramente: Non ogni corpo marginale è alleato. La visibilità non è sempre liberazione. La rappresentanza può essere anche repressione.

Nel nostro attivismo, dobbiamo saper distinguere tra chi lotta e chi decora. Tra chi rischia e chi si vende. Tra chi costruisce ponti e chi fa da guardiano al cancello.

Vanessa Mazza

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