PICCHIATA NEL CPT, TRANS BRASILIANA RISCHIA L'ESPULSIONE


di Paola Bonatelli

Chissà se la lettera inviata in questi giorni al prefetto e al questore di Milano - una richiesta di attenzione e di intervento ma anche di rispetto della legalità e dei diritti delle persone - da Luciano Muhlbauer, consigliere regionale della Lombardia (Prc), e dal consigliere provinciale Piero Maestri, di Sinistra Critica, porterà a Preziosa come regalo per l'anno nuovo un permesso di soggiorno «per ragioni di giustizia». Lei, 29 anni, brasiliana, transessuale, ex detenuta al Cpt (ora Cei) di via Corelli, rilasciata con un decreto di espulsione dopo essere stata picchiata e non adeguatamente soccorsa - i fatti si svolsero nella notte tra il 10 e l'11 luglio scorsi - ha denunciato sia l'aggressione con condimento di insulti razzisti, autori alcuni agenti della questura in servizio a via Corelli, che la Croce Rossa per «omissione di soccorso».

Per farsi portare in ospedale la notte del pestaggio fu necessaria una mezza rivolta delle sue compagne detenute con lenzuola e materassi incendiati e la protesta di un presidio esterno organizzato dal Comitato antirazzista milanese. E per avere una prognosi dignitosa che mettesse in relazione le lesioni riportate con le botte, Preziosa dovette recarsi al pronto soccorso dopo il suo rilascio, accompagnata dagli attivisti antirazzisti. Più che abbastanza per sporgere una circostanziata querela per ingiurie, lesioni personali, abuso d'ufficio, abuso d'autorità contro arrestati o detenuti e omissione di soccorso, con la conseguente apertura di un'inchiesta da parte della procura milanese: «La querela contro ignoti - spiega l'avvocato Eugenio Losco, che assiste Preziosa - è stata depositata il 31 luglio scorso. A metà ottobre Preziosa è stata convocata dal pm che ha raccolto la sua testimonianza e in quella sede è stato richiesto il permesso di soggiorno per motivi di giustizia. Inizialmente la risposta è stata positiva, poi però il permesso non è stato rilasciato con la motivazione che la normativa non prevede esplicitamente il rilascio per il tipo di fatto denunciato. In sintesi è a discrezione dell'autorità preposta e la questura non ha nessun interesse a farglielo avere».

Nel frattempo Preziosa, clandestina con decreto di espulsione, viene fermata a Piacenza e portata in questura; solo il pronto intervento del suo avvocato, che avvisa il magistrato che segue l'inchiesta, permette a Preziosa, previa dichiarazione del pm sull'indispensabilità della sua presenza, di essere lasciata andare. Invisibile per tutti ma non per il giudice, che prima di Natale l'ha sottoposta ad un nuovo interrogatorio per il riconoscimento dei suoi aggressori: «Lei ne ha riconosciuto alcuni - riferisce l'avvocato Losco - ed il procedimento a questo punto non sarà più contro ignoti. Tra l'altro vorremmo sapere il motivo della presenza degli agenti all'interno della struttura, dal momento che le direttive del ministero prevedono la vigilanza esterna e l'intervento solo in caso di necessità. Ora il problema più urgente è comunque il suo stato di clandestinità, per cui rischia sempre di essere fermata e mandata via, il che, ovviamente, non le consentirebbe di essere presente all'eventuale processo».

Del caso di Preziosa, che ha sempre avuto accanto gli antirazzisti milanesi, s'è parlato anche dal palco della manifestazione nazionale del 13 dicembre scorso contro il ddl Carfagna, che di fatto rende la prostituzione un reato. Mixato alla Bossi-Fini, se fosse approvato, il decreto farebbe delle prostitute/transessuali migranti un doppio bersaglio. Una situazione in cui l'unico dilemma da risolvere sarebbe: chiuderle in galera o nei centri di espulsione e identificazione? O in tutt'e due?

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