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giovedì 1 ottobre 2009

Honduras, la denuncia di Amnesty International


Amnesty International denuncia la repressione del governo golpista nei confronti dei sostenitori del presidente Zelaya: arresti di massa, chiusura degli organi d’informazione, pestaggi, intimidazioni. E avverte: «La situazione nel paese è allarmante». Almeno due le vittime accertate, decine i feriti. Ma i cortei continuano

Amnesty International ha denunciato gli arresti di massa, la chiusura dei giornali, i pestaggi a opera della polizia e numerosi episodi di intimidazione nei confronti dei difensori dei diritti umani in Honduras. Il 22 settembre, denuncia Amnesty, la polizia ha circondato la sede della Cofadeh, un’importante associazione per i diritti umani, lanciando gas lacrimogeni contro un centinaio di persone, tra cui donne e bambini. I dimostranti stavano protestando contro la violenza della polizia, il giorno prima, nel corso delle manifestazioni di fronte all’ambasciata brasiliana. La situazione nel paese «è allarmante – ha dichiarato Susan Lee, direttrice del Programma Americhe di Amnesty International – Gli attacchi contro i difensori dei diritti umani, le chiusure degli organi d’informazione, i pestaggi contro i dimostranti e l’aumento degli arresti di massa sono tutti segnali che i diritti umani e lo stato di diritto sono in grave pericolo. L’unica via d’uscita è che le autorità ‘de facto’ cessino la repressione e la violenza e rispettino i diritti alla libertà di espressione e di associazione» ha proseguito Lee, che ha concluso: «Chiediamo alla comunità internazionale di ricercare urgentemente una soluzione, prima che la situazione precipiti ulteriormente verso una vera e propria crisi dei diritti umani».
Almeno due persone, secondo un bilancio fornito dalla polizia, sono rimaste uccise dalle forze dell’ordine nel corso delle manifestazioni spontanee che si sono effettuate in tutto il paese alla notizia del ritorno in patria del presidente Zelaya, deposto da un colpo di stato il 28 giugno scorso. Zelaya, che ha detto che il numero di morti sarebbe superiore [ha parlato di dieci vittime] è tornato in Honduras lunedì sera e si è rifugiato presso l’ambasciata del Brasile. Come prima risposta, il governo golpista ha immediatamente interrotto ogni forma di rifornimento [acqua, luce, viveri] alla sede diplomatica.
Ieri solo nella capitale Tegucigalpa sono stati tra circa 15 mila i sostenitori di Zelaya a manifestare, sfidando il coprifuoco e la dura repressione di polizia e militari. Secondo fonti della società civile ci sono altre alle due vittime dozzine di feriti e in due stadi della città sono detenuti centinaia di arrestati.
A lanciare un ennesimo avvertimento al governo golpista è stato da New York, durante l’Assemblea generale dell’Onu, il segretario generale delle Nazioni unite Ban Ki-moon: il quale ha annunciato che l’Onu ha sospeso l’assistenza tecnica elettorale alle presidenziali, previste per novembre. Ban ki-moon ha sottolineato che «non esistono le condizioni per l’organizzazione di un voto credibile che porti pace e stabilità». Una decisione che suona anche come risposta agli annunci del presidente golpista, Roberto Micheletti, che si è detto «disponibile» a trattare solo a condizione di nuove elezioni.
L’Unione delle nazioni sudamericane [Unasur] ha chiesto «l’immediato e incondizionato» ritorno al potere di Zelaya e ha condannato «le azioni violente compiute dal governo de facto» di Micheletti, che nega «libertà e diritti umani del popolo honduregno». Sempre a New York , i rappresentanti dell’Unione europea [Ue] e dell’Organizzazione degli stati americani [Osa] hanno concordato di inviare, forse già nel finesettimana, una missione diplomatica a Tegucigalpa. Pur ribadendo le loro condanne del golpe, Ue e Osa non escludono il ritorno dei loro ambasciatori in Honduras – ritirati subito dopo il colpo di stato – accogliendo una richiesta dello stesso Zelaya tesa a favorire l’apertura di un negoziato.
Manuel Zelaya intanto ha denunciato in una intervista telefonica all’emittente Rne di temere per la sua vita a causa del complotto di «un gruppo di mercenari» che ha organizzato un piano per ucciderlo [ma doveva sembrare un suicidio]. Il piano, ha detto Zelaya, è stato sventato da servizi segreti europei e statunitensi. (carta.org)

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