Secondo un’indagine di Arcigay un ragazzo su tredici ha assistito a un pestaggio omofobico. Un dirigente scolastico su due non ha collaborato. Un pestaggio su cinque ignorato dai professori
In classe bulli contro i gay La scuola fa finta di non vedere
Di DELIA VACCARELLO
Il bullismo omofobico è un killer. Miete le sue vittime ogni giorno sui banchi di scuola, spesso agisce indisturbato perché ha molti complici. I ragazzi che colpiscono si fanno forti della classe. Loro sono i capi, gli altri vengono dietro. Ad essere micidiale è la dinamica del gruppo: «Certo che i compagni c’erano, erano in gruppo e si divertivano a sfottere in gruppo, nessuno ha detto nulla perché temeva di essere additato come gay o perché sarebbero stati fuori dal gruppo»: racconta un ragazzo molestato. Aggredire il compagno gay diventa un modo per dirsi «a posto» cioè etero, per sentirsi uniti, per cementificare uno straccio di identità collettiva ai danni di una vittima. I prof. Spesso voltano le spalle, chiudono gli occhi. Minimizzano. Sono i dati della prima indagine condotta dall’Arcigay che ha coinvolto 860 studenti e 42 docenti di scuola superiore con il supporto del ministero del Lavoro, Salute e Politiche sociali. Una ricerca tesa a dare una fisionomia precisa dell’«orrore quotidiano», suggerire risposte, pianificare forme di intervento. Le aggressioni non sono episodiche,ma ripetute, come goccia d’acqua erodono l’autostima dei compagni nel mirino. Gli effetti sugli adolescenti: «disagio psicologico, insuccesso scolastico, problemi di integrazione a scuola». I momenti preferiti sono l’intervallo e la pausa per la mensa, il luogo deputato è la classe, nel 73% dei casi non sono presenti i professori, nel 20% lo sono, ma è come se non ci fossero. È per questo che il 60% dei partecipanti ha segnalato l’urgenza di progetti di «educazione alle diversità rivolta non solo a studenti ma anche a insegnanti». Inutile dire che sono problemi cui non si può rispondere con frasi generiche tipo: «La scuola oggi è tutta malata». No, occorrono misure ad hoc. I risultati dell’indagine mostrano la diffusione nei gesti e negli atteggiamenti dello stigma. Altro che battute. Si tratta di offese che trovano l’appoggio di un contesto assuefatto a mettere in un angolo i ragazzi che mostrano di avere un orientamento omosessuale. I quali spessissimo per difendersi si «vestono» di silenzio. Ecco i dati (vedi www.arcigay.it) raccolti attraverso un questionario consultabile su http://www.scuolearcobaleno.eu/: solo un terzo degli studenti non ha udito epiteti omofobi e prese in giro nell’ultimo mese a scuola. Vuol dire che due ragazzi/e su tre negli ultimi trenta giorni hanno sentito ingiurie simili all’indirizzo dei coetanei: «frocio», «finocchio», «ricchione», «checca» e «lesbica di m.». Per uno studente su cinque queste espressioni fanno parte della vita scolastica quotidiana. Pensateci un attimo: è come se tutti i giorni uno studente sovrappeso si sentisse dire «ciccione di m…». Come reagirebbe? Etero, gay, lesbiche, bisex: sono orientamenti di pari valore, ciascuno consente una capacità di amare completa sul piano fisico ed emotivo. Ma per l’opinione diffusa a scuola (e non solo) gay e lesbiche sono «fuori». Da colpire. Sono «loro».
AGGRESSIONI
Ancora. Uno studente su 13 ha assistito almeno una volta nell’ultimo mese ad aggressioni omofobiche di tipo fisico (calci e/o pugni). Eppure la maggioranza degli insegnanti dichiara di non esserne al corrente. Nei confronti delle ragazze le aggressioni sembrano essere minori,ma sono molte le situazioni che restano nell’ombra, perché le ragazze, educate al contenimento della sessualità, si nascondono di più. Ad allarmare è la quota di bulli «in libertà». Uno studente su cinque lo è, mentre il 4% dei ragazzi è una vittima. Vuol dire che c’è un accanimento, che alcuni coetanei sono considerati non compagni di scuola ma bersagli. E sono facili da centrare perché a difenderli non c’è quasi nessuno. Mentre chi ferisce può contare su una massiccia dose di omertà. Una prova? La ricerca è stata condotta selezionando un campione di istituti a caso dal sito dell’anagrafe delle scuole statali del Ministero dell’Istruzione. Le scuole «sorteggiate» hanno ricevuto l’invito a partecipare. Un dirigente scolastico su due si è rifiutato di collaborare. Le aree del Sud e del Nord-Est sono quelle in cui si sono registrati i maggiori rifiuti (tre su quattro istituti contattati). Bullismo omofobico? Zitti.
Nessuno è libero di vestirsi come vuole.
LA STORIA 1 «La prima derisione l’ho ricevuta all’età di 13anni in seconda media poiché vesto e mi atteggio in maniera mascolina. Molti mi chiamavano «lesbica de merda». Da allora sono iniziate le prese in giro e adesso che sto alle superiori mi ritrovo a dover fronteggiare molte più persone che agiscono malamente nei miei confronti. Alcuni mi avrebbero voluto picchiare ma sono stata fortunata e non li ho (ancora) incontrati»
Oddio, l’ora di educazione fisica.
LA STORIA 2. Per alcuni ragazzi è il panico. Non si tratta più di restare protetti dietro a un banco, schermati da una pila di libri. Il corpo si muove. Descrive se stesso nello spazio. Si svela. Gli altri capiranno? Meglio nascondersi: «Le ore di educazione fisica mettono in luce i modi femminili che riesco a nascondere durante le altre ore… Personalmente faccio di tutto per evitare le ore di educazione fisica».
L’odio negli occhi dei compagni più grandi.
LA STORIA 3. Quelli più grandi sanno già cosa è il “sesso”, sono contaminati ormai dalla morale repressiva che dà la linea su ciò che è “normale” e su ciò che è «deviato». È una corazza che non si sono scrollati di dosso. Anzi: ne hanno fatto un’arma: «Sono stato preso di mira da ragazzi più grandi, ed ogni giorno erano insulti, derisioni pubbliche verbali e fisiche, come il tenermi fermo per mimarmi addosso un rapporto sessuale».
Non ce la faccio più, mi butto via.
LA STORIA 4. «Andavano dalle semplici offese verbali a sputi e calci. Fino a simulazioni di violenza sessuale su di me. Mi prendevano la testa e la spingevano contro i loro genitali al grido di “succhia frocio”, mi urinavano addosso per poi andarsene come se nulla fosse. E verso metà del quinto anno, siamo arrivati anche alle minacce di morte, che sono state causa di un mio tentato suicidio e del mio successivo ritiro da scuola».
La denuncia
Gaypride: nel 2010 ancora molti gli abusivi e le discriminazioni
«Nel 2010 noi, omosessuali e trans,siamo ancora discriminati sul lavoro e nei rapporti sociali e soggetti a violenze per strada». Questo l’allarme lanciato dai portavoce del Roma Pride 2010 Mattia Cinquegrani, Luana Ricci e Esther Ascione. Tutti e tre hanno vissuto, in prima persona e in diversi modi, episodi di discriminazione o aggressioni. Mattia, ventitreenne genovese, ricorda la sua esperienza:«Sono stato aggredito su un autobus notturno di Roma da un gruppo di ragazzi, prima in maniera solo verbale e poi uno di loro mi ha messo lemani al collo, nella totale indifferenza di 40persone. Nessuno mi ha soccorso ed e’ stato terribile». Per Luana, musicista di 47 anni, licenziata dalla cattedrale di Lecce a fine agosto dello scorso annodopo18 annidi servizio come organista in seguito al suo coming-out, l’odissea- lavoro non e’ancora finita.
GLI ULTIMI PESTAGGI
31 maggio 2010
Gianvito, 23 anni studente in design al Politecnico di Milano, è stato aggredito presso le e colonne di San Lorenzo.
25 maggio 2010
Un giovane omosessuale di 24 anni è stato pestato in via del Fagutale, nei pressi del Colosseo, zona dove sono presenti locali per omosessuali.
20 maggio 2010
Picchiato sotto casa Francesco Zanardi, il gay savonese che ha denunciato di essere stato vittima, da adolescente, di un prete pedofilo.
26 aprile 2010
Mattina, 22 anni, studente. Schiaffeggiato e insultato a bordo di un autobus notturno nella zona di Trastevere a Roma perché gay.
22 marzo 2010
Un marocchino di 26 anni residente in Italia è stato picchiato dai buttafuori della discoteca ‘Mon amour’ di Rimini, per aver baciato il proprio compagno.
7 febbraio 2010
L’assessore alla mobilita’ del Comune di Udine, Enrico Pizza, ha presentato un esposto contro ignoti dopo gli insulti omofobici subiti.
Dagli adolescenti gay ai monsignori. Scene di doppia vita
D.V.
Quando un ragazzo o una ragazza si innamorano di un coetaneo del loro stesso sesso imparano a mimetizzarsi. Conoscono gli insulti. Bisogna stare attenti. I sentimenti però traboccano, le attrazioni sono calamite. A 15 anni la via impervia dell’astuzia è lontana. Magari si innamorano a scuola. E nel percorso da scuola a casa alimentano il totem del primo amore. Gli sguardi, i rossori, l’eccitazione: sono acqua che sa dissetare. L’amore li fa vaghi, stralunati. Che fare? Aperta la porta di Casa schermano lo sguardo. Se i loro amori fossero del sesso opposto, potrebbero non vestirsi di indifferenza. Alla fine la domanda arriva. A un ragazzo si chiede: ma hai la fidanzata? In quella «a» c’è il colpo che secca le labbra. La saracinesca del dialogo abbassata. Come fare a spiegare ciò che gli altri non prevedono? Come dire che è un lui? Silenzio, occhi bassi, cambiare discorso. E il sentimento va in apnea. In classe nessuno deve capire. Altrimenti vedi i compagni toccarsi il lobo dell’orecchio, mimare scene di sesso etero per dare una lezione. Una lezione di violenza. Può l’amore restare nudo? Meglio inabissare. Si chiama doppia vita, dissociazione nei casi gravi e frequentissimi. Vuol dire frenare le emozioni, diffidarne, il che è peggio. Filtrare gli entusiasmi, ingrigirsi dinanzi agli altri. Vivere secondo il come tu mi vuoi. Con dubbi atroci: chi sono io? Quello che ama? O quello presentabile? Può durare per tutta la vita. In famiglia non funziona come nel caso dei neri. Non c’è un genitore pronto a comprendere l’offesa perché la sperimenta sulla propria pelle. Gli adolescenti gay e lesbiche sono quasi sempre figli di coppie etero. E spesso in casa indossano una maschera. Non sono i soli. Ci sono ambienti dove la sessuofobia è una tenaglia. Le dichiarazioni delle gerarchie ecclesiastiche non lasciano dubbi. L’omosessualità è disordine. Una Natura umana della quale i capi della Chiesa credono di avere la chiave avrebbe inciso nella “carne” il cartellino con il sesso dell’oggetto da amare. Sei donna? Devi unirti a un uomo e solo per procreare. E viceversa. Il sesso non è messaggio, né gioia. E’ strumento. Molti credenti gay si sentono cani in Chiesa. Ce ne sono a migliaia, pochissimi a viso aperto. E i preti? Nei gruppi di omosessuali che hanno fede sono mosche bianche. Vivono la notte dei desideri. Cercano incontri furtivi. Facile ammalarsi di morbosità. Non si può desiderare solo nello spazio asfittico di una chat. C’è chi di loro si toglie l’abito e chi accetta la doppia vita. Fatta di ossessioni, di macigni, di abissi interiori, di masochismi. Di inferno in terra e di bizzarre espiazioni. Di orari: alle17 incontro lui, alle 18 servo messa.
I sacerdoti sono una categoria molto richiesta nei numerosi siti on line per incontri gay- Registrarsi è semplice, se hai pazienza e costanza arriva finalmente la risposta del “don”
In cerca di preti nelle chat popolate di solitudini
ILARIA DONATIO
Viaggio tra i siti on line per incontri gay alla ricerca di un prete. Lo scrivi nel profilo, senza perdere tempo. Ai sacerdoti è dedicata una delle tante chat room. Unico divieto: la pedofilia e i rapporti con i minori.
Un mese intero passato in chat. In orari e con nomi diversi. Con un’unica indicazione nel profilo: “In cerca di un don”. La prima cosa che si impara nei siti di incontri online è che non c’è tempo da perdere. Dunque, è meglio chiarire subito cosa si cerca: “170×67 castano non peloso maschile giovanile”. Oppure: “165×80, moro riccio, molto peloso, maschile e carino”. E, in questo caso, che sia anche prete. Se è vero, poi, che tutte le chat si assomigliano, per quelle gay c’è solo l’imbarazzo della scelta: registrarsi è semplicissimo. Nessun controllo, ad esempio, sull’età dell’utente che, in teoria, potrebbe accedere ogni volta con un nick diverso. Ci sono Mirc, la chat di gay.it, 77chat.com, ma anche siti come bearwww.com, gayromeo.com, gaydar.it: alcune richiedono anche la foto ma generalmente basta inserire pochi dati essenziali e l’indicazione di cosa cerchi e come lo vuoi. Sesso, amore, amicizia, scambi di coppia: l’obiettivo è quasi sempre incontrarsi, nella realtà oppure via web cam. I preti sono una categoria molto richiesta. Come i militari. “Il fascino della divisa”, si potrebbe dire. A loro è dedicata una delle tantissime chat room in cui è possibile entrare su 77chat.com. Qui, in homepage, campeggia uno sbrigativo divieto di pedofilia e pratiche sessuali con minorenni. La nostra stanza a tema si chiama “Preti e amici”. I nick dei preti sono abbastanza scontati: Don cerca maturi, d_off, don umbro, don, don giu, don marco, don40, padre Pio e tanti altri. Gli “amici” indicano nel profilo le proprie preferenze. “Dove sei? Quanti anni hai? Come sei fatto?”. È un copione già scritto: basta attendere pochi minuti e si aprono, una dopo l’altra, le prime finestre di dialogo. Le domande sono sempre quelle e conviene rispondere alla svelta per passare al secondo “blocco” – “sei sposato? single? gay? bisex?” – superato il quale avviene il (fortunato) passaggio a un luogo più sicuro: msn e/o telefono, preludio dell’incontro. Noi ci siamo fermati prima, semplicemente, scomparendo e riapparendo in chat con un nick diverso: un altro giro, un’altra corsa. Un mondo, quello delle chat “per adulti”, più normale e ordinario di quanto si pensi. In realtà, un pezzo del nostro stesso mondo, incredibilmente popolato da solitudini, desideri repressi, sensi di colpa. Vite divise. Che, come osserva il teologo morale Giannino Piana (l’intervista è a pagina 8), sono “drammaticamente segnate da una sorta di lacerazione”, alla perenne “ricerca di un modello troppo alto per essere raggiunto”.
“Prego, dico messa e ho sensi di colpa: mi piacciono gli uomini”
In chat con un sacerdote: «So che dal punto di vista della Chiesa sono in errore, ma è più forte di me Ti ho spaventato? Per favore ora non sparire…»
I.D.
Don: ciao, da dove?
X: da Roma e tu?
D: anch’io, quanti anni?
X: 39… sei un prete?
D: io 49, sì sono un prete. Anche tu?
X: io no, li cerco…
D: eccomi! Sei sposato?
X: no, sono gay
D: gay?
X: Perché, tu no?
D: non mi piace definirmi
X: avrai delle preferenze…
D: mi piacciono i maschietti
D: se ti far star bene pensare che sono gay, facciamo come dici tu… sei maschile o effeminato?
X: maschilissimo. Hai una relazione in questo momento?
D: sì ma lui vive a tanti chilometri
di distanza…Dimmi, come sei fisicamente?
X:Sono alto 1,77, abbastanza magro, castano: un bel tipo secondo quelli a cui piaccio…
D: eh,eh,ehe è tutto soggettivo! Io, 170×67, castano, non peloso, maschile giovanile.
X: perché cerchi altri incontri se hai già una persona?
D: ti ho detto che cerco altri incontri?
X: chiedi a tutti come sono fatti prima di diventarci amico?
D: beh, non li escludo mai in genere non approdo mai a niente di che…
D: in che zona sei tu?
X: Roma nord. Dove vivi? in istituto o da solo?
D: zona centro, vivo solo… tu non hai storie in corso?
X: sì, una un po’ traballante: convivo con una persona.
D: Comunque, io non ho e non cerco esperienze di sesso anale: non mi interessa…
D: sei scappato?
X: scusa, perché me lo dici così?
D: meglio essere chiari…
X: non le cerchi o ne hai paura?
D: è una mia idea fissa e nessuno me la toglie…
X: un’idea fissa che ti infastidisce a quanto pare!
D: no…. uno può pensarla così?
X: certo, per me ognuno può fare come gli pare! E cosa ti concedi se posso?
D: beh tutto il resto in genere… sempre in bilico tra il cercare e lo sforzarmi a “fare il bravo”
X: e “il resto” invece ti dà piacere?
D: sì, certo.
X: non ti provoca sensi di colpa?
D: molti…
X: perché sei diventato prete, se posso?
D: è il risultato di certe situazioni vissute sulla mia pelle (penso): di contrasti prima e di solitudine poi…
X: ma sei contento di esserlo?
D: tutto sommato sì
X: il tutto sommato ha a che fare con la sessualità?
D: sì ma anche perché sto svolgendo una mansione particolare, con molta solitudine: ecco questo è un po’ il problema
X: quando finisce questa mansione?
D: non decido io… è una situazione un po’ complessa. Dai, cambiamo discorso! Che numero di piede hai?
X: … questa domanda non me l’aspettavo: 42 comunque…
D: ognuno ha le sue stranezze… mi piace il piede maschile e mi piace il maschio in calzini… ehehehhe
X: intendi che ti piace il maschio nudo e vestito solo con i calzini?
D: no, anche vestito… purché in ciabatte e calzini, stranezze della vita!
X: in effetti è da approfondire…
D: beh, tu hai le tue: la storia dei maschi e dei preti da quanto ti frulla in testa?
X: da sempre e in questa chat mi sembra sia una fantasia molto comune!
D: dai, chiedimi quello che ti va… ti «concedo» tre domande
X: vorrei sapere se hai mai perso la testa, il controllo, per qualcuno…
D: sì, ma senza esagerare…
X: ti spreteresti mai?
D: non credo
X: dunque così vivi bene?
D: beh nessuno mi ha obbligato, è una scelta libera che uno fa sapendo a cosa va incontro…
X: che fai ora?
D: già vuoi sparire?
X: ma no, ti dico che non sparisco…
D: ok… lavoro anch’io: prego, leggo, dico messa
X: mmhh se mi dici dove celebri vengo in incognito… vorrei ascoltare le tue omelie…
D: … comunque, per la cronaca, ora sono un po’ eccitato…
X: come mai? cosa stai immaginando…
D: niente di che, solo il fatto di seguirti nel discorso…
X: allora continuo… che tipo di relazioni hai con gli uomini (maschi) in carne ed ossa?
D: se intendi il sesso, solo esperienze orali: perdo molti punti ai tuoi occhi?
X: ma no! Solo, mi viene in mente una domanda: prova a spiegarmi la differenza. Dal punto di vista della
Chiesa sei comunque in errore…
D: lo so ma proprio non ci riesco. Dimmi come sei vestito…
X: jeans e polo blu. Tu?
D: io in jeans nero e maglietta, sono in ciabatte…
X: ah vero, le ciabatte…
D: eheheh…
X: Che hai da fare più tardi?
D: ho un incontro di preghiera…
X: hai un gruppo con cui ti vedi spesso oppure le persone cambiano?
D: una volta al mese se posso vado ma sono più di 400/500 persone.
X: ah però!
D: come ti chiami?
X: Matteo e tu?
D: Paolo… che farai domani?
X: riposo. Tu?
D: messa alle otto, poi angelus e quindi….riposo. Senti: non ti piacerebbe conoscermi?
X: sì che mi piacerebbe
D: vorrei incontrarti, anche solo una volta…
X: vediamo che succede, facciamo con calma…
D: vorrei solo un punto più sicuro dove trovarti… metti msn!
X: ok, dai, ci provo.
X: Ma come ti chiamano: don o padre?
D: in entrambi i modi… sai, qualcuno mi chiama anche monsignore.
X: accidenti!
D: ci sei stasera? Dalle 17.30 in poi sono qui. E se mi chiedi di fare due passi, ci sono pure! Lo vuoi il mio cellulare?
X: non lo voglio
D: ok
X: sei arrabbiato?
D: ….
X: forza! Non avere fretta monsignore…. fammi un sorriso!
D: sapessi…
X: dimmi…
D: se potessi ti darei un bel bacio sulla bocca… anzi, me lo daresti tu un bacio? mi fai un po’ di coccole?
X certo che te lo darei: come lo vuoi?
D: dolce, lento, passionale…
X: te lo sto dando…
D: mmhh…
X: ti piace?
D: moltissimo, sono eccitato.
X: mi fa piacere che ti piaccia
D: se fossi qui ti farei di tutto…
X: tranne il rapporto completo…
D: tranne quello: non avverrà mai. Ma se fossi con me ora, ti spoglierei, ti leccherei tutto…
X: Forse è meglio che ci salutiamo ora…
D: Non sparire
D: ti ho spaventato? Sono sempre molto provocante in chat ma ti assicuro che in realtà sono impacciato e pure… inconcludente.
X: non ti devi giustificare…sei quello che sei
D: non sparire
X: non sparisco.
«Sulla sessualità la Chiesa cambi alcune regole morali»
Il teologo «Una visione negativa del sesso mette in moto un meccanismo perverso di colpa. Attraverso le chat on line certi preti cercano una dimensione dove poter vivere»
Professor Piana come commenta, da teologo morale, il dialogo che abbiamo proposto?
«Purtroppo, credo che quello che viene fuori abbia fondamento e temo anche che si tratti di un comportamento abbastanza diffuso. Non so dal punto di vista statistico quante persone tocchi, ma certamente esiste una percentuale piuttosto estesa di preti che hanno tendenze omosessuali e che, attraverso le chat online, tentano di stabilire rapporti dai risvolti sessuali molto evidenti: vorrebbero vivere, così, una dimensione che reprimono nella vita reale, sintomo, questo, anche di una certa solitudine.
C’è un elemento che emerge con chiarezza: l’esistenza di vite divise tra due mondi che corrono parallelamente…
«Questo doppio volto emerge con chiarezza dal colloquio: si fa continuamente presente e si rivela – nelle sue debolezze, nelle sue pulsioni – solo in contesti lontani dalla vita consacrata. Fa pensare all’esistenza di tutto un mondo sotterraneo che resta tale e che non viene soddisfatto. Questo perché non è stato neanche opportunamente coltivato attraverso un processo che l’avrebbe condotto, magari, a una sublimazione, ma molto più seria. L’assenza di questo percorso fa sì che esplodano forme contraddittorie di pulsione che rivelano, tra l’altro, tratti della personalità rimasti alla fase adolescenziale».
È possibile secondo lei convivere per un’intera esistenza con e dentro questa contraddizione?
«È certamente difficile ma è anche possibile, purtroppo. C’è ed è forte la difficoltà oggettiva a comporre i due momenti: quello più autentico – che però esplode in forme abnormi e persino infantili – e per un altro verso, la necessità di rimanere in un contesto che permette di sopravvivere e che offre garanzie, sia dal punto di vista economico sia da quello della sicurezza. Garanzie anche di tipo psicologico: c’è uno status acquisito, c’è un ruolo che si esercita, c’è un’immagine di sé che, anche se in alcuni contesti, permette di socializzare».
Ma una persona consacrata è in grado di gestire una condizione del genere svolgendo in modo adeguato il proprio ministero?
«Io credo di no: dove non c’è trasparenza, dove non c’è una scelta fatta liberamente – che sia orientata in una direzione o nell’altra – inevitabilmente nell’esercizio del ministero non è garantita quella autenticità necessaria e richiesta, quella trasparenza che deriva dal nocciolo più profondo di una persona. Ma questo comporta una scelta: quella di stare pubblicamente con un’altra persona, oppure, l’avvio di quel processo di sublimazione, anche della propria solitudine, di cui parlavo prima (e che però richiede una particolare tensione morale e psicologia ma anche una certa maturità). Ho l’impressione, inoltre, che ci sia spesso, in molti preti, una certa difficoltà di rapportarsi agli altri in modo autentico e che emerge immediatamente e, forse, nasce anche da queste situazioni: con la conseguenza che risultano, alternativamente, quasi ostili ai rapporti, chiusi in se stessi oppure, al contrario, completamente dediti a forme (superficiali) di cameratismo, a rapporti troppo carichi e che rivelano sempre una situazione non chiarita al livello di coscienza personale e coinvolge il modo stesso in cui vivono il loro ministero».
Basterebbe, secondo lei, cambiare le regole? Mi riferisco a quelle che fondano la morale sessuale della Chiesa cattolica.
«Credo che questo cambiamento sarebbe importante e inciderebbe su molte vite: la morale cattolica ha mantenuto, soprattutto a livello normativo, una visione fortemente negativa della sessualità, con la conseguenza di mettere in moto un meccanismo perverso di colpa e di auto-giustificazione. Certamente, conta anche l’inserimento in un contesto piuttosto che in un altro: anche oggi ci sono seminari più severi e repressivi nei confronti della sessualità (e della donna in particolare) ed altri che puntano, seguendo lo spirito del Concilio Vaticano II, a una maggiore responsabilizzazione del soggetto, a valorizzare la libertà di azione e l’attenzione a scelte diverse. Questo, com’è naturale, provoca minori sensi di colpa e anche una visione più serena della sessualità e dell’erotismo. Dunque, direi che la revisione delle regole che, di fatto, sono sempre più inascoltate, sia importante e valga per tutti, non solo per chi fa la scelta del sacerdozio. Ma mentre la gente comune, credente e praticante, ha ormai instaurato un rapporto che definirei “selettivo” con l’istituzione (tiene quel che le serve e sul piano morale prende le distanze), chi compie una scelta di vita consacrata, fa anche percorsi più necessitati e costringenti di quanto lo siano quelli normali. D’altra parte, c’è anche un aspetto del tutto soggettivo: è chiaro che le persone più fragili sono anche le più esposte ai sensi di colpa, che poi sono sempre il frutto di pressioni esercitate dall’esterno. Ma anche di modelli ideali eccessivamente staccati dalla realtà. È questa distanza, è l’incapacità di essere fedeli a quel livello di idealità che viene proposto, è il vivere una serie di situazioni che portano lontano da quello che vorresti essere e che non sei, è tutto questo insieme, alla fine, che provoca conseguenze distruttive sulle persone”.
Chi è Giannino Piana
Giannino Piana è docente di Etica cristiana presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Libera Università di Urbino e di Etica ed economia presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Torino.
Fonte:http://www.gayfreedom.it/
1 commento:
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