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lunedì 5 luglio 2010

Orgoglio trans

Oltre 100mila persone: giovanisismi e meno, lesbiche e trans, figli e genitori, etero e gay. C'è chi li guarda. I politici li temono

Per fare un Gay Pride a Roma questa non era certo la settimana migliore. Transessuali di nuovo accusati di voler “incastrare” politici, petardi contro il Gay Village, ritrovo estivo degli omosessuali nella Capitale, e tutti i manifesti che annunciavano il corteo coperti da altre scritte.

La Festa però, al Roma Pride 2010, non sono riusciti a rovinargliela. Non tanto per i numeri – gli organizzatori dicono 100mila, ma anche tra i partecipanti c’è chi ammette che sono molti meno – quanto per chi c’è. Giovanissimi e meno, lesbiche e trans, figli e genitori, etero e gay. Tutti insieme a chiedere una cosa semplice semplice: uguaglianza. Il ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna ovviamente in piazza non c’è e nemmeno sulle accuse ai transessuali lanciate dalla finestra di via Manlio Torquato aveva detto una parola.

Ieri non ha potuto che definire la manifestazione “gioiosa, serena e partecipata”. Per dare un segnale più concreto della sua presenza potrebbe adoperarsi per la modifica della legge Mancino che le associazioni chiedono da tempo: estendere il reato di discriminazione per motivi razziali, etnici e religiosi anche all’omofobia. O almeno, rispondere a un’altra richiesta ancora più semplice: creare a Roma quel monumento intitolato ai gay e ai trans vittime di violenza che già esiste a Parigi e Berlino.

Ieri, il Pride romano una corona l’ha già deposta in un luogo ideale. Per dire che se nessuno li ascolta fanno da sé, hanno anche attraversato San Giovanni in Laterano, la piazza che vorrebbero ma che gli hanno sempre negato. Ovvio che il corteo non chieda solo simboli. Vogliono matrimonio, possibilità di adozione, la fine delle discriminazioni sul lavoro, una legge contro l’omofobia. Sperano che nel Parlamento italiano possa finalmente nascere una ‘lobby dei diritti’, così come ci sono, e si sentono, quella dei cattolici e quella dei bravi di giorno e cattivi di notte. Daniele Priori è il segretario nazionale di GayLib, associazione gay di centrodestra.

Sono ragazzi iscritti al Pdl, alla Lega e all’Udc, stanchi dell’“incoerenza” dei loro partiti. Il caso Zaccai insegna: in piazza con il crocifisso a lanciare strali contro la prostituzione, a casa in compagnia di trans e imbottito di cocaina. “Non c’è limite al ridicolo – dice Priori – Lo scriva pure, anche se è ora di finirla con questo gossip guardone. Accompagnarsi a un trans non è reato, sono fatti suoi. Il punto è che l’amore – non quello sporco, quello fatto con la droga – è uguale per tutti. Deve diventare come una battaglia sindacale”. Ma di una ‘lobby’, si sente il bisogno anche nella società. Mariella, 56 anni, è madre di una ragazza lesbica. Confessa che nonostante lei e suo marito siano laici e di sinistra, il coming out sia stato uno shock.

Per questo ora – ogni lunedì pomeriggio, in via Efeso a Roma – vanno all’Agedo, l’associazione che aiuta i genitori a riprendersi dal colpo. “Mi dispiace – dice Mariella – di aver cominciato ad impegnarmi solo quando sono stata personalmente coinvolta. Una nazione che non ha diritti uguali per tutti non si può chiamare democratico. Ricordiamocelo anche quando non ci riguarda”.

Storie di Jessica, Marçia e Camila: droga, vip e
pregiudizi

Jessica: “Se parlo rischio di sparire”

Scende dall’autobus e parte il torcicollo generale. Tutti con gli occhi rivolti a Jessica, 35 anni dall’Argentina. Trans. È in Italia da quattro e si trova “da Dio”. Al Gay Pride c’è venuta come andasse a “una festa”. Le amiche la raggiungono dopo qualche minuto: lei tutta in tiro, loro vestite con la divisa della Nazionale argentina, inneggiano a Maradona. Un pomeriggio da passare insieme per le strade di Roma, puro divertimento. Di diritti negati non ne vuol sentir parlare. “Se ti discriminano, sei tu che lo permetti. E io faccio in modo che non succeda”. Lei racconta di fare la parrucchiera porta a porta, va a casa delle amiche che la chiamano. Nel tempo libero, tanti viaggi. Madrid, Parigi, Londra. “I miei fratelli eterosessuali dicono che è molto meglio la mia vita di quella che fanno loro. Hanno ragione. Se morissi, io, vorrei rinascere uguale”. Per vivere così, però, da casa sua se n’è dovuta andare. “È la mia unica sofferenza: la mia famiglia sa tutto, e ha accettato la mia scelta. Ma mi hanno detto subito che è meglio se sto lontana”. Quando le chiedi che ne pensa delle storie dei politici italiani, dei festini a base di sesso e coca, preferisce non parlare. Perché? “Perché dovrei parlarne male, e il rischio è quello di sparire. A una mia amica è già successo: ha raccontato delle cose e non si è più vista. Desaparecida”. Parola di argentina.

Marçia: “Droga e vip, ma non sono a mio agio”

Marçia, 31 anni, brasiliana, ha capito che in Italia, quando le chiedono che mestiere fa, è meglio dire questa parola: escort. L’ha iniziata a usare da poco, anche se di prostituzione vive da 12 anni. Ha provato a fare anche dell’altro, la barista per lo più, ma non ce la faceva a sopportare ogni sera i pregiudizi “troppo forti”. Sono quelli che l’hanno costretta ad “andare dietro” nel palcoscenico della vita. Ora vive “serenamente”, è “felicemente fidanzata” con un ragazzo italiano e non le piacciono quelli che “pensano che siamo fatti tutti della stessa pasta”. Nel suo mondo “la droga c’è, i politici pure” ma lei non si sente “a suo agio”. Preferisce situazioni “più riservate”, quelle dove è più difficile cacciarsi nei guai.
Cosa avrebbe voglia di dire a chi in pubblico vi punta il dito contro e in privato vi viene a cercare? “Direi che dovrebbero fare una riflessione, pensare che ognuno campa come può, che in strada c’è di peggio”. Sei molto gentile. “Mah, forse sono solo molto diplomatica”.

Camila: “Le ordinanze? Non le rispetta nessuno”

“In Italia serve a tutti avere una copertina pulita, qui c’è sempre di mezzo il Vaticano”. Camila, 27 anni, colombiana, in questi otto anni ha imparato a conoscerci bene. Lavora per strada, forse avrebbe preferito fare altro, studiare, lavorare, ma “è molto più difficile”. Qui a Roma comunque sta “benissimo”: sente che c’è “più tolleranza” rispetto al suo Paese per le persone come lei. Ma come: e le ordinanze anti lucciole? E le telecamere e le multe?
“Non lo fanno per cattiveria, servono per far contento il Vaticano. Facciano pure, tanto poi quelle leggi non le applica nessuno”. Una sola regola ha capito che va rispettata: “Vivere tranquilla”. Che significa fare tutto il contrario di quello che hanno fatto Natali, Brenda e le altre: “Loro se la sono cercata, volevano farsi pubblicità. Se incontrassi dei politici non andrei mai a dirlo al telegiornale. È il nostro lavoro. E poi se una viene a vivere in un altro Paese deve adattarsi alla cultura di quel posto”. Camila lo ha capito bene, come si fa qui da noi per campare cent’anni.
pa.za.



di Paola Zanca

fonte: http://www.ilfattoq di Paola Zanca uotidiano.it/2010/07/04/orgoglio-trans/36087/

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