Un documentario dell'Università sulle storie di chi viene considerato "diverso". Il film nasce da una ricerca dei sociologi Luca Queirolo Palmas, Luisa Stagi e Emanuela Abbatecola con la regia di Alessandro Diaco
di ERICA MANNATiago che va sullo skateboard. Tiago che prende l'autobus. Tiago che si sente incollato addosso lo sguardo degli altri, e che se ne frega: "Yo no me complico". Io non mi complico la vita, dico le cose come stanno.
E le cose stanno così: che lui, 16 anni, venezuelano, è gay. Doppia minoranza, discriminazione al quadrato. Ma il diritto che viene rivendicato è quello all'indifferenza. Non a essere tollerato, ma "a essere quello che si vuole, senza etichette. Insomma, che gli altri si dimentichino di me".
Inizia così, "Yo no me complico", il documentario prodotto dall'Università di Genova - Disa a partire da una ricerca dei sociologi Luca Queirolo Palmas, Luisa Stagi, Emanuela Abbatecola, con la regia di Alessandro Diaco.
Un lavoro prodotto dal Laboratorio di Sociologia Visuale - nato circa un anno fa -, proiettato alla rassegna "Genova Città dei Diritti" e ora rivolto a festival e a dibattiti pubblici. Ma non per insegnare qualcosa, o dimostrare una tesi. "Il film è un mosaico di storie - spiega il regista Alessandro Diaco - uno squarcio che mostra il lavoro sul campo degli stessi sociologi. Non c'è niente da dimostrare: solo mettere sul tavolo delle questioni, e spazzare via le nubi che le avvolgono".
"Il punto è che le forme di alterità vanno a sovrapporsi all'identità. - chiarisce Luisa Stagi - Quando sei trans e migrante come ti definirebbe, per esempio, un titolo di giornale? Perché entrano in gioco due etichette, che ti spersonalizzano: e l'etichetta allontana, nega i diritti. Ecco, credo che nel mondo Lgbt l'essere trans sia ancora più dirompente rispetto alle altre categorie, perché va a scardinare un ordine sociale di genere che diamo per scontato. E questo, nelle persone, crea disagio". Anche all'interno delle stesse comunità transessuali, spiega la Stagi, lo straniero crea spaccature. "Perché entra in gioco la provenienza sociale. Lo straniero spesso non ha un lavoro, in taluni casi addirittura è costretto a prostituirsi. E le associazioni lottano per non far prevalere questa immagine, stereotipata dai media. Ma alla fine tutti cercano di far valere i propri diritti, che sono gli stessi". Primo tra tutti, quello all'indifferenza. Il concetto è dell'antropologo Manuel Delgado: un diritto che va al di là di quello di veder riconosciuta - e rispettata - la propria differenza: "È il diritto a essere quello che si è senza dover subire lo sguardo di chi fa notare che sei uscito dal tracciato, dalle categorie". Tiago, dallo schermo, ha l'aria sorpresa. "Chissà, magari cambierò ancora orientamento sessuale. E allora, dov'è il problema? Perché complicarsi la vita?".
Fonte:http://genova.repubblica.it/cronaca/2010/07/28/news/immigrati_e_trans_la_doppia_discriminazione-5884203/
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