La carne fresca

Luana é una giovinetta piena di desideri, gli occhi vispi che non si nascondono i trabocchetti della strada. Una gonna jeans che le copre appena il deretano e immancabili ciabatte havaianas gialle.


I lastroni di cemento sollevati sembrano dare aria alle radici degli alberi con una spensieratezza che non si cruccia della necessità degli umani, così come la prefeitura non ha risorse da investire in una lotta persa in partenza. Dignità e abitudine forse camminano sullo stesso marciapiedi senza incontrarsi mai. Luana é una giovinetta piena di desideri, gli occhi vispi che non si nascondono i trabocchetti della strada, una gonna jeans che copre appena il deretano e le immancabili ciabatte havaianas gialle.

Zio Beto ha 35 anni, fisico prestante e rotoli sui fianchi da bevitore di birra nonostante gli esercizi che fa in palestra quasi tutte le settimane, assieme ai migliori amici del bar. Moro, alto, un sorriso accattivante, le compra le gomme rosa da masticare quando la scorge riportare indietro le bottiglie vuote di coca cola. Luana se ne torna a casa saltellando felice fra i pietroni sconnessi, quel gusto dolce e proibito in bocca, inseguita dalle risate della banda dei fannulloni. La sua età è poca per alcune cose, ma non per molte.

Quando non va a impegnare i pochi soldi in candele e offerte al santo, sua madre rimane tutto il giorno nell'unica stanza dell'appartamento, con la porta di casa che si apre su una delle stradine inerpicate sulla piazza. A volte, quando ritorna da scuola con le amiche, vociando e scalpitando sul terreno bagnato o impolverato dal sole cocente, Luana trova un uomo in casa, uno zio safado, un amico bricconcello, un vicino svergognato. Fino all'età di otto anni per casa ciondolava il suo primo padre, un uomo panciuto dalla barba ispida la cui unica preoccupazione era trovare i soldi per diminuire i conti arretrati del barzinho da Neto e avere ancora l'amata birra Antarctica a credito.

Non c'era mai il denaro soldi per giochi o caramelle. Arrangiarsi faceva rima con abitudine. L'unica cosa che non mancava era il tamburo persistente del sesso, l'odore degli umori dell'eccitazione. Quando il padre era ubriaco si avventava sulla donna e volavano urla e ceffoni.

«Vieni, qua, Camila, vieni dal tuo uomo».

«Va a prenderlo in culo, filho da puta. Vai dalla tua tettona rossa e i tuoi amici viados del bar da Neto. Vai, che con me non hai storia».

Lui si avvicinava barcollante e tentava di afferrarla da dietro, rimestando nei pantaloni in cerca di memoria biologica. Ma la donna strattonava e lui, in equilibrio precario, finiva rovinosamente addosso la credenza, rovesciando il suo machismo genitale sulle immagini di santi della macumba, buoni sconto del supermercato, cd impolverati della regina del calypso.

Il forró e il calypso sono il sottofondo di pranzo, cena e dei rari momenti in cui, china sul quaderno in un angolo del tavolino imbandito di avanzi, la piccola Luana alterna disegni di principi azzurri e compiti per casa. E' un battito sinuoso, pieno di ritmo e lamenti, abbandoni e tradimenti, che mette a posto una volta per tutte generazioni di delusioni sentimentali. Per diventare una cantante di calypso di successo devi essere bionda e traboccante, ma soprattutto incazzata con tutti gli "ex". E all'età di 12 anni lei si tinge già i capelli con i prodotti che la mamma abbandona nel secchiaio della cucina fra i saponi e i pettini, mollette e candele. Nonostante le offerte al negozio di spiritismo, il caboclo dell'Umbanda, i nuovi papà durano solo qualche settimana.

E' un pomeriggio assolato, mancano pochi giorni all'inizio del carnevale, la madre é andata allo shopping della fede. Come sempre porta al maestro della macumba i pochi soldi che é riuscita a racimolare per ingraziarsi il santo che l'aiuti a pagare i conti arretrati. Lo specchio illuminato della porta è velato dalla figura di zio Beto, una apparizione che porta sempre allegria.

«Mamma, non c'è, torna più tardi», gli dice, come mamma le ha raccomandato. Quegli occhi arrossati sembrano delusi, la bocca si contrae in una smorfia dolorosa. Lo sguardo saetta agli angoli della stanza in cerca d'ispirazione. Gli stridori del calypso riempiono la stanza mentre Luana, a gambe nude china sul quaderno, canta muovendosi a tempo, tutta assorta nei suoi disegni. Come sempre quando rincasa da scuola si toglie i vestiti e rimane in mutandine e camicetta.

«Che cosa stai disegnando?», chiede lui avvicinandosi e mettendole una mano sulla schiena.

«Il mio principe azzurro».

Bello, sognante, muscoloso. I capelli lunghi e biondi non assomigliano per nulla a quelli di zio Beto, ispidi e scomposti. Ma lui sorride affabile.

«Anche io avevo i capelli così, quand'ero ragazzo», le dice mentre la mano scende la mano scende.

«E tu saresti una bella principessa. Vieni qua, abbraccia lo zio che ti fa montare a cavallo».

Lo aveva spiato in passato dal buco della porta, quando veniva a trovare la madre portandole a casa qualche spesa fatta al supermercato. Lo zio ha sempre saputo che lei stava lì dietro, spiando tutto, e adorava mostrarsi. Gridava mentre scopava con quella donna abbandonata da schiere di ex, fingendo di inseguire la speranza di un amore fisso, intimamente certa che il calypso fosse l'ultimo baluardo a protezione della disfatta. Guardare di nascosto i giochi dei grandi era una cosa stupida e piacevole allo stesso tempo, come il gusto delle gomme rosa.

Adesso la mano dello zio si attarda sui fianchi, scivola sotto la maglietta senza resistenza, senza indugio.

«Vieni cagnolina, vieni a giocare con lo zio...».

Luana sorride e alza gli occhi vestendo lo sguardo della sua cantante preferita, provocante e sfacciato. Lo zio le porta un dito alle labbra, passandolo avanti e indietro come un rossetto. E' solo una manifestazione di piacere esteso alla famiglia, cosa non rara nelle periferie brasiliane, così ricomincia ad alitare sul collo, si china e passa la punta della lingua dura e calda, lei si tira indietro e ride, lui si fa più vicino tentando di baciarla mentre le mani si fanno sempre più curiose, ubriache nella ricerca, poi cieche e pazze. Luana lascia scorrere lo sguardo sui capelli ispidi dello zio, lo zio lascia vagare lo sguardo annebbiato sulla quella pelle brunita, lucida anche senza l'uso dell'olio di mandorla.

La porta sul divano, sollevandole la maglietta e accarezzandole il petto, i capezzoli che scoprono soltanto ora di essere i terminali di vibrazioni che risuonano all'interno delle cosce.

«Fammi godere della tua xoxotinha gostosa, vieni, che il principe di dà il regalo».

Gli occhi di lei ridono alla scoperta del potere che ha sullo zio e già imita i mugolii della mamma, mentre l'eco dei respiri aumenta come in una corsa a perdifiato. E' soddisfatta di essere finalmente al centro dell'attenzione di un uomo vero, come le altre zie della strada, anche lei in quella metà del mondo che aspetta e dà, inseguita e afferrata, portata in alto nel vortice del ballo tra il sudore e il ritmo del calypso.

Le mette il pene davanti alla faccia e lei lo afferra con le sue piccole mani cominciando a muoverlo, ad agitarlo in un gioco da grandi, come ha già visto fare. Quel coso é più grande di quello dei suoi compagni di scuola.

«Succhia, dai, metti in bocca la spada del tuo principe», dice lui con voce roca mentre le sue dita ruvide salgono sulle cosce, insinuandosi nel bocciolo della primavera.

Da quel giorno gli uomini di sua madre sembrano avere occhi diversi per lei, e anche la sua curiosità cresce. La strada non é più solo un campo di giochi d'infanzia fra i giochi dei grandi, fra le Volkswagen Gol, i Fusca gialli e i camioncini kombi arrugginiti degli ambulanti, cassette di verdura rovesciate per farne dei banchetti improvvisati, giornalini e pupazzi scambiati con le altre bambine. Nei pomeriggi assolati fino all'imbrunire e anche dopo, le bambine siedono sul marciapiede a confrontare i segnali della crescita e le parolacce del gergo adulto con la stessa dedizione con cui a casa imitano le posture delle attrici delle telenovelas.

I discorsi girano sempre intorno a una cultura genitale di bassa lega, ma con un pizzicorino in più che le scende giù per la spina ogni volta che scorge zio Beto al bar all'angolo. C'é un'amica della stessa età, Melissa, un po' più alta delle altre che già calza esperta le camicette allacciate al petto, che le lasciano scoperto il ventre piatto di quattordicenne. In casa la madre e la zia ricevono tanti zii e tanti papà, e Melissa va orgogliosa della nuova camicetta da indossare alla festa di forró. Nei sobborghi c'è sempre qualcun altro da cui imparare, la strada è maestra di ripetizione, se non proprio di vita.

Un coroa, un anziano dalla pelle sverniciata, spicca tra le pelli colorate del bar, gettando intorno a sé sguardi vergognosi da affamato. Non è la fame di chi non mangia mai, quanto piuttosto quella di chi è avido e non riesce a smettere. La carne fresca per lui è un piatto ricercato, se lo può permettere cambiando una manciata di euro del primero mundo negli sporchi biglietti della sua lotteria paradiso. Si rigira in mano le banconote da 10 real con le dita, poi strusciandole sulla camicia.

Luana ha un moto di orgoglio: Melissa è in casa, questo me lo pappo io. Uno sguardo, un sorriso. Per lei è la canzone del Calypso, "Chega pra cá, meu ben, que eu vou te ensinar a nossa dança...". Vieni qui, mio amore, che adesso ti insegno il nostro ballo. "Vem cá, me dá a tua mão, quero que sinta toda essa emoção...". Vieni, metti qui la tua mano, voglio che tu senta tutta questa emozione. "Mexe e rebola, e vai soltando, depois me abraça, fique a vontade...". Tocca e sculetta, e poi abbracciami, lasciati andare e fai ciò che vuoi.

Per lui tutto è sujo, in cuor suo più polveroso che sporco, la certezza di essere un porco in un campo di maialini si appiccica ai sogni cupidi. Le stradine dissestate dei rioni popolari sono battuta di caccia, riserva non regolamentata, mare ricco e pescoso dove cogliere al volo appena gettata la lenza, senza avviso di pastura. In un paese dove tutti scopano giovani, come fai ad aspettare l'età legale per poi trovarti in mano carne già frollata da tutti?

Lei come a conferma gli fa un cenno con gli occhi, lui finge di attardarsi, dà uno sguardo in giro poi la segue dietro una casa cadente, in uno spiazzo deserto, in un garage abbandonato fra pneumatici usati dove campeggia un materasso logoro sporco di morchia, o sangue. Il parco giochi senza età. Lei si allunga sul materasso alzando la camicetta, le manine civettuole. Lui s'inginocchia scacciando l'immagine delle sue nipotine laggiù, nella terra veronese repressa e produttiva.

Avvicina il volto alla carne fresca, seppure priva di innocenza. Il sudore gli scende dalle tempie come una bava. Il cuore batte il tamburo del rischio. Si asciuga la bocca e il naso con un sol colpo di avambraccio, ma le guance sono ancora madide e lustre. Avrà settant'anni, un'età che in Brasile sembra non esistere mai, moltiplicata e divisa in migliaia di corpi adolescenti, allevamenti di galline aggrappate a un muretto, sedute in terra davanti a casa o sui seggiolini unti dei churrasco de gato, fumosi barbecue improvvisati. Bambine con in mano la spesa come piccole donne, bambini a piedi nudi sull'asfalto dietro a un pallone, polli adulti avvinghiati e ridenti ad ogni festa, pausa, occasione.

Luana gioca ormai esperta, ignara di illusioni che non appartengano alle rime del calypso. Dodici anni sono l'età migliore per costruire un guardaroba con una camicetta, un profumo e molte gomme rosa da masticare.

Fonte:http://www.musibrasil.net/articolo.php?id=2408

10.12.2008

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