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mercoledì 15 settembre 2010

Iraq: nuovo assetto, stessi abusi

Le truppe USA si ritirano, ma il rispetto dei diritti umani di base in Iraq, rimane un’utopia.

Detenzioni arbitrarie, violenze e torture nelle carceri. E gli Stati Uniti se ne lavano le mani.
Roma, 14 settembre 2010 - red Nena-News (foto da www.cdn.wn.com) - Senza nessun diritto. Subiscono abusi e violenze. Cosi vivono in carcere oltre 30.000 prigionieri iracheni. Allarmanti i dati del nuovo documento di Amnesty International pubblicato martedi. Violazioni che si sanno da sempre ma che – ad un mese da quando il grosso delle truppe USA ha lasciato l’Iraq - fanno a pugni con la pittoresca immagine di uno ‘stato nascente’, proposta dai diplomatici USA, ‘uno stato che gradualmente sta raggiungendo gli standard del rispetto dei diritti umani di base”.

La guerra per il Presidente Obama è finita; poco importa se il rapporto di Amnesty descriva un sistema detentivo che dalla caduta di Saddam Hussein non è evoluto nemmeno di poco e dove ogni violazione dei diritti umani è endemica.

Molti sono i detenuti passati dalla custodia USA a quella irachena, senza aver ricevuto un regolare processo, sottoposti al rischio costante di subire violenze e torture. Dall’inizio del 2009, gli Stati Uniti hanno infatti cominciato a rilasciare o trasferire i detenuti sotto custodia delle autorita’ irachene. Secondo i dati, gli USA detenevano circa 23.000 persone solo a meta’ del 2007. Anche il controllo delle prigioni e dei centri detentivi e’ gradualmente passato sotto il potere di Baghdad: l’ultima prigione trasferita sotto controllo iracheno e’ Camp Cropper, vicino all’aeroporto di Baghdad, che alla fine del giugno del 2010 aveva circa 1900 prigionieri.

Baghdad ha preso pieno controllo di tutte le prigioni lo scorso luglio, in una cerimonia ufficiale mentre il Ministro di Giustzia del paese, Dara Nureddine Dara, dichiarava “finiti i giorni dei maltrattamenti e degli abusi dei prigionieri”.

E mentre le autorità USA continuano a ripetere di aver addestrato le forze di scurezza del paese ora pronte a colmare il vuoto lasciato da oltre 60.000 soldati, le ricerche condotte da Amnesty mostrano una realtà ben diversa: detenzioni arbitrarie, senza accusa né processo avvengono nelle zone centrali dell’Iraq come pure della zona curda del nord, detenuti sottoposti a violenze sia fisiche che psicologiche. Nessun dato certo, perché le autorità irachene non li forniscono ma anche perché è difficile reperire tutti file registrati nel passaggio dalla custodia USA a quella irachena: ma per Amnesty sarebbero circa 30.000 i prigionieri che gli USA avrebbero lasciato ad affrontare “ una lunga lista di atti illegali, violenze e abusi, abdicando cosi ad ogni responsabilità per il rispetto dei diritti umani”, ha dichiarato Malcolm Smart, direttore di Amnesty International, sezione Medio Oriente. Ali al-Musawi, addetto stampa del Primo Ministro uscente Nouri al-Maliki, ha negato le accuse di Amnesty, dichiarando che le prigioni irachene sono libere dai prigionieri politici, tutti rilasciati insieme ai 4500 detenuti liberati a partire dal mese di aprile per mancanza di prove.

Secondo i dati di Amnesty, la maggioranza dei detenuti sarebbero arabi sunniti, provenienti dalle regioni centrali, occidentali e nord-occidentali, sospettati di essere coinvolti o di sostenere i gruppi sunniti armati che hanno combattuto contro le forze USA e il governo iracheno. Molti pero’ anche gli sciiti, rinchiusi perche’ sospettati di appoggiare l’armata di Al-Mahdi.

Nella regione curda dell ‘Iraq, a nord, controllata dal KRG (Governo Regionale del Kurdistan) e dove la situazione e’ piu’ tranquilla che nel resto del paese, sono stati documentati abusi simili, anche se su scala minore. Esistono pero’ casi di detenuti in carcere da oltre 10 anni, senza capo d’accusa ne’ processo.

Il fatto che il sistema penale e giudiziario iracheno sia frammentato e che i diversi ministeri (dell’interno, di giustizia e della difesa) gestiscano autonomamente le prigioni di loro competenza, complica le cose: ma le torture e i maltrattamenti riportati, sono presenti ovunque, ha documentato Amnesty. Tra i metodi utilizzati, figurano quello di picchiare i detenuti con sbarre o tubi, fratturare arti, perforare la carne con piccoli trapani. Le forze di sicurezza in Iraq hanno il potere di arrestare singoli individui sulla base delle cosiddette “soffiate” da parte degli informatori, cosa che anche i diplomatici USA in passato hanno fatto notare, sottolineando come il sistema giudiziario rimanga dipendente dalle confessioni (estorte con le torture) più che da prove concrete.

Nelle 59 pagine del documento redatto da Amnesty dal titolo “Nuovo assetto, stessi abusi: detenzioni ingiuste e tortura in Iraq”, si possono trovare numerose storie raccapriccianti.

Come quella di Mohammed Ahmed Jeddi al-Jenabi, 47 anni, ex ufficiale dell’esercito, arrestato senza mandato dalle forze del contingente USA e iracheno il 15 febbraio del 2005 nella sua casa di Kirkuk. Da allora la sua famiglia non ne ha notizie. O la storia di Riad Mohammed Saleh al-Oqaibi, arrestato a settembre del 2009 e tenuto in un centro detentivo fortificato prima di essere trasferito in una prigione segreta della capitale. Durante l’interrogatorio e’ stato picchiato cosi forte al torace, tanto da fratturargli due costole e danneggiargli il fegato. E’ morto pochi giorni dopo, per lesioni interne.

Diversii uomini, prosegue Amnesty, sono morti durante la detenzioni, come risultato delle violenze e delle torture inflitte loro dalla guardie carcerarie, nel corso degli interrogatori. (Nena News) anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nena-news.com

Fonte:http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o20260:e1

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