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martedì 15 luglio 2008

Yasmine, la trans perseguitata: «Adesso sono libera»

TORINO — Ci sono voluti sedici anni, ma alla fine Yasmine ce l'ha fatta. Ora è una giovane donna bionda, jeans e maglietta con il volto di Marilyn Monroe: «Devo ringraziare i medici italiani. Adesso sono libera». La sua è una storia che comincia a Istanbul, dove fin da ragazzo — quando ancora era un maschio per la famiglia e per la legge — sapeva di essere e di sentirsi una donna. A vent'anni, da studente di chimica, e dopo 18 mesi di servizio militare, le prime cure ormonali.

Jasmine, la trans perseguitata in Turchia (Emmevi)
Jasmine, la trans perseguitata in Turchia (Emmevi)
Ma clandestine, perché in Turchia ogni tipo di intervento per cambiare sesso era ed è vietato. Poi, lo scontro in famiglia e le persecuzioni, la difficoltà a restare nel quartiere di sempre e a trovare lavoro, l'intervento di chirurgia plastica imposto per mutilare il seno fatto crescere con i farmaci. «Una vera e propria tortura», l'hanno definita i medici italiani. Dopo le liti e l'operazione per cancellare la «vergogna», Yasmine, che nel frattempo si è laureata, trova il coraggio di fuggire.

Prima tappa l'Olanda, dove altre persone come lei le consigliano di spostarsi in Italia: lì, le spiegano, i medici sono specializzati e le cure gratuite per chi dimostra di averne davvero bisogno. Lei arriva a Roma dove, cinque anni fa, incontra un sacerdote, don Luigi Ciotti. Il suo Gruppo Abele accoglie da sempre ogni tipo di persone in difficoltà e Yasmine, che è rimasta intrappolata nel suo corpo di uomo-donna non ancora perfetto, si trasferisce a Torino per essere curata alle Molinette. Intanto, l'Italia le ha riconosciuto lo status di rifugiato «per discriminazioni sessuali» come è già avvenuto in passato anche per i gay che nel Paese d'origine subiscono persecuzioni. «Ho fatto ogni tipo di lavoro, le pulizie, la badante — racconta la donna, che ora ha 36 anni e un'identità, anche sui documenti, che corrisponde a quella che ha sempre cercato — pur di finire le cure e ottenere il mio obiettivo. Nel 2006, sono stata operata, ci è voluto ancora tempo per arrivare alla fine del percorso ma ora sono finalmente me stessa. Sono grata all'Italia. Rimpiango le mie sorelle, la mia città, ma laggiù non avrei mai potuto trovare aiuto, rispetto e cure». Adesso Yasmine cerca un lavoro e lotta per ottenere i documenti necessari a veder riconosciuti, almeno in parte, i suoi studi. «Non voglio più essere un'ospite in Italia, una "rifugiata", anche se è stato fondamentale per me. Ora sono una persona intera, ho un nuovo nome, troverò un lavoro migliore». Rimpianti? «È difficile innamorarsi e essere ricambiata. Anche se qui siete più liberi, l'unico ragazzo che ho avuto mi ha lasciata perché non aveva il coraggio di dire la verità in famiglia». La storia di Yasmine, donna e transessuale arrivata da Istanbul, non è isolata. Ieri alle Molinette il Centro per i Disturbi dell'Identità di genere ha fatto il bilancio dei primi tre anni di attività: cento pazienti curati, arrivati dall'Italia ma anche da Francia, Turchia, Brasile, Repubblica Dominicana, e trenta già operati con successo. «Curiamo chi ha bisogno di adattare il suo corpo alla sua reale identità — ha spiegato l'urologo Dario Fontana, che dirige il reparto — per arrivare all'intervento la strada è lunga e prevede cure e esami psichiatrici, endocrinologici e ormonali. Ma, alla fine, il risultato può cambiare la vita di queste persone».

Vera Schiavazzi
15 luglio 2008

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