La legge negli Stati Uniti viene chiamata DOMA, che sta per Defense of Marriage Act. È stata approvata nel 1996, anno di complicate elezioni presidenziali, e votata dal Congresso a larghissima maggioranza: è stata voluta sia dai democratici che dai repubblicani. In quegli anni, i primi stati dell’unione iniziavano a discutere della possibilità di rendere legale il matrimonio tra persone dello stesso sesso: e dato il vincolo di reciprocità che lega gli stati americani, non esistevano ragioni perché un matrimonio gay contratto alle Hawaii, per esempio, non dovesse risultare valido nel resto dell’unione. La costituzione americana, infatti, stabilisce che gli stati hanno degli obblighi reciproci: riconoscere i titoli di studio, i documenti d’identità, i procedimenti giudiziari e lo status legale dei cittadini. Se un matrimonio eterosessuale stipulato in Alaska viene riconosciuto a New York, con quello che questo comporta in termini di accesso al welfare, perché non dovrebbe essere lo stesso per un matrimonio omosessuale?
All’epoca, i legislatori temevano che la legalizzazione dei matrimoni gay anche in un solo stato li avrebbe resi praticamente legali in tutti gli Stati Uniti, e il DOMA fu approvato proprio per impedirlo. La legge, infatti, stabilisce essenzialmente due cose: che nessuno stato è obbligato a riconoscere alcun documento di qualunque altro stato che consideri legali i matrimoni tra persone dello stesso sesso. E che, in ogni legge del Congresso e in ogni sentenza in tutto il paese, la parola “matrimonio” indicherà sempre solo e soltanto l’unione tra un uomo e una donna. Le Hawaii sono libere di legalizzare il matrimonio gay, quindi, ma i matrimoni gay contratti alle Hawaii avranno valore solo alle Hawaii. Tutti i diritti che sono discendono dal matrimonio – la pensione di reversibilità, la possibilità di pagare le tasse sulla base del reddito familiare, l’affido congiunto dei figli, eccetera – sono validi solo nelle Hawaii e non altrove.
La legge è parsa avere subito una dubbia costituzionalità e negli anni, mentre vari stati americani legalizzavano il matrimonio omosessuale, molte coppie hanno fatto causa agli stati che non riconoscevano i loro diritti: i giudici federali a volte hanno accolto le loro richieste, a volte no, ma la questione non è mai arrivata alla Corte Suprema. In tutte le cause del genere, comunque, l’avvocatura dello stato ha sempre difeso la legge in questione. Con la decisione di Obama si compie il primo passo verso l’abolizione della legge, di fatto a questo punto già disinnescata: quando una coppia gay farà causa allo stato chiedendo il riconoscimento della sua unione in tutti gli Stati Uniti, lo stato non si opporrà più e anzi si schiererà dalla stessa parte della coppia.
La decisione è stata comunicata dall’amministrazione Obama con una lettera inviata al Congresso dal procuratore generale Eric Holder. Nel testo, si legge che secondo Obama la legge discrimina un determinato gruppo di cittadini sulla base di una loro caratteristica innata e immutabile, come dimostrato da molti studi scientifici, dando legittimità agli stereotipi che vorrebbero le coppie omosessuali incapaci di contribuire alla vita pubblica e alla società in modo peggiore dalle coppie eterosessuali. Le associazioni per i diritti degli omosessuali e moltissimi democratici hanno accolto la decisione con gioia e sollievo: e tra l’altro solo il 13 febbraio un editoriale non firmato sul New York Times chiedeva a Obama proprio di decretare incostituzionale il DOMA. i repubblicani hanno avuto reazioni più variegate: qualche libertario favorevole, di quelli che pensano che il governo debba impicciarsi di meno cose possibili e quindi non del matrimonio, qualche ultraconservatore contrario, molti che sostengono che questo non fosse il momento di prendere una simile decisione.