Wojtyla è Beato, ma con lui i gay non poterono entrare nel popolo di Dio

- “Santità, io la corrigo”. Esordiva così la lettera aperta che Massimo Consoli, padre storico del movimento gay italiano, provocatoriamente, indirizzava a Karol Wojtyla, il nuovo papa polacco, rispondendo direttamente e a nome dei gay, storicamente perseguitati dalla Chiesa, alla scherzosa richiesta che Giovanni Paolo II rivolse ai fedeli in occasione del discorso successivo all’elezione in quell’ormai lontano 16 ottobre 1978 (“Se sbaglio, mi corrigerete” – aveva detto il Papa).

Da correggere c’era molto. La Chiesa non ha avuto nessuna pietà per molti nel corso dei secoli, in particolare per gli omosessuali. E i ventisei anni di pontificato del Beato Giovanni Paolo II non hanno fatto certo eccezione: numerosi e non poco omofobici furono i documenti prodotti, per lo più dalla Congregazione della Dottrina della Fede, guidata da Joseph Ratzinger, tra il 1982 e il 2005.

Nel 2000, però, undici anni fa, con il grande Giubileo di inizio millennio, in molti sperarono che il redde rationem annunciato e compiuto dalla Chiesa comprendesse anche le persone omosessuali.

Invece, nonostante per tutte le altre minoranze, dagli ebrei agli ugonotti, ci siano state scuse ufficiali e mirate, indirizzate e ribadite dallo stesso Giovanni Paolo II a nome della Chiesa cattolica, ciò non è avvenuto nei confronti degli omosessuali per una ragione pura e semplice: la Chiesa non riconosce affatto l’esistenza di una comunità omosessuale ma piuttosto quella di un serio problema, un peccato chiamato omosessualità dal quale gli uomini devono essere redenti, come si annotava nel 1983 all’interno della lettera ai vescovi sul problema dell’omosessualità intitolata proprio Homosexualitatis problema.

Parve sin da subito evidente che le possibilità di incontro fossero ancora una volta vicine allo zero. Tuttavia le aperture concettuali di Giovanni Paolo I, nel suo pur breve pontificato, riprese poi dallo stesso Beato Giovanni Paolo II in merito alla connotazione non solo paterna ma anche materna della figura di Dio lasciavano ancora che qualcuno potesse ben sperare.

Questioni di teologica lana caprina rispetto al macigno che, sempre nel 2000, fu rappresentato agli occhi del Vaticano dal World Gay Pride che sabato 8 luglio dell’Anno Santo sfilò a Roma e per cui fu Wojtyla in persona, nel corso dell’Angelus di domenica 9 luglio, a dichiarare la propria amarezza per l’affronto recato al Grande Giubileo e ai valori cristiani della Città eterna, riferimento per i cattolici di tutto il mondo.

Fu questa la prima porta sbattuta in faccia nel nuovo millennio, a cui seguirono altri atti fondamentali come la lettera sul riconoscimento delle unioni omosessuali, firmata da Joseph Ratzinger nel 2003, nella quale le unioni omoaffettive venivano definite intrinsecamente disordinate e di fatto lesive del retto sviluppo della società.

Fino ad arrivare al Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato a cavallo tra i pontificati Wojtyla e Ratzinger, in cui il peccato di omosessualità veniva affiancato alla masturbazione e addirittura allo stupro.

Tornando ancora al 2000, nulla si mosse neppure in occasione della Giornata Mondiale dei Giovani dove anzi, tra un coro e un canto, fu nettissimo l’invito del Beato Giovanni Paolo II alla castità prima del matrimonio anche per i tanti giovani eterosessuali convenuti nella capitale. Nonostante ciò, in quella splendida notte agostana a Tor Vergata, l’andirivieni tra tende e sacchi a pelo di Papa boys e Papa girls aveva tutta l’apparenza di essere assai meno casto e più convinto degli applausi che pure, pochi minuti prima, avevano salutato la fine della veglia di preghiera col vecchio Karol.

Sta di fatto che, a fronte di una ribadita sessuofobia dottrinale, anche il mega appuntamento dei giovani cattolici a Roma tornava nei fatti ad affermare il solito motto consuetudinario: si fa ma non si dice. Uno stile di vita che però uomini come il già citato Massimo Consoli, lo scrittore Alfredo Ormando e Franco Barbero non hanno potuto né voluto mai accettare. Quello di Consoli, infatti, fu uno dei tanti appelli caduti nel vuoto, anche durante il pontificato di Papa Wojtyla che, lungi dall’immagine di innovatore e modernizzatore, come abbiamo ampiamente annotato, in materia di morale sessuale e non solo fu assolutamente conservatore.

Nulla valse il tremendo sacrificio del siciliano Alfredo Ormando che nel gennaio del 1998 arse vivo in piazza San Pietro per protesta contro l’atteggiamento della Chiesa nei confronti degli omosessuali.

Come pure nessun ascolto, anzi, una sorta di scomunica con riduzione alla condizione laicale ottenne nel 2003 don Franco Barbero, ad opera proprio della coppia Wojtyla-Ratzinger, in seguito alle sue affermazioni in materia di morale sessuale. Don Franco, in particolare, nella sua Pinerolo arrivò a benedire non poche coppie gay. Ad oggi continua ancora a farlo in quanto nel 2003 rispose proprio a Wojtyla con una lettera aperta intitolata “Perché resto” nella quale, stando al rito del sacerdozio, don Franco lasciava intendere che anche dopo la decisione unilaterale delle gerarchie vaticane, lui sarebbe comunque rimasto sacerdote per sempre.

Come è inoltre noto a tutti il Beato Giovanni Paolo II non denunciò affatto lo scandalo, di cui già si conoscevano ampiamente i tratti, della pedofilia nella Chiesa. Le scuse, in questo senso, sono arrivate solo tardivamente, sebbene apprezzabili e comunque coraggiose, sotto il pontificato di Benedetto XVI quando la Chiesa Cattolica, in special modo negli Stati Uniti, aveva già ricevuto condanne penali con richieste di risarcimento tali da gettare sul lastrico le diocesi Usa. Prima che se ne occupassero i giudici, infatti, le gerarchie procedevano in maniera diversa nei confronti dei preti colpevoli: spostamenti, ritiri spirituali, praticamente mai una denuncia inoltrata da un vescovo che avesse scoperto o ricevuto tragiche confessioni di abusi su minori, spesso da parte dei genitori delle stesse vittime. Le indicazioni del Vaticano, così come ampiamente documentato dal celebre documentario Bbc trasmesso in Italia da Michele Santoro, miravano decisamente all’opposto: all’impunità.

L’Italia e i suoi media, in questi giorni di giubilo d’Oltretevere, si sono accodati in un coro plaudente e unanime nei confronti della cerimonia di beatificazione di Karol Wojtyla.

Da parte nostra con queste annotazioni, certamente di parte ma alla pari difficilmente confutabili, non vogliamo togliere nulla alla portata storica dell’evento e della commozione di massa visti in tutta Roma, né si vogliono sottrarre tesi a favore della figura di Karol Wojtyla, testimone dell’Occidente divenuto beato in tempi da record secondo gli stretti regolamenti della Congregazione per la Causa dei Santi.

E’ indubbio che la minoranza più popolosa e viva su tutto il pianeta, gli omosessuali, accanto al miracolo sulla pelle della suora salvata dal morbo di Parkinson, avrebbe voluto scorgere il profilo di un miracolo magari più terreno ma capace di speranza, soprattutto per i tanti gay credenti e cattolici, la maggioranza, di una Chiesa finalmente capace di abbracciare davvero tutti i suoi figli, compresi gli omosessuali. I quali, lungi dalla retorica della sofferenza e della contrizione morale, intendono vivere da cristiani la loro omoaffettività, un concetto che, sebbene la Chiesa non lo accetti, va ben oltre e travalica persino il semplice concetto di orientamento sessuale.

Tutto ciò, però, non è stato possibile perché, forse dando ragione alle piccanti critiche giunte invece da autorevoli quotidiani europei come Le Monde e El Pais, un tale passo indietro dall’omofobia avrebbe sottratto vigore alla sottolineatura canonica della realpolitik della Chiesa di Roma, e avrebbe intaccato l’aureola sull’infallibilità e insindacabilità delle prese di posizione dell’ultimo trentennio vaticano. Tuttavia, se fosse accaduto, un tale passo indietro sarebbe stato il più bel raggio di sole per quelli che oggi, anche per colpa della Chiesa e specie in nazioni come l’Italia, contano ancora meno di zero, anzi, ufficialmente non esistono. Si sarebbe manifestato quel sorriso di Dio di cui parlava Giovanni Paolo I, che però a Roma, ancora una volta, per gli omosessuali non ha fatto capolino.

Inserito da:

Daniele Priori - che ha inserito 13 articoli in Libertiamo.it.

Nato a Marino (Rm) il 27 marzo 1982. Giornalista, è segretario politico dell’associazione GayLib. Tra i primi tesserati dei Riformatori Liberali dall’autunno 2005, è tra i soci fondatori di Libertiamo. Collabora col “Secolo d’Italia” e con riviste locali e nazionali. E’ direttore di collana presso l’editrice Anemone Purpurea di Roma per la quale ha pubblicato, insieme a Massimo Consoli, il libro “Diario di un mostro – Omaggio insolito a Dario Bellezza”

Fonte:http://www.libertiamo.it/2011/05/02/wojtyla-e-beato-ma-con-lui-i-gay-non-poterono-entrare-nel-popolo-di-dio/

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