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giovedì 16 luglio 2009

Quarant'anni fa l'uomo sulla Luna




Il 20 luglio del 1969 il primo passo sul suolo selenita
Roma, 16 lug. (Apcom) - "Non abbiamo deciso di andare sulla Luna perché è facile, ma perché è difficile": le parole di John F. Kennedy riassumono perfettamente il senso del Progetto Apollo, che appena otto anni dopo, il 20 luglio del 1969 poté dire "missione compiuta" con il "piccolo passo" di Neil Armstrong. Un'epos politico e tecnologico senza precedenti ma in ultima analisi rimasto per ora fine a se stesso, se l'Amministrazione Obama non deciderà di prendere il testimone dagli anni Sessanta e permettere alla Nasa di pensare di nuovo in grande. Kennedy volle infatti regalare al Paese un sogno veramente americano , che facesse dimenticare le miserie del Vietnam, umiliasse un'Unione Sovietica fino a quel momento sempre un passo avanti nella corsa allo spazio e fornisse utili dividendi tecnologici, oltre che succose commesse al settore aerospaziale, il tutto - fattore cruciale - a spese dei contribuenti, felici di partecipare a una guerra patriottica senza spargimenti di sangue. Che poi sia Washington che Mosca si avvalessero degli esperti missilistici e non "rapiti" dalla Germania nazista alla fine della seconda Guerra Mondiale, in primis Wehrner von Braun, è un curioso omaggio all'universalità della scienza. Ma come in ogni epica, il sangue purtroppo non mancò: Gus Grissom - uno dei "Magnifici Sette", i primi astronauti della Nasa, e che avrebbe dovuto essere il primo uomo sulla Luna - Roger Chaffee ed Ed White morirono in un incendio divampato durante un test a terra dell'Apollo 1, un incidente che rischiò di porre una fine prematura all'intero progetto; una seconda tragedia, questa però in volo e in mondovisione, la sfiorò poi l'Apollo 13 ma - anche alla luce del successivo programma shuttle - non si può non essere meravigliati da quanto tutto sia filato liscio, considerando che gran parte della tecnologia utilizzata era di fatto inedita. Per questo furono necessarie numerose missioni preliminari, senza le quali la "prima volta" dell'Apollo 11 non sarebbe stata possibile: ma le impronte di Armstrong e "Buzz" Aldrin sulla Luna rimangono il simbolo e l'epitome dell'epica, un capitolo a parte con le annesse note: Aldrin che insiste sul fatto che nelle tradizioni della Marina - di cui fa parte e sotto cui ricadono le formalità del programma spaziale - il comandante è l'ultimo a sbarcare, la Nasa che premerebbe invece su un "civile" quale è Armstrong e che infine decide che, visto che il portello del Lem si apre verso l'interno bloccando di fatto il passaggio ad Aldrin, il primo passo tocca per forza al comandante. O ancora, "un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l'umanità" in cui l'articolo indeterminativo è quasi inaudibile, rischiando di trasformare una frase storica in un controsenso; o il "Buona fortuna Mr Gorsky" mormorato da Armstrong durante la missione, che la leggenda vuole riferita a un vicino di casa: l'allora bambino Neil avrebbe udito la signora Gorsky esclamare: "Sesso orale?? Solo quando il figlio dei vicini camminerà sulla Luna", una nota purtroppo smentita dalle registrazioni della Nasa. Tutto sotto gli occhi di Mike Collins, il primo dei "terzi uomini" delle missioni Apollo, in orbita in attesa del ritorno degli eroi: un compito doppiamente ingrato, visto che la cancellazione delle ultime missioni previste gli negò la soddisfazione dell'allunaggio; ma anche lui ha diritto all'immortalità (e per gli italiani in particolare: civis romanus, nato nella Capitale da padre funzionario di ambasciata ). La sua lezione è anche quella dell'intero programma: l'uomo ama il meraviglioso, è vero, ma ci si abitua fin troppo in fretta; Kennedy si era trasformato in un eroe caduto, i Sessanta erano finiti, i Beatles si erano sciolti e alla Casa Bianca c'era Richard Nixon. I contribuenti si erano stancati di finanziare quella che era diventata in modo quasi imbarazzante una routine, né gli importava troppo del'aspetto scientifico (quintali di rocce, ancora oggi non tutte analizzate): il progetto Apollo si rassegnò a partorire lo Skylab, a collaborare con i russi e a fare spazio agli shuttle, lasciando l'esplorazione umana dello spazio a un futuro incerto. Un futuro che potrebbe diventare il nostro presente, grazie al nuovo "Constellation" (un nome scelto da un'agenzia pubblicitaria, un dubbio auspicio ma al passo coi tempi). In prospettiva, Obama non deve decidere se regalare un altro sogno, ma se veramente sia tale: se il ritorno sulla Luna o la "conquista" di Marte valgano veramente la pena agli occhi di un'umanità che alle prese con i problemi attuali non abbia più voglia di fare un altro "grande passo".

http://www.apcom.net/newsesteri/20090716_170001_3725eee_66394.html

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