In Iran tra resistenza e speranza. Tre lesbiche e una trans raccontano


Articolo di Marjorie Marcillac tratto da Tetu.com del 13 luglio 2009, liberamente tradotto da Sara S.

Ne Il giardino di Sheherazade (edizioni Il dito e la luna, 2006, pagine 160), tre lesbiche e una transessuale denunciano la condizione delle minoranze sessuali iraniane, protette dallo pseudonimo Vida.
Ecco la loro prima intervista dopo la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad.

Nel vostro libro, si risente profondamente del fatto che Internet sia stata una boccata d’aria per la popolazione iraniana, in particolar modo per gli omosessuali e i transessuali. Pensate che i nuovi mezzi di comunicazione accelerino l’evoluzione verso la libertà?

Internet gioca un ruolo fondamentale nella lotta degli iraniani per la democrazia, come avete potuto vedere durante le manifestazioni contro la pseudo-rielezione di Ahmadinejad.

Ma attenzione: Internet (e i telefoni cellulari) sono un’arma a doppio taglio, dato che il regime può facilmente infiltrarsi nella rete, per controllare, censurare e identificare gli oppositori.

D’altronde è ciò che succede regolarmente in Iran: molte persone sono state rintracciate in rete e arrestate. Dobbiamo inventare continuamente nuovi mezzi di lotta e di mobilitazione.

All’epoca della Rivoluzione islamica, nel 1979, diffondere una cassetta con la voce dell’imam Khomeini era sufficiente ad accendere le folle. È grazie a quelle folle che il regime imperiale è stato rovesciato. Oggi, tolto internet, non ci restano che la resistenza e la speranza che l’esasperazione diventi generale.



libroQuando il presidente Mahmoud Ahmadinejad ha dichiarato nel settembre 2004, davanti agli studenti dell’Università della Columbia di New York, che non c’erano omosessuali in Iran, qual è stata la vostra reazione?

Ci siamo detti che quest’uomo non ha assolutamente il senso del ridicolo! Ci sono altrettanti omosessuali in Iran che in qualsiasi altro paese. È la paura della repressione e un certo senso del pudore che li rende praticamente invisibili.

Ciò che il presidente voleva far credere era che i giovani condannati a morte e giustiziati negli ultimi anni non erano omosessuali, ma pedofili e che quindi meritavano di essere impiccati. È un’idea ricorrente in Iran e spesso un pretesto per perseguitare i gay.



La transessualità non è passibile di pena capitale in Iran. Questo fatto spinge molte lesbiche a farsi operare per poter amare liberamente?


Ci sono sicuramente meno lesbiche che gay che decidono di operarsi benché, da un certo punto di vista, sia più vantaggioso divenire uomo che donna in Iran, viste le discriminazioni e le restrizioni legali che subisce il genere femminile! Ma l’operazione per le donne è più delicata e più onerosa, come in qualsiasi altra parte del mondo.

È vero che la transessualità è legale in Iran, ma è spesso una pratica coercitiva per gli omosessuali, che subiscono qualsiasi tipo di pressione per seguire un trattamento ormonale e farsi operare.



Come spiegate che la transessualità sia tollerata contrariamente all’omosessualità?

La sessualità in sé non viene repressa in Iran, al contrario è imperante, ma esclusivamente all’interno del matrimonio tra un uomo e una donna (o più donne, dato che la poligamia è legale).

Ecco perché l’omosessualità è uno dei tabù più saldi nella società, mentre la transessualità è tollerata. I/le trans sono meno emarginati/e se essi o esse si sposano.



Esiste una solidarietà omo-trans-etero in Iran?
Esiste logicamente una solidarietà tra omo e transessuali. Con gli etero è un’altra storia. La diffidenza nei confronti delle minoranze sessuali è molto forte.


Progetti in corso?


Vorremmo realizzare un film basato su Il giardino di Sheherazade, ma bisognerebbe girarlo interamente all’estero, cosa un po’ ridicola, e per di più pericolosa per le attrici. Per il momento, aspettiamo il seguito degli eventi in Iran…




Testo originale


Il ne nous reste que la résistance et l’espoir que le ras-le-bol devienne général

http://www.gionata.org

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