Trionfa Obama, nuovo presidente E l'America si disegna di blu


Obama: il discorso della vittoria«Il cambiamento è arrivato» (in originale, con sottotitoli in italiano)
CHICAGO (USA) - Non si è smentito neppure questa notte Barack Obama, il giovane senatore nero di Chicago che gli americani hanno eletto come prossimo presidente degli Stati Uniti. Il colore della sua pelle c'è, ma è un particolare della sua parabola: questo ha detto di fronte a una folla di decine di migliaia di persone, nel parco della sua città.

No, Obama, uno che di secondo nome fa Hussein, guarda già oltre la sua storica sfida, guarda alla gente che ha sostenuto la sua campagna elettorale improbabile: "se c'è ancora qualcuno che ancora dubita che l'America sia un luogo dove tutto è possibile - ha esordito - se c'è qualcuno che non crede il sogno dei nostri padri fondatori sia ancora vivo, se c'è qualcuno che sospetta della nostra democrazia, questa notte ha avuto la risposta".

E' "un messaggio al mondo", scritto con le code interminabili ai seggi, davanti a scuole e chiese, di persone che non avevano mai votato "ma che questa volta sapevano che la loro voce avrebbe fatto la differenza". Giovani e vecchi, ricchi e poveri, democratici e repubblicani, neri, bianchi, ispanici e asiatici, gay e etero, disabili e non. tutti per dire che l'America che ha eletto per due volte un presidente come George W. Bush, il più odiato di sempre dentro e fuori dagli Stati Uniti, "sa cambiare". Già, perché "l'ora del cambiamento è arrivata", non è più una promessa fatta in campagna elettorale.

"Non ho vinto io - dice - questa vittoria è vostra". E cita un esempio su tutti, quello di Ann Nixon Cooper, una che si è messa in coda per votare come milioni di altri ad Atlanta. Con una differenza: ha 106 anni e a lungo non ha votato, perché era una donna e perché era nera.

Ci ha pensato il reverendo Jesse Jackson, ripreso dalle telecamere tra la folla, a raccontare con gli occhi pieni di lacrime l'enormità di quello che è appena accaduto, la rivoluzione nella vita dei neri d'America. Eppure è lo stesso reverendo che qualche mese fa a Obama avrebbe voluto "tagliare le palle" perché parlava male dei neri, perché si comportava come un bianco.

Non è già più il candidato Obama, quello che si rivolge ai sostenitori a Chicago: è l'Obama presidente, sobrio e compreso dal ruolo, il volto stanco, che a tratti sembra quasi triste. Il mandato che ha ricevuto dagli americani ha pochi precedenti nella storia recente, è più pieno di quello di Bill Clinton, nel 1992,; un mandato che assomiglia a quello di Ronald Reagan.

Il lavoro da fare è immenso: "Anche se questa notte facciamo festa, gli ostacoli che dobbiamo superare sono i più grandi delle nostre vite, due guerre, un pianeta in pericolo, la peggiore crisi finanziaria in un secolo".

"Noi facciamo festa, ma ci sono americani che si stanno svegliano nel deserto dell'Iraq o sulle montagne dell'Afghanistan e rischiano la vita per noi. Ci sono madri e padri che non riescono a dormire perché hanno paura di non riuscire a pagare il mutuo o il dottore. Ci sono nuove energie da sfruttare, nuovi posti lavoro da creare, nuove scuole da costruire, minacce da affrontare, alleanze da ricucire".

La prima è quella con il rivale repubblicano John McCain, al quale ha dedicato parole di grande stima, nonostante i veleni di settimane di campagna elettorale. E poi ci sono gli avversari politici, cui si rivolge direttamente: "Come Lincoln disse a una nazione più divisa della nostra, non siamo nemici, ma alleati. Per tutti gli americani dei quali non ho ancora conquistato la fiducia: forse non ho avuto il vostro voto, ma ascolterò la vostra voce, e ho bisogno del vostro aiuto, sarò anche il vostro presidente".

Non sarà facile, unire l'America divisa. Ma "yes we can", il mantra della campagna rientra alla fine dei 17 minuti di questo discorso della vittoria. Mentre Obama parla, a Dallas un manipolo di repubblicani sbuffa e scuote la testa davanti al televisore di un bar. Alcuni si avvicinano allo schermo per controllare se ci sia una spilla con la bandiera a stelle e strisce appuntata sulla giacca di Obama, "l'antiamericano". (La spilla per la cronaca c'era).

Nella notte di Obama c'è spazio anche per un angolo di vita privata. Il senatore ha ringraziato il suo staff, la moglie Michelle, la futura first lady, poi le figlie: "vi siete meritate il cagnolino che verrà con noi alla Casa Bianca".

Poi la nonna, Madelyn Duhnam, che si è spenta un giorno prima delle elezioni: "So che mi sta guardando questa notte, insieme al resto della mia famiglia che ha fatto di me ciò che sono oggi, mi mancano". Mezzo keniano, mezzo del Kansas, cresciuto alle Hawaii, poi in Indonesia, poi ad Harvard, poi alla guida del mondo libero.

05/11/2008








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Obama non prende soldi dalle lobby



(5 novembre 2008)

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