Nazaret, anche lesbiche e trans alla conferenza sul femminismo

GERUSALEMME – Sono quattrocento. Ebree e arabe. Sefardite e askenazite. Laiche e religiose. Hanno scelto Nazaret perché è due volte un luogo simbolico: è dove la tradizione cristiana colloca l'Annunciazione; è dove la tradizione fondamentalista del mondo arabo opprime la donna. «È la prima volta che veniamo a parlare di queste cose tra gli arabo-israeliani». Hanno scelto la città di Gesù anche perché, se le cose vanno come si prevede, la provocazione sarà grande: alla sedicesima Conferenza nazionale del femminismo, convocata per sabato nella città della Galilea, parteciperanno pure le rappresentanti del mondo lesbico e transgender.

«ANCHE SENZA INVITO UFFICIALE SARANNO BENVENUTE» - «Noi non le abbiamo invitate ufficialmente – è cauta Dorit Abramovitz, l’organizzatrice -, ma è chiaro che le aspettiamo. E se si presenteranno, saranno le benvenute». L’amore saffico e trans non dovrebbe mancare. L’invito non è stato pubblicizzato soprattutto per una ragione di sicurezza: l’anno scorso, il primo congresso delle lesbiche israeliane e palestinesi, a Haifa, venne duramente contestato sia dagli ebrei ultraortodossi, sia dal Movimento femminile islamico. Immaginarsi che cosa sarebbe successo, se a Nazaret fosse stato annunciato l’arrivo di Nora Greenberg, ex uomo, operata sette anni fa e oggi leader dei diritti transgender in Israele. «Abbiamo deciso di venire a Nazaret un anno fa – racconta Dorit Abramovitz -, perché le cose stanno cambiando velocemente nell’universo femminile e vogliamo testimoniarlo. Stanno crescendo anche le battaglie per il riconoscimento delle minoranze, tre volte discriminate se si tratta di palestinesi: in quanto donne, in quanto arabe, in quanto lesbiche o trans». Perfino l’organizzazione del Gay Pride, in una città laica come Tel Aviv, nel 2007 fu al centro di polemiche e proteste.

NESSUNA REAZIONE DAL MONDO CATTOLICO - Nessuna reazione per ora dal mondo cattolico. Anche perché, al congresso di Nazareth, non si parlerà solo di minoranze: sarà presentata una ricerca in quattro lingue, sponsorizzata dai Verdi tedeschi, sulla condizione femminile in quest’area. Dorit non ama citare le icone mediatiche, che siano la candidata premier Tzipi Livni, la speaker della Knesset, Dalia Itzik o la presidente della Corte suprema, Dorit Beinish: «È chiaro che sono felice, se vedo donne in posizioni di leadership. Ma quanto incide il loro successo, realmente, sulla vita di tutte le altre? Se non useranno il loro ruolo per favorire la causa femminista, la condizione femminile non cambierà». Nel 1990, in Israele, esistevano 14 organizzazioni a difesa della donna: ora ce ne sono 69. E temi come le molestie sessuali sono entrati nel dibattito politico: Israele è l’unico Paese dove un sexgate ha costretto un capo di Stato, Moshe Katsav, a lasciare la poltrona.

Dal corrispondente Francesco Battistini

Corriere della Ser

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