Sono i più diversi tra i diversi. A molti suscitano disagio. Ad altri desiderio. Ad alcuni violenza: gli omicidi di transessuali quest’anno sono raddoppiati. Ma chi sono veramente? Siamo andati a vedere come vivono, tra paura, emarginazione e speranza
Rosella Simone
01/09/2008
Siamo andati in via Novara, periferia ovest di Milano. Volevamo capire come era potuto accadere che una persona fosse stata massacrata di botte, stuprata e gettata via come un kleenex usato. Un nastro di asfalto, alti lampioni solitari, ai lati un verde cespuglioso e fitto, zanzare accanite, marciapiedi e transessuali. È lì che, la notte del 29 luglio, due ragazzi, un marocchino minorenne e un italiano di 20 anni, vanno. Hanno pippato, si sentono dei duri e cercano qualcuno da umiliare. Samantha ha 26 anni, è alta 1,70, è una transessuale, come tutte le altre che punteggiano quelle luci di periferia. «Cosa vuoi, 30 euro? E chi ce l’ha! Però guarda, sono bello!» e si tira giù i calzoni. Quando Samantha dice no, perdono la testa. È possibile capire come un desiderio si trasforma in odio? Monique si vende un centinaio di metri più in là da dove i due balordi hanno caricato Samantha. Ha occhi da cerbiatto, un seno da sbalordire Fellini, decima misura. «Sì, conoscevo Samantha. Era gentile, delicata. Sì, ho paura ma cosa posso fare? Se non avessi avuto bisogno, Dio lo sa, che non stavo qui! Di giorno faccio la parrucchiera, vado in casa. Ma i soldi non bastano mai, voglio comprare un appartamento a mia madre, far studiare mia figlia». Anche Jenny, 36 anni, pelle diafana e occhiali, la conosceva: «Cerchiamo di controllarci a vicenda, di stare più attente adesso». Come spiega tanta violenza? «Siamo diversi, donne imprigionate in un corpo sbagliato» dice e sorride dolcemente come se con questo dovessimo capire. Perché anche il nostro sguardo è invadente, indaga, con una curiosità maliziosa, per carpire quel tratto che la tradirà maschio: la bocca, il seno, le mani e, soprattutto, se è operata. «No. Sono orgogliosa di essere trans, una diversa». È l’ambiguità che ci attrae e ci respinge, che ci sollecita un disagio che potrebbe tracimare nel fastidio? Perché sono troppo? Troppo alte, troppo appariscenti, troppo sessualmente vistose, donne paradossali? O perché sono belle, provocanti e mettono in scena una libertà sessuale che abbraccia l’impossibile e che aggancia il desiderio come carta moschicida? Anche Antonia Monopoli, attivista dell’associazione transessuale La Fenice, che ci ha accompagnati in questa incursione nella notte, è una trans. Non ha niente di vistoso se non se stessa. 36 anni, un metro e ottanta, esile come un scultura di Giacometti, capelli rossi, occhi verdi e voce roca. Controlla con cura gesti, intonazioni della voce, persino i sospiri. Veste jeans severi e una maglietta che sottolinea appena piccoli seni. Non c’è niente di volgare in lei, ma non passa inosservata. «Oggi i pregiudizi nei confronti di noi trans sono più camuffati, ma serpeggiano dappertutto. Lo capisco quando cammino per la strada e incontro lo sguardo della gente. Occhi nei quali leggo diffidenza e morbosa curiosità. Spesso la mancanza di rispetto. Ho dovuto imparare, con fatica, a non farmi ferire da quegli sguardi». Con pazienza corregge il nostro incepparsi sul femminile, sopporta il nostro scrutarla, quasi volessimo farle una radiografia. Anche Priscilla non è operata, perché ci vogliono soldi e lei deve ancora pagare i 10.000 euro all’“amica” che le ha ceduto il posto sul marciapiede. «Un cliente» dice «chiede tre cose: Sei dotata? Sei attiva? Quanto costi?». E allora forse non sono loro a mascherarsi, ma loro a smascherare noi cosiddetti “normali”. O almeno quella parte di noi che ci sconcerta: quell’uomo che si nasconde in ogni donna, quella donna che si nasconde in ogni uomo. Un transessuale può risvegliare in alcuni il desiderio, mai ammesso, di una esperienza omosessuale. E quel desiderio inaccettabile si può trasformare in paura, fobia e violenza. «L’Italia insieme agli Usa è il Paese dove si segnalano più omicidi di persone trans: 8 nel 2007; quest’anno, e siamo solo ad agosto, il numero è raddoppiato» sottolinea Porpora Marcasciano, sociologa e attivista militante del movimento GLBTQ (Gay, Lesbiche, Bisessuali, Transgender, Queer), autrice, tra l’altro, di Favolose narranti. Secondo volume di storie di transessuali per il Manifesto libri. Come spiega questo sovrappiù di violenza? «Io lavoro con le reti europee su progetti che riguardano la prostituzione e ho potuto constatare che da noi negli ultimi anni, invece che sul dialogo, si è puntato sulle prediche dai pulpiti e sulla caccia al diverso, scegliendo di lasciar andare nel degrado alcune aree delle periferie delle città per poi orchestrare campagne contro le “categorie pericolose”, come le prostitute. E i transessuali». Donne non donne che ci fanno smarrire i sensi, e allora può accadere che si condanni e basta. Tracciando una equazione pericolosa: transessuali uguale prostituzione, promiscuità sessuale, droga, emarginazione. Antonia, paziente, racconta: «Da bambina sognavo il principe azzurro e un mondo delicato; non sapevo di essere “sbagliata”. Su consiglio del medico di base, a sette anni mia madre mi ha portato al Centro psichiatrico di Bisceglie, che allora si chiamava manicomio, dove le avevano suggerito elettrochoc o lobotomia. Che cosa ero, non lo sapevamo né lei né io. Sapevo solo che c’era quella parte fisica di me che non mi apparteneva. Anche da prostituta mi feriva il fatto che i clienti volessero la mia parte maschile. Poi, sei anni fa, ho trovato la forza per cambiare. E anche, finalmente, un lavoro: faccio la cartomante astrologa in un call center».
Marcella Di Folco, presidente del MIT (Movimento Identità Transessuale), ha 65 anni e ha vissuto tutte le stazioni del calvario trans: il tentativo disperante di credersi omosessuale, pagare gli uomini per essere amata, trovare il coraggio e i soldi per affrontare l’operazione e la strada per sentirsi, finalmente, desiderata. «Siamo in 20.000 in Italia e solo il 20 per cento va sulla strada, le altre cercano la normalità. Cercare lavoro per una trans vuol dire misurarsi con una catena di no, con percentuali di disoccupazione sino all’80 per cento». Solo lo spettacolo e la moda le contempla come sono, più spesso spariscono dietro i microfoni dei call center, lavoratore atipico, due volte invisibile. Oppure fanno le cassiere nei supermercati, commesse nelle boutique, parrucchiere, impiegate. Con un pensiero fisso: l’operazione che le transiterà anche nel corpo nel femminile e darà loro il diritto di avere un documento con un nome da donna. «Non operata. Rinata» ci ha detto Cristiana, maliziosa diva della notte.
Dal 1982, in Italia, esiste la legge 164 che riconosce, dopo un iter medico psicologico che può durare alcuni anni, il diritto al cambio di genere sui documenti di identità, a condizione che la persona accetti di sottoporsi a una operazione di demolizione e ricostruzione degli organi sessuali; nei due sensi MTF, maschio che diventa femmina, e FTM, femmina che diventa maschio. Niente operazione, niente nuova identità, all’anagrafe resti un maschio. Trovare un lavoro così “dimezzata” è difficile. La prostituzione, allora, diventa un destino.
«Vivo in famiglia, non bevo, non tiro cocaina, non mi prostituisco, lavoro in ufficio come consulente del lavoro e il giorno della tesi ho voluto le mie amiche trans. Quando ti sei accorta? mi chiedono in molti. Non mi sono accorta, io ero. Ma mi mancava un modello di riferimento. Perché o sei maschio o sei femmina, oppure non sei. E allora soccombi o conosci la rabbia e la fai tua, la fai diventare strumento politico e così impari a essere» spiega Monica Romano, occhi pervinca, capelli platino, jeans e maglietta. È la presidente dell’associazione La Fenice, si è laureata in Scienze politiche l’anno scorso con una tesi sulla transessualità come oggetto di discriminazione, uscita ad aprile per Costa&Nolan intitolata Diurna. «Vorrei dire alla gente una sola cosa» conclude Antonia: «Il rispetto degli altri non c’entra con il genere sessuale, è un diritto di tutti gli esseri umani, qualsiasi cosa scelgano di essere».
Nessun commento:
Posta un commento