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| Eudy Simelane (1977–2008) |
"Mamma, sono lesbica. Mi ami ancora?" "Certo che l’amavo. E quando è diventata adulta e una calciatrice famosa, l’intero paese l’ha amata."
Eudy Simelane (1977–2008) è stata una delle prime calciatrici professioniste sudafricane a dichiarare apertamente la propria omosessualità. Centrocampista dei Springs Home Sweepers e della nazionale femminile del Sudafrica (Banyana Banyana), ha trasformato il calcio in un luogo di visibilità e resistenza.
Non era solo un’atleta: Eudy era anche attivista e volontaria, impegnata al fianco dei malati di HIV e delle donne lesbiche nere, in un paese ancora profondamente segnato dall’omofobia e dalla violenza patriarcale.
La violenza e l’eredità
Il 28 aprile 2008, la sua vita fu spezzata da un crimine d’odio brutale: vittima di uno “stupro correttivo” e assassinata con numerose coltellate a KwaThema. Due dei suoi aggressori furono condannati a oltre trent’anni di carcere, altri due furono assolti.
La sua morte scosse il Sudafrica e il mondo, diventando simbolo della violenza sistemica contro le donne lesbiche nere e della necessità di proteggere i diritti LGBTQIA+. Oggi, un ponte a KwaThema porta il suo nome, come segno di memoria e resistenza.
Perché ricordarla
È stata pioniera nel dichiarare la propria identità in un ambiente sportivo ostile.
Ha usato la sua visibilità per difendere i diritti LGBTQIA+ e combattere lo stigma dell’HIV.
La sua eredità vive nelle lotte di oggi: nello sport, nelle piazze, nelle comunità che non accettano di essere cancellate.

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