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sabato 16 aprile 2011

IL CENTRO DEI DIRITTI

Parlare di diritti significa andare a parlare di un qualcosa di talmente vasto che, per quanto estremamente concreto e determinante, rischia di diventare un discorso aleatorio e teorico, usato a bella posta come strumento retorico o demagogico che non vuole cogliere o prendere seriamente in considerazione il fatto che nel nostro paese c'è una crescente carenza nel riconoscimento del diritto soggettivo.

Forse la buona intenzione di prendere in visione ogni aspetto della carenza del riconoscimento del diritto soggettivo, porta a diventare dispersive sul piano dell'incisività della propria azione e pensiero. Forviante è il pensare che ci si trovi di fronte alla negazione di una certa quantità diritti che interessano ora questa tipologia di persone ora quell'altra. Tale pensiero è forviante soprattutto perché distoglie dall'attenzione che il diritto soggettivo non è un qualcosa che possa considerarsi come una sommatoria di permessi o riconoscimenti, ma è un unico e sostanziale diritto della persona. Il fatto che poi questo diritto venga declinato su tutta una serie di aspetti, questo non significa che ogni aspetto assume la dignità di diritto a se stante.

Il mio diritto di esserci legittimamente, implica l'essere riconosciuta, poter accedere adeguatamente ai servizi, poter esprimere liberamente il mio pensiero, poter interpretare liberamente il mio esserci nel contesto sociale nel quale vivo. Il mio diritto ad esserci viene negato anche se solo un aspetto limita la mia possibilità di esserci pienamente nel quadro sociale.

Affermare “io ci sono” è l'affermazione sostanziale e di sintesi che rivendica e reclama il proprio diritto, proprio in relazione al fatto che una certa quantità di servizi, opportunità, situazioni sono precluse variamente alle persone proprio perché queste, nella situazione o modalità in cui ci sono, non viene riconosciuta, presa in considerazione, ritenuta importante. Nel momento che a me viene negato un solo aspetto del mio esserci socialmente, mi viene negato il mio diritto soggettivo di esserci e di potermi legittimamente autodeterminare.

Io sono mia, recitava un vecchio slogan, e questo riassumeva l'interezza delle rivendicazioni sociali e politiche di un intero movimento che – sebbene ora molto disconosciute – hanno portato a significativi cambiamenti sociali.
“Io sono mia” esprime un valore politico e sociale fondamentale, poiché sottolinea ed imprime una consapevolezza del proprio diritto ad esserci secondo la propria volontà, visione e determinazione.
Se oggi noi dobbiamo muovere il pensiero e l'azione in relazione al diritto, forse è il momento che riprendiamo a declinare in modo nuovo e incisivo questa affermazione “io sono mia/o”, avendo il coraggio (e non tanto la fantasia) di applicare questa affermazione su ogni piano sociale, culturale, politico ed economico.

Cosa può significare questo? Penso che in primo luogo se noi ci assumiamo il compito ed il coraggio di declinare l'affermazione “io sono mia/o” ci troveremo di fronte ad un profondo disagio in merito alla impostazione politica generale delle rivendicazioni, e questo perché per noi sarà difficile poter sostenere una lotta che indica come diritto ciò che noi riteniamo sia solo un aspetto, uno degli elementi che si declinano dalla consapevolezza del proprio diritto che si attua nella reale possibilità e legittimità di autodeterminazione. In secondo luogo, se ci poniamo su questa linea, non possiamo più permetterci di confondere quale sia il “soggetto/oggetto” del nostro pensiero ed azione.
L'affermazione del diritto non è mai un qualcosa che riguarda solo qualcuno, ma riguarda ogni persona, ogni esistenza. L'affermazione del diritto implica che il margine di trattabilità, di mediazione, di personalizzazione si riduce drasticamente, poiché non può consentire in alcun modo la ricerca di un proprio vantaggio o di un proprio particolare. In terzo luogo questa logica ci pone in una posizione critica verso ogni programma politico, poiché potremmo solo ritenere congrui i programmi e le azioni che visualizzino la persona nella sua interezza e nella sua indivisibilità dalla società.

Questo procedere non ci impedisce di ricercare e cogliere dei punti di partenza della riflessione e dell'azione, ma piuttosto ci darà sempre la consapevolezza che si sceglie un aspetto attraverso il quale mettere in luce la negazione complessiva del diritto che si viene a sostenere e reclamare. Se sociologicamente partiamo dal corpo e se politicamente focalizziamo il lavoro, non è perché in questi aspetti vediamo “diritti” negati, ma piuttosto perché partiamo da questi elementi per rappresentare aspetti in cui il diritto all'autodeterminazione venga negato, venga occultato, venga ridotto progressivamente.

Darianna Saccomani
Presidente Crisalide Pangender

Fonte:http://www.crisalidepangender.org/2011/04/il-centro-dei-diritti.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+Pangender+%28pangender%29

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