Vogliono obbligarmi al “divorzio di Stato”


Alessandra Bernaroli Dopo che è diventata una donna transessuale, il Comune di Bologna vuole “divorziarla d’ufficio” da sua moglie. Lei si oppone e il caso è finito in Tribunale.

Lei è ufficialmente una donna dal 2009. E chiede che il suo matrimonio, contratto quando era un uomo, rimanga valido. Perché?

Per gli stessi motivi per i quali io e mia moglie ci siamo sposate: per amore e perché condividiamo un progetto di vita insieme.

Nel frattempo, però, lei ha cambiato sesso.

È un evento molto grande. Ma nella vita capitano anche eventi più gravi e le persone restano insieme. Il cambio di sesso non ha modificato il rapporto con mia moglie.

Come è possibile?

Perché con le operazioni chirurgiche e il cambio di documenti io ho risolto un mio malessere personale, dovuto a una patologia specifica che si chiama “disforia dell’identità di genere”. Ma sono sempre io. Lei ha capito e seguito il mio percorso ed è rimasta con me. Non vedo perché un oscuro burocrate possa arrogarsi il diritto di decidere per noi su un aspetto fondamentale come il matrimonio.

L’oscuro burocrate sarebbe il funzionario del Comune di Bologna che vorrebbe annullare il suo matrimonio? Cosa è successo di preciso?

Dopo la sentenza del Tribunale, che ha sancito il mio cambio di sesso e di documenti, ho chiesto di rinnovare la carta di identità. Ma tardava ad arrivare. Io mi sono permessa di chiamare il Comune di Bologna e mi hanno passato un funzionario: lui mi ha detto che attendeva il divorzio perché non gradiva vedere due donne sposate sullo stesso stato di famiglia.

Ma alla fine i documenti li ha avuti?

Sì, ma hanno diviso arbitrariamente lo stato di famiglia. Al punto che si sono inventati due numeri civici diversi e inesistenti (un /a e /b) per me e mia moglie. Lei figura sposata con me, io ho la dicitura “stato civile non documentato”.

È legale?

Nessuna legge permette a un ufficiale civile di sciogliere una famiglia già formata. Oltretutto senza neppure avvertirci! È abuso d’ufficio e alterazione di atti, sui cui mi riservo di fare causa.

Perché si riserva?

Perché adesso sono impegnata in un’altra causa: quella per far annullare il “divorzio d’ufficio” che si è inventato il Comune.

In base a cosa? In Italia il matrimonio omosessuale ancora non esiste...

Guardi, è lì l’errore: il mio è un matrimonio transessuale, non omosessuale.

Qual è la differenza?

Un omosessuale è una persona i cui unici problemi derivano dal fatto che la società lo discrimina, ma che sta bene con se stessa, si riconosce per quella che è.

Per i transessuali non è così?

La disforia dell’identità di genere fa sì che una persona non si riconosca nel suo corpo. Per questo, tramite ormoni e chirurgia, ha bisogno di adeguarlo alla sua identità di genere interiore. Io mi sentivo una donna anche quando avevo un corpo maschile. Questo sul piano individuale. Poi c’è il fatto che mentre per il matrimonio gay si tratta di celebrare nuove nozze, il mio matrimonio esisteva già, è solo nato come matrimonio tra due persone di sesso diverso. Noi non chiediamo di introdurre nuove leggi.

La normativa attuale cosa dice?

Nel 1987 la legge sul divorzio è stata aggiornata, “annovellata” si dice in termini giuridici, per includere il caso del transessualismo. E il cambio di sesso è stato aggiunto tra le possibili cause per la richiesta di divorzio da parte del coniuge. Possibile, non automatica.

Quindi il divorzio deve avvenire solo se lo chiede uno dei coniugi?

Esatto. Su questo, in primo grado, ci ha dato ragione il tribunale di Modena. Ha esaminato il nostro ricorso contro il cambio di documenti deciso dai comuni di Bologna e di Massa Finalese (dove ci siamo sposate) e ha riconosciuto che il nostro matrimonio è valido.

Venerdì prossimo, però, un tribunale dovrà di nuovo pronunciarsi sul vostro caso...

Sì, l’Avvocatura dello Stato ha fatto appello contro la sentenza. È molto probabile che dovremo arrivare al terzo grado di giudizio, la Cassazione.

Ma perché avete scelto la via giudiziaria?

Abbiamo provato a rivolgerci alla burocrazia comunale: non ci hanno mai risposto chiaramente. Per non darci i documenti ci hanno persino detto che era rotta la macchina! Ci siamo appellate anche ai politici locali, visto che il Comune di Bologna si vanta di essere all’avanguardia nel rispetto dei diritti delle persone. Anche lì nessuna risposta. Siamo state obbligate. Le assicuro che io avrei preferito mantenere la mia riservatezza.

Ora cosa si augura?

Che venga bloccato questo divorzio di Stato. È pazzesco che la burocrazia voglia cancellare la mia famiglia. Il paradosso è che noi siamo sposate anche in Chiesa!

Questo con lo stato civile non c’entra, ma per la Chiesa il sacramento è sempre valido?

Certo. Non credo che alla Chiesa venga in mente di chiedere a una famiglia di rompersi e a due coniugi di divorziare: è contrario ai suoi principi.

Di :Elena Tebano

elena.tebano@rcs.it

Fonte:http://city.corriere.it/2011/01/12/interviste.shtml

Commenti

Anonimo ha detto…
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