(29/06/2007) I colori, il popolo e le emozioni del Gay Pride nella città in cui nel 1969 tutto nasceva. Il racconto. Le foto. Da New York Giuliano Federico.
Sono passati 38 anni da quel Giugno del 1969 in cui nel bar Stonewall del Greenwich Village un pugno di checche si ribellò alla polizia. Una scintilla che incendiò il mondo e innescò una combustione lenta e inesorabile, che anno dopo anno sta carbonizzando la paura soggiogatrice degli oppi religiosi e i vincoli dei pregiudizi verso le persone omosessuali e transessuali. I newyorchesi insistono su un termine: the march. La marcia. Non chiamatela Parade, non chiamatelo Gay Pride, quella di oggi è la marcia. E bisogna essere qui per capire che l’unica cosa che conta è esserci con il proprio corpo. È il corpo quel che conta più di ogni altra cosa, perché è del nostro corpo che hanno paura, sono i nostri corpi che vorrebbero cancellare. Sono i nostri corpi che hanno vessato per secoli e secoli. Sono i nostri corpi che ancora oggi in molti posti del mondo vengono spazzati via con la morte.
C’è spazio per tutto e tutti nel corteo. Per le famiglie gay con i bambini, addobbate tutte di rosso, come il sangue che è vita. Per militari e cheer-boys, per teenager gay e lesbiche butch, per marchette che sponsorizzano il proprio sito come per i gay anziani. Ci sono quelli di Lambda Legal (avvocati a difesa dei diritti ltgb) e quelli di GLAAD (The Gay & Lesbian Alliance Against Defamation). Così come non manca la principale associazione lgbt cittadina. C’è spazio per politici che hanno fatto il carro, ci sono i ragazzi di Obama e c’è spazio per aziende di ogni tipo (multinazionali) nel corteo, per i sieropositivi e per i bear
New York, 24 giugno 2007
Giuliano Federico
redazione@gay.tv
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