Nell'Unione Europea, i diritti delle persone transgender sono protetti in parte dalla legislazione antidiscriminazione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE, che vietano la discriminazione basata sull'identità di genere. La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'UE ha ribadito che l'identità di genere è un aspetto della vita privata protetto e che gli Stati membri non possono imporre requisiti chirurgici per il riconoscimento legale del genere.
Tuttavia, permangono sfide significative, con alcune nazioni ancora che richiedono diagnosi psichiatriche o interventi chirurgici e altre che non hanno ancora procedure per il riconoscimento legale del genere, evidenziate da report come il "Trans Rights Map 2025" di TGEU.
Un parere dell’Avvocato generale della Corte di giustizia UE potrebbe aprire la strada a un importante cambiamento per i diritti delle persone transgender in Europa, in particolare per quanto riguarda il riconoscimento di genere nei documenti d’identità.
Il caso all’origine della questione arriva dalla Bulgaria. Una cittadina, registrata alla nascita come maschio, ha intrapreso una transizione attraverso trattamenti ormonali e oggi si presenta con caratteristiche femminili. Tuttavia, le autorità nazionali hanno rifiutato di aggiornare i suoi dati anagrafici, mantenendo nei documenti ufficiali il sesso e il nome maschile originari. Questa discrepanza tra aspetto e dati legali le ha provocato difficoltà concrete, ad esempio nella ricerca di un impiego, spingendola a rivolgersi ai tribunali.
La normativa bulgara, come interpretata dai giudici locali, non consente in questi casi la modifica del sesso, del nome e del numero di identificazione personale riportati negli atti di nascita. La Corte suprema di cassazione bulgara, investita della controversia, ha chiesto alla CGUE se tale posizione fosse compatibile con le garanzie previste dall’ordinamento europeo.
Nelle sue conclusioni, l’Avvocato generale ha chiarito che l’obbligo di garantire la libera circolazione e il rispetto della vita privata impone agli Stati membri di riconoscere legalmente il genere vissuto dai propri cittadini. Secondo de la Tour, la menzione del sesso nei documenti d’identità, in quanto strumento di identificazione, deve corrispondere alla realtà vissuta dall’interessato, affinché la validità e l’autenticità del documento non vengano messe in discussione.
Di conseguenza, una legge nazionale che impedisca a una persona transgender di ottenere un documento allineato alla propria identità rappresenta una restrizione ingiustificata di un diritto fondamentale, in questo caso la possibilità di viaggiare e risiedere liberamente all’interno dell’UE. Per essere legittima, una simile limitazione dovrebbe rispondere a motivi oggettivi e proporzionati rispetto a un obiettivo di interesse generale. Ma, osserva l’Avvocato generale, nel caso bulgaro tale giustificazione non sussiste.
Il parere suggerisce inoltre che i giudici nazionali, senza attendere un intervento legislativo, interpretino le norme interne in modo conforme al diritto europeo o, se ciò non fosse possibile, le disapplichino. Ciò significa che i tribunali dei Paesi membri devono garantire, caso per caso, la piena efficacia dei diritti riconosciuti a livello dell’Unione, anche quando le leggi interne non risultino aggiornate.
Particolarmente rilevante è anche un altro punto sollevato da de la Tour: la richiesta di aggiornamento dello stato civile per ottenere documenti conformi alla propria identità di genere non può essere subordinata alla prova di un intervento chirurgico di riassegnazione. Un requisito del genere, infatti, lederebbe non solo il diritto al rispetto della vita privata, ma anche l’integrità fisica della persona, introducendo una condizione medica non necessaria per l’esercizio di un diritto civile.
Si ricorda tuttavia che le conclusioni dell’Avvocato generale non sono vincolanti. Rappresentano una proposta giuridica, elaborata in piena indipendenza, che serve a orientare la Corte di giustizia nella decisione finale. I giudici europei hanno ora iniziato le loro deliberazioni e la sentenza definitiva sarà pronunciata in un secondo momento.
Il rinvio pregiudiziale, strumento utilizzato in questo caso, consente ai tribunali nazionali di chiedere alla CGUE chiarimenti sull’interpretazione o sulla validità del diritto dell’Unione, senza che la Corte stessa risolva direttamente la controversia interna. Sarà infatti compito dei giudici bulgari concludere il procedimento, applicando la decisione europea, che a sua volta diventerà un riferimento vincolante per altri tribunali alle prese con questioni analoghe.
Se la Corte seguirà le indicazioni dell’Avvocato generale, la decisione avrà effetti ben oltre la Bulgaria. Potrebbe infatti costituire un precedente capace di incidere sulle legislazioni di diversi Stati membri che ancora oggi subordinano il riconoscimento legale dell’identità di genere a procedure mediche invasive o, in alcuni casi, non lo prevedono affatto. Un passo, dunque, che non riguarda soltanto la burocrazia dei documenti, ma tocca la dignità e i diritti fondamentali di numerose persone in tutta l’Unione europea.
L’avvocato generale della Corte di giustizia UE afferma: ogni persona ha diritto a documenti che rispecchino la propria identità di genere, senza dover subire interventi chirurgici o dover fornire prova di essi.
E’ il riconoscimento pieno del diritto all’autodeterminazione, alla libertà, alla dignità: il diritto ad essere se stessi, senza condizioni. Ora ci aspettiamo che la Corte confermi questa linea e che in tutta l’Unione nessuno possa più negare dignità e libertà a cittadine e cittadini, in particolare alle persone trans.
Un parere dell’Avvocato generale della Corte di giustizia UE potrebbe aprire la strada a un importante cambiamento per i diritti delle persone transgender in Europa, in particolare per quanto riguarda il riconoscimento di genere nei documenti d’identità.
Il caso all’origine della questione arriva dalla Bulgaria. Una cittadina, registrata alla nascita come maschio, ha intrapreso una transizione attraverso trattamenti ormonali e oggi si presenta con caratteristiche femminili. Tuttavia, le autorità nazionali hanno rifiutato di aggiornare i suoi dati anagrafici, mantenendo nei documenti ufficiali il sesso e il nome maschile originari. Questa discrepanza tra aspetto e dati legali le ha provocato difficoltà concrete, ad esempio nella ricerca di un impiego, spingendola a rivolgersi ai tribunali.
La normativa bulgara, come interpretata dai giudici locali, non consente in questi casi la modifica del sesso, del nome e del numero di identificazione personale riportati negli atti di nascita. La Corte suprema di cassazione bulgara, investita della controversia, ha chiesto alla CGUE se tale posizione fosse compatibile con le garanzie previste dall’ordinamento europeo.
Nelle sue conclusioni, l’Avvocato generale ha chiarito che l’obbligo di garantire la libera circolazione e il rispetto della vita privata impone agli Stati membri di riconoscere legalmente il genere vissuto dai propri cittadini. Secondo de la Tour, la menzione del sesso nei documenti d’identità, in quanto strumento di identificazione, deve corrispondere alla realtà vissuta dall’interessato, affinché la validità e l’autenticità del documento non vengano messe in discussione.
Di conseguenza, una legge nazionale che impedisca a una persona transgender di ottenere un documento allineato alla propria identità rappresenta una restrizione ingiustificata di un diritto fondamentale, in questo caso la possibilità di viaggiare e risiedere liberamente all’interno dell’UE. Per essere legittima, una simile limitazione dovrebbe rispondere a motivi oggettivi e proporzionati rispetto a un obiettivo di interesse generale. Ma, osserva l’Avvocato generale, nel caso bulgaro tale giustificazione non sussiste.
Il parere suggerisce inoltre che i giudici nazionali, senza attendere un intervento legislativo, interpretino le norme interne in modo conforme al diritto europeo o, se ciò non fosse possibile, le disapplichino. Ciò significa che i tribunali dei Paesi membri devono garantire, caso per caso, la piena efficacia dei diritti riconosciuti a livello dell’Unione, anche quando le leggi interne non risultino aggiornate.
Particolarmente rilevante è anche un altro punto sollevato da de la Tour: la richiesta di aggiornamento dello stato civile per ottenere documenti conformi alla propria identità di genere non può essere subordinata alla prova di un intervento chirurgico di riassegnazione. Un requisito del genere, infatti, lederebbe non solo il diritto al rispetto della vita privata, ma anche l’integrità fisica della persona, introducendo una condizione medica non necessaria per l’esercizio di un diritto civile.
Si ricorda tuttavia che le conclusioni dell’Avvocato generale non sono vincolanti. Rappresentano una proposta giuridica, elaborata in piena indipendenza, che serve a orientare la Corte di giustizia nella decisione finale. I giudici europei hanno ora iniziato le loro deliberazioni e la sentenza definitiva sarà pronunciata in un secondo momento.
Il rinvio pregiudiziale, strumento utilizzato in questo caso, consente ai tribunali nazionali di chiedere alla CGUE chiarimenti sull’interpretazione o sulla validità del diritto dell’Unione, senza che la Corte stessa risolva direttamente la controversia interna. Sarà infatti compito dei giudici bulgari concludere il procedimento, applicando la decisione europea, che a sua volta diventerà un riferimento vincolante per altri tribunali alle prese con questioni analoghe.
Se la Corte seguirà le indicazioni dell’Avvocato generale, la decisione avrà effetti ben oltre la Bulgaria. Potrebbe infatti costituire un precedente capace di incidere sulle legislazioni di diversi Stati membri che ancora oggi subordinano il riconoscimento legale dell’identità di genere a procedure mediche invasive o, in alcuni casi, non lo prevedono affatto. Un passo, dunque, che non riguarda soltanto la burocrazia dei documenti, ma tocca la dignità e i diritti fondamentali di numerose persone in tutta l’Unione europea.
L’avvocato generale della Corte di giustizia UE afferma: ogni persona ha diritto a documenti che rispecchino la propria identità di genere, senza dover subire interventi chirurgici o dover fornire prova di essi.
E’ il riconoscimento pieno del diritto all’autodeterminazione, alla libertà, alla dignità: il diritto ad essere se stessi, senza condizioni. Ora ci aspettiamo che la Corte confermi questa linea e che in tutta l’Unione nessuno possa più negare dignità e libertà a cittadine e cittadini, in particolare alle persone trans.

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