Yemen: la sposa-bambina, Nojoud Muhammed Nasser, ottiene il diritto alla sua libertà


E’ una storia a lieto fine, ma non è una favola. Anzi. Nojoud Muhammed Nasser ha vinto la sua battaglia. Il tribunale ha finalmente emesso la sentenza che ha permesso la liberazione da un vincolo troppo grande per questa piccola donna dello Yemen.

“Gli abusi del marito e il fatto che non era ancora matura sono una ragione sufficiente per annullare il matrimonio”.

L’annullamento su richiesta della donna, secondo la legge yemenita, prevede che la famiglia restituisca la somma pagata dal marito come dote per le nozze, che ammonta a 100.000 rial (316 Euro). Oggi la cifra è stata ripagata grazie alla commozione dell’animo umano, che in questo caso si chiama Emirati Arabi Uniti.

Nojoud è la prima ad aprire il vaso di Pandora: chiedere il divorzio dal marito, in una società tribale dove i matrimoni precoci sono consuetudine. In un Paese arabo come lo Yemen, tra i più poveri al mondo, queste unioni combinate sono determinate spesso dalle difficili condizioni economiche delle famiglie, malgrado la legge nazionale fissi a 15 anni l’età minima per il matrimonio. C’è da dire che allo stesso tempo, il codice civile yemenita lascia impuniti i tutori delle minorenni che le danno in spose.

E’ un cane che si morde la coda. Il padre si è pentito. E non è stato incriminato. Il marito, ormai ex-sposo, Faez Ali Thamer, ha accettato indietro la dote ed è tornato libero. Diverse associazioni per i diritti umani e delle donne, insieme a 61 deputati del parlamento yemenita, hanno sollecitato una legge che imponga l’età di 18 anni come limite minimo per il contrare il matrimonio. Ma la Commissione di Giustizia dello Yemen sostiene che non ci sono le basi per modificare la legge secondo i dettami dell’Islam.
Il matrimonio precoce, così come le gravidanze premature, il lavoro e la prostituzione minorile, l’analfabetismo appartengono alle patologie del cosiddetto “malsviluppo”, la cui soluzione ottimale parla di sviluppo, ma soprattutto di istruzione. Quando si parla di diritto all’istruzione occorre ricordarsi di coniugarlo al femminile, perché la discriminazione verso le bambine e le ragazze è l’ostacolo principale alla realizzazione del progresso.

Il principale ostacolo alla realizzazione di questo obiettivo è rappresentato spesso dalla dubbia volontà politica dello Stato, che antepone all’istruzione - diritto inalienabile - altre priorità. E’ un discorso che vale tanto per i Paesi ricchi, che danno meno di quanto potrebbero e dovrebbero dare, quanto per quelli in Via di Sviluppo, che adottano politiche sociali miopi e senza futuro.

Ritenere che l’istruzione sia superflua per le figlie, che il loro ruolo non sia destinato a cambiare, contribuisce solo ad allontanarci da quel traguardo intelligente che è l’educazione e lo sviluppo. L’istruzione femminile, non solo restaura un diritto sancito dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia, ma più di ogni altra cosa, porta innegabili benefici all’intera società. Una bambina istruita sarà in grado di aumentare il suo livello di vita. Avrà la possibilità di acquistare indipendenza economica, di ricoprire posti di rilievo. Comprenderà l’importanza del diritto alla salute. Riuscirà ad adottare misure preventive contro l’AIDS. Non incontrerà i pericoli della prostituzione e dello sfruttamento. Avrà più coscienza del futuro, per se stessa e per i suoi figli. Perché dovrà viverci dentro.

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