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martedì 24 aprile 2007

BEAUTIFUL BOXER




Un film che non ti aspetti, questo del regista tailandese Ekachai Uekrongtham. La storia è molto semplice e si basa sul racconto autobiografico di uno dei più famosi kickboxer tailandesi, Parinya Charoenphol, che riesce a far convivere questo sport durissimo ed esclusivamente maschile, con la maturazione della sua anima femminile e la sua transizione, assumendo il nome di Nong Tom (sarebbe Tum, ma è stato tradotto con Tom). Il film si svolge quasi tutto in "feedback" con il racconto della ormai donna Nong Tom che rilascia un'intervista ad un giornalista americano. Dall'infanzia fino alla celebrazione sui ring di tutta la Tailandia e del Giappone e all'abbandono dello sport, l'evoluzione dell'identità femminile di Nong Tom, prima come lottatore travestito, poi in una vera e propria transizione sessuale.


la locandina del film edito in Italia dalla Dolmen Home Video, collana Queer, in collaborazione con il Festival Internazionale di Cinema GayLesbico e Queer Culture di Milano La apparente banalità dello script non deve trarre in inganno. Il regista ed il bravissimo attore (capace di assumere una identità femminile decisamente più credibile della Huffmann in Transamerica), mettono in scena nel film una quantità di tematiche davvero incantevoli e innovative rispetto agli stereotipi che circolano sulle persone transgender. L'idea del far convivere non solo nell'identità ma anche nella biografia di una persona Kickbox e psicologia e valori femminili è decisamente più realistico delle figure stereotipate di trans che siamo abituati a vedere nei film, sia politicamente scorretti, sia politicamente corretti. Vedere combattere la femminile Nong Tom e sbattere a terra decine di kickboxer maschi che regolarmente l'avevano presa ingiro prima del match, con le battute maschiliste più becere e tipiche, offre alla protagonista la possibilità di incarnare, nella sua condizione transgender, la rivincita della donna sul maschilismo anche negli aspetti più tipicamente maschili (la forza fisica ad esempio). Ma se Nong sul ring è uno spietato lottatore, a fine combattimento bacia il proprio avversario e, appena esce dal setting della boxe, esprime, peraltro con grande credibilità, una femminilità che travolge il suo corpo atleticamente maschile, comunicando con ciò che l'essere donna, per una trans, viene ancor prima degli ormoni, degli interventi chirurgici, della transizione fisica. Molti altri temi vengono delicatamente affrontati nel film. Per noi occidentali inoltre è interessante osservare il diverso atteggiamento della cultura buddista rispetto a quella cristiano/giudaica nei confronti delle differenze, e del rispetto dell'identità personale.

Se infatti la società cittadina tailandese ormai "occidentale" offre spunti di transfobia, essa non raggiunge mai il clima della violenza. Anche dove la condizione trans viene mal vissuta, essa non supera quasi mai il clima dello "sfottò" e alla fine viene accettata. In ogni caso non chiude le porte della società a chi nasce di un sesso opposto al proprio genere sentito. L'antica cultura tailandese peraltro prevedeva l'esistenza delle "donne di secondo tipo", delle trans, ed oggi è famosa per le cosiddette "Lady Boys" - transessuali che - nel parziale rinnegamento della moderna tailandia rispetto alla propria cultura, a favore di quella occidentale - sono relegate spesso alla prostituzione che il governo tailandese sfrutta per aumentare il turismo (sessuale) nel proprio paese.
Ma accanto a questi mali occidentali che hanno contaminato anche l'oriente, accanto alle resistenze della famiglia di Nong Tom che porteranno il ragazzo in un monastero buddista molto rigido, vediamo anche una madre che, rispondendo alle perplessità del padre che si chiede se il loro figlio diventerà "un travestito", risponde: "se questo è il suo karma, lo diventerà" e accompagnerà il figlio che diventa sempre più figlia nei vari passaggi della transizione con un affetto senza condizioni e senza giudizio. E sarà successivamente un monaco errante buddista a dire al giovane ragazzino - ormai rassegnato a raccogliere Karma positivo in questa vita per poter sperare di rinascere donna - a dirgli: "potrai esserlo anche in questa vita", con ciò offrendo la benedizione anche spirituale rispetto alla sua identità di genere.
Molti i momenti poetici nel film, accompagnato da una fotografia delicata e molto "pastellata" nelle scene di campagna della sua gioventù e decisamente più "satura" (specie nel rosso e nel blu) nelle parti girate sui ring e nella città.
Il film utilizza più volte la voce "fuoricampo" della protagonista senza che questo espediente diventi fastidioso e preponderante. Ad essa sono affidati i messaggi etici e morali più importanti della pellicola.
Una nota particolare va fatta per l'attore principale, un vero kickboxer che ha recitato perfettamente anche la parte di inizio e fine transizione. Strepitosi i cambiamenti somatici dovuti sì al trucco, ma anche a non meglio specificate cure che sono state effettuate sull'attore per femminilizzarlo al massimo (niente seno, ma sicuramente addolcimento del viso), al punto da far sospettare un breve periodo di terapia antiandrogenica, seppur blanda.
Nota negativa: durante tutto il film i sottotitoli italiani parlano di Nang Tom come di un travestito e si parla di lei al maschile, anche quando la si rappresenta ormai in fase avanzata di transizione e a pochi giorni dall'intervento chirurgico di rettificazione dei genitali. Solo il giornalista americano, alla fine, le si rivolge al femminile durante l'intervista. Essendo l'audio originale prevalentemente in tailandese, diventa difficile stabilire se il problema è originario della pellicola o frutto dell'ignoranza dei traduttori italiani.
Questa pecca, che riteniamo grave in genere quando si parla di persone transgender e transessuali, nel film quasi passa in secondo piano di fronte ai contenuti concreti del film.
Uno dei più poetici e belli mai scritti sulla tematica trans, a parere di chi scrive. Sicuramente mille volte meglio del decantato "Transamerica" che alla fine riproduce una visione molto stereotipata ed antica della realtà trans (vedi recensione).

Genova 17 luglio 2006
Mirella Izzo

FOTOGALLERY E UN POCO DI ANTROPOLOGIA
courtesy by National Geographic

Questo è il vero viso di Tum, uno dei più popolari volti della Tailandia. E' stata un campione di Kick Box - ma dopo che quattro anni fa si è sottoposta ad intervento di riassegnazione chirurgica - ha lasciato la boxe. Come uomo, Tum è stato un eroe nazione, idealizzato per la sua maestria nel "Muay Thai", il nome con cui viene chiamata la boxe tailandese tradizionale. Come donna ha smesso di competere fino a questo 2006, anno in cui ha deciso di tornare sul ring.

Tre ragazzi e una ragazza

In Tailandia il concetto dell'esistenza di tre sessi è antico. Antiche tradizioni del nord della Tailandia raccontano che in principio un uomo e una donna ebbero tre figli: un maschio, una femmina e un terzo sesso. Molti tailandesi credono che essere 'phuying praphet song', nome tradizionale per indicare le persone transgender che -tradotto letteralmente signfica "secondo tipo di donna" - sia il risultato del proprio karma. Molti pensano che nelle loro vite passate, le phuying praphet song erano uomini che hanno avuto molte storie con donne differenti. E che il loro destino di karma sia quello di reincarnarsi in una donna intrappolata in un corpo di uomo. Le Ladyboys credono che se si comporteranno bene in questa reincarnazione rinasceranno o come uomini o come donne. In Tailandia si stima vivano 180.000 ladyboys che vivono come donne ma che legalmente sono considerate uomini.
Da sinistra a destra: una ladyboy (nome popolare in tailandia per descrivere le persone transgender) di nome "Oh; Sam Winter, un antropologo dell'università di Hong Kong, una cabarettista transgender di nome Fah e la giornalista di National Geographic, Laura Greene.
Tre ragazzi e una ragazza

In Tailandia il concetto dell'esistenza di tre sessi è antico. Antiche tradizioni del nord della Tailandia raccontano che in principio un uomo e una donna ebbero tre figli: un maschio, una femmina e un terzo sesso. Molti tailandesi credono che essere 'phuying praphet song', nome tradizionale per indicare le persone transgender che -tradotto letteralmente signfica "secondo tipo di donna" - sia il risultato del proprio karma. Molti pensano che nelle loro vite passate, le phuying praphet song erano uomini che hanno avuto molte storie con donne differenti. E che il loro destino di karma sia quello di reincarnarsi in una donna intrappolata in un corpo di uomo. Le Ladyboys credono che se si comporteranno bene in questa reincarnazione rinasceranno o come uomini o come donne. In Tailandia si stima vivano 180.000 ladyboys che vivono come donne ma che legalmente sono considerate uomini.

National Geographic ha dedicato un intera trasmissione a Tung (http://news.nationalgeographic.com/news/2004/03/0325_040325_TVthirdsex.html)
Foto e testi di questa paginasono tratti da National Geographic. Ulteriori immagini e testi sono disponibili alla pagina; http://channel.nationalgeographic.com/channel/photogallery/thirdsex/

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