La Santa Sede ribadisce il no a discriminazioni e violenze verso omosessuali, ma condanna il tentativo di imporre l’idea secondo cui ogni tipo di rapporto sarebbe equivalente dal punto di vista della natura e della morale
giacomo galeazzicittà del vaticano 15/07/2011
Il Vaticano protesta per la «road map» Onu sui diritti dei gay in quanto non permetterebbe alcuna distinzione morale, politica o giuridica in relazione al matrimonio, all’adozione o all’inseminazione artificiale.
La recente risoluzione delle Nazioni Unite sull’orientamento sessuale e l’identità di genere è entrata a far parte di un documento-manifesto che potrebbe limitare la libertà della Chiesa. In pratica, non sarebbe considerato più ammissibile avere un’opinione morale o religiosa sull’omosessualità. Il Vaticano, quindi, mette in guardia dal pensiero unico, imposto in nome dello sradicamento dell’omofobia e della transfobia. Le categorie di orientamento sessuale e identità di genere non sono né riconosciute, né univocamente definite nel diritto internazionale e, pertanto, sono suscettibili di essere interpretate e definite secondo le intenzioni di chi a esse si riferisce. Secondo il rappresentante della Santa Sede al Consiglio dei diritti umani di Ginevra, l’agenda delle Nazioni Unite mette in pericolo la libertà religiosa della Chiesa.
«L’obiettivo è includere i diritti dei gay nell’agenda globale dei diritti umani», mette in guardia l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l'ufficio dell’Onu a Ginevra. Secondo la Santa Sede, uno dei possibili travisamenti è che, se uno Stato o una comunità religiosa rifiutassero di celebrare il matrimonio per le coppie dello stesso sesso o di riconoscerne le adozioni infantili, sarebbero suscettibili di violare i diritti dei gay inseriti in agenda dalle Nazioni Unite. E, in casi estremi, i ministri religiosi potrebbero addirittura ricevere un’ingiunzione a celebrare i matrimoni gay. Il contributo della Chiesa alla riflessione sui diritti umani non è mai disgiunto dalla prospettiva della fede nel Dio creatore. Per la Chiesa cattolica, trattandosi di diritti che hanno a che vedere con la vita e i comportamenti delle persone, delle comunità e dei popoli, il discernimento prevede che ci si chieda ogni volta se le problematiche che si vogliono riconoscere come nuovi diritti promuovano un vero bene per tutti e in quale rapporto stiano con gli altri diritti e con le responsabilità di ognuno. Ad essere minacciata dalla «road map» sui diritti dei gay, perciò, è la libertà religiosa. Da una parte la Santa Sede si contrappone a una dittatura della ragione positivista che esclude Dio dalla vita della comunità e dagli ordinamenti pubblici, privando così l'uomo di suoi specifici criteri di misura, dall’altra accoglie le vere conquiste dell’illuminismo, i diritti dell’uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l’autenticità della religione. Il braccio di ferro tra Vaticano e Onu si inserisce nella discussione sui diritti dei «LGBT» (lesbiche,gay,bisessuali e transessuali), tra i quali sono contemplati anche il matrimonio, l’adozione e l’inseminazione artificiale.
La Santa Sede condivide il legittimo fine di evitare discriminazioni ingiustificate e di tutelare da violenze le persone «LGBT», ma stigmatizza il tentativo di forzare l’opinione e le coscienze, imponendo un’idea secondo cui ogni tipo di rapporto (eterosessuale, omosessuale, bisessuale o transessuale) sarebbe equivalente dal punto di vista della natura e della morale. Ciò, secondo la Santa Sede, viola diversi diritti fondamentali in quanto indebolisce le libertà di opinione, di espressione e di religione. A rischio, dunque, è la libertà della Chiesa e dei credenti. Inoltre, la famiglia e i bambini non sarebbero più riconosciuti come realtà naturali in se stesse, ma come oggetto di desiderio soggettivo a causa dell’esistenza di un loro diritto dei gay a sposarsi, ad adottare e a fondare una «famiglia», come se le realtà naturali non esistessero. La Santa Sede è preoccupata per la negazione della differenziazione tra le realtà di coppie eterosessuali e di rapporti tra persone LGBT, oltreché per la neutralizzazione morale della sessualità. La polemica tra Roma e Ginevra si fonda sull’opposta valutazione di un presupposto: ossia se la sessualità sia esterna o meno alla sfera dell’azione morale. Per la morale cattolica la sessualità umana, come ogni attività volontaria, possiede una dimensione morale: si tratta di un’attività posta in essere da una volontà individuale, per una finalità; non è una «identità». Insomma, dipende dall’agire e non dall’essere, nonostante quanto le tendenze omosessuali possano essere radicate nella personalità. Negare la dimensione morale della sessualità equivale a negare la libertà della persona in questo ambito e porta, in ultima analisi, verso una violazione della sua dignità ontologica. La Santa Sede teme che il riconoscimento di una piena parità giuridica per le persone portatrici di orientamento omosessuale possa prestarsi alla rivendicazione del matrimonio tra due uomini o due donne.
Lo scontro Nazioni Unite-Santa Sede ha in Italia un significativo precedente nella disputa di sei anni fa tra la Regione Toscana e il cardinale Ennio Antonelli, all’epoca arcivescovo di Firenze e attuale ministro vaticano della Famiglia. Anche in quel caso la materia del contendere fu una legge a favore di una cultura che stravolge la naturale distinzione sessuale tra uomo e donna a favore di transessuali e di transgender. In una legge regionale, infatti, si affermava che la persona umana nasce neutra, non esiste cioè una condizione di natura che definisca il sesso, così che la scelta di genere avviene secondo percorsi culturali. Da qui l’invito della legge alle province ed ai comuni, a promuovere, mediante iniziative culturali, le nuove figure sessuali come transessuali, omosessuali, lesbiche e transgender. «Una cosa sono i diritti individuali delle persone, altro è il riconoscimento giuridico della coppia omosessuale equiparandola alla famiglia- criticò il cardinale Antonelli-. Credo che questa sia una strada che non contribuisca al bene della società».
Nell’ottobre 2009 al Sinodo dei vescovi dedicato in Vaticano all’Africa, lo stesso cardinale Antonelli, in veste di presidente del Pontificio consiglio per la Famiglia ha lamentato davanti al Sinodo l'estensione della teoria di genere in Africa per mediazione di istituzioni cristiane in linea con le istituzioni internazionali, le loro agenzie (ONU, OMS, UNICEF, UNESCO) e le ONG.Fonte:http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/vaticano-onu-identita-di-genere-vatican-gender-identity-identidad-de-genero-4864/
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