ASSOLTA LA PROF CHE PUNì IL BULLO: «HA PROTETTO LA CLASSE


di Massimo Franchi

PER RIAVERE DIGNITÀ del proprio ruolo di insegnante ha dovuto attendere la sentenza di un giudice. G.V., professoressa di di Palermo, è stata assolta dal-

l’accusa di «abuso nell’uso dei mezzi di correzione» dalla sentenza del gup Piergiorgio Morosini. L’insegnante di lettere della Boccone, scuola media della periferia palermitana, era stata rinviata a giudizio (rischiava due mesi di carcere) perché, ad un bulletto che vietò ad un compagno di entrare nel bagno dei maschi con l’accusa «sei gay», aveva affibbiato come punizione lo scrivere per 100 volte: «Sono un deficiente». Il caso aveva sollevato grandi polemiche sul ruolo degli insegnanti e sui metodi di affrontare il bullismo.

Una risposta precisa arriva dalle motivazioni della sentenza del giudice, lette straordinariamente senza attendere di depositarle in seguito. Tredici pagine che ri-legittimano il ruolo dell’educatore e fanno gridare all’avvocato difensore Sergio Visconti: «Gli insegnanti che si impegnano contro il bullismo ora hanno le spalle più coperte». Per il giudice, quella punizione è un «mezzo pedagogico-disciplinare» perché «rispettoso dell’incolumità fisica e morale del minore e indispensabile per un’opera di convincimento e persuasione». Il giudice ha infatti potuto accertare che il bambino era già stato oggetto di scherno per la sua timidezza e l’insegnante aveva sul caso fatto riflettere tutta la classe. L’azione di «rieducare» l’alunno arrivava «stigmatizzando la sua condotta lesiva della sensibilità» del compagno» «per evitare che la convinzione di agire impunemente lo portasse a una progressiva assunzione di comportamenti antisociali». Secondo il gup c’era, da parte dell’insegnante «la volontà di realizzare un sostegno solidaristico-protettivo nei confronti del soggetto debole», «unitamente all’esigenza di non accreditare di fronte a tutta la classe modelli comportamentali di prevaricazione sugli altri». Per il gup, «l’apparente durezza dell’intervento» della professoressa «deve tener conto dell’esigenza di intervenire tempestivamente». Poi arriva l’accusa al contesto sociale in cui si trova la scuola, «connotato da un oggettivo stato di pericolo attuale per il ragazzino schernito, e da un ambiente sociale caratterizzato dalla cultura della prevaricazione». Per motivare l’«insussistenza dell’abuso nell’uso dei mezzi di correzione», il giudice ha tenuto conto di «fonti di prova» non usuali come i 15 biglietti redatti dai compagni di classe del piccolo bullo per commentare l’intera vicenda, come richiesto dalla stessa insegnante. Più sfumato arriva anche un riferimento all’alunno 16enne di Torino che si uccise nei mesi scorsi in quanto deriso perché considerato gay.

Alla lettura del dispositivo hanno assistito alcuni esponenti dell’associazione «Gay» cha hanno manifestato la loro solidarietà alla docente nella battaglia contro la discriminazione sessuale, con un cartello: «Invece di chiudere cento volte scusa hanno preferito denunciare».

G.V. dunque tornerà al suo posto. «Nella mia scuola, dove insegno da 15 anni e dove ho scelto di rimanere nonostante sia lontana da casa. Mi spiace solo di non aver potuto spiegare ai genitori il perché di quella punizione. Sono loro ad aver rifiutato il dialogo, dialogo che ho sempre avuto anche con loro figlio».

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fonte: Il Manifesto

Una buona maestra

Mariuccia Ciotta

Sì, era un deficiente l'alunno dodicenne di Palermo che ha perseguitato e deriso davanti alla classe un suo compagno e gli ha impedito di entrare nel bagno dei maschi perché «sei una femminuccia, sei un gay». La maestra che lo ha punito nel gennaio scorso facendogli scrivere per cento volte sul quaderno «sono un deficiente» è stata assolta dall'accusa di abuso di mezzi di correzione. Il pm aveva chiesto la pena di due mesi di reclusione per «aver cagionato un danno morale» al bulletto, il quale non aveva mostrato nessuna reazione al castigo, confortato dai genitori che invece di redarguirlo avevano sporto denuncia contro l'insegnante. E perché avrebbe dovuto? Intorno a lui, in casa, in tv, in parlamento, negli spot pubblicitari la realtà gli è apparsa divisa in due tra prepotenti e il resto del mondo, le «femminucce». Naturale prendersela con il bambino che per timidezza non ha mai reagito e che, lo dice il giudice, avrebbe potuto ripetere il gesto dello studente sedicenne di Torino. Perseguitato perché considerato omosessuale, il ragazzo si uccise. Adesso la maestra assolta dice che non lo farebbe più, che non intendeva umiliare il bulletto ma fargli capire il significato etimologico del termine, «manchevole», «privo di». Quel deficit, sostiene, non si riferiva alla sua intelligenza, ma alla mancanza di rispetto per il compagno, e che adesso cercherà altri mezzi educativi. Ma dove lo troverà il coraggio l'insegnante di Palermo che ha rischiato il carcere per aver seguito un metodo da «Cuore», e messo virtualmente sulla testa del Franti un cappello con le orecchie da asino? Quando tutto intorno la violenza è legittimata, vince, procura notorietà, denaro e i bulli rivendicano il loro stile di vita, ne vanno fieri? La maestra è un'eroina dei nostri tempi e il suo metodo si dovrebbe esportare. Vedremo così finalmente un bel po' di umanità china sul banco con carta e penna.

Commenti

Anonimo ha detto…
Maybe I`ll be Captain Obvious, but... it's only few days to New Year last, so let's be happy!
Hoho3ho!)

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