PROTOCOLLI SANITARI DISCRIMINANTI IL CALVARIO DEL CAMBIO DI GENERE


Sono i giorni dei Pride. Il giorno della difesa di tutte quelle categorie vittime di discriminazioni quotidiane. Dei transessuali e dei transgender in particolare. I fatti degli ultimi tempi, dai continui pestaggi alle retate di privati “cittadini” al Prenestino, dimostrano come l’inciviltà abbia pervaso la cultura di questo paese tanto da normalizzarla.

La discriminazione però, diventa più grave quando si sviluppa a livello “medicosanitario”, dove non si applicano i protocolli internazionali ma quelli “appositamente studiati” dall’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (Onig) per il nostro paese.

I passaggi previsti dal protocollo Onig e necessari per effettuare il percorso di transizione «sono spesso in contrasto con leggi come la 180 del 1978 “sugli accertamenti e trattamenti volontari e obbligatori” o anche solo con le linee guida della pratica medica e psicologica e si avvicinano piuttosto alla “psicoterapia coatta”» spiega Francesca, di Azione Trans.

Questo tipo di protocollo prevede infatti l’obbligatorietà della psicoterapia che può durare ben oltre i sei mesi previsti. Spesso accade che nelle strutture preposte come il Saifip si debbano affrontare non mesi ma addirittura anni di psicoterapia. «Insomma siamo al puro arbitrio psicoterapeutico. Gli psicologi hanno una sorta di super potere al quale siamo costrette a sottostare come se non fossimo in grado di intendere e di volere ».

L’accettazione della psicoterapia diviene perciò fattore determinante per accedere al processo di transizione. Non si tratta di una coercizione assoluta ma indiretta, che passa tramite “l’estorsione” del cd. consenso informato, in sostanza il fondamento della liceità dell’attività sanitaria in assenza del quale costituirebbe un reato.

La parola dello psicoterapeuta è fondamentale, tanto da incidere sulle scelte di un libero individuo. «L’utilizzo di questi protocolli, a nostro parere fortemente illegittimi, applicati in cambio di qualche “carica”, ha fatto sì che un certo consociativismo abbia finito con il determinare una sorta di “cogestione” tra operatori e alcune associazioni trans, cui è stato dato mandato di gestire in proprio i consultori. Si determina così un conflitto di interessi analogo a quello vissuto dai sindacati confederali chiamati a cogestire con la controparte scelte non propriamente a favore dei lavoratori» racconta Mirella Izzo presidente nazionale di Azione Trans .

Nella già difficile e intricata strada che una persona decide di seguire per accedere alla transizione, si frappongono così ostacoli insormontabili. Per Francesca è un «semplice e reale inferno lastricato di umiliazioni, prevaricazioni e dolore, non solo nella vita quotidiana ma anche in quelle strutture che “dovrebbero” alleviare le nostre sofferenze». «Come è possibile che leggi vigenti dello Stato vengano violate palesemente in nome di un “protocollo” utile solo ad avere una sorta di “supercontrollo” da parte di aree di forte influenza, anche politica, sulle persone transessuali e a tutelare una “casta” fornendogli un serbatoio di clientela assicurato?».

Valeria Morando

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