BOLOGNA INVASA DAL GAY PRIDE

Paura, non fanno. Sulle aiuole di Porta Lame ci sono famigliole con bambini, le bici attaccate al palo. Disgusto, nemmeno: ai bordi del viale tutti hanno la macchina fotografica, sono venuti apposta. Aspettano la parata come un diversivo dall´afa di un sabato pomeriggio. A Bologna il Gay Pride lo accolgono così. E da Bologna il Gay Pride si fa un po´ contagiare. Tutto questo esibizionismo poi dove sarà? Una dozzina di drag queen in paillettes e velette, qualche mascherata da carnevale (un paio di angeli con le alucce, una finta suora, due spose barbute). Zero tenute sadomaso, nessun nudismo, certe immagini di passati Pride non si vedono nel caldo pomeriggio bolognese, saranno un po´ delusi quelli delle macchinette fotografiche, e se ci sono centinaia di ragazze in reggiseno è per via della temperatura e non della provocazione. Fatti i conti, il cronista conta meno transessuali in tenuta da lavoro che bambini (una ventina) sul trenino-nursery dei "figli di famiglie gay", un trenino coi palloncini, le canzoncine dello Zecchino d´Oro e il cartello "è l´amore che fa una famiglia" che andrebbe bene anche al Family Day.

E questo corteo più che una provocazione di esibizionismo sessuale è un Family Gay, una gita scolastica, coriandoli, gavettoni, mascherate e canzoni da Sanremo. I poliziotti precedono il corteo passeggiando rilassati e chiacchierando di carriera e stipendi. Tanto dietro sono tranquilli come un corteo dei pensionati Cgil. Pensate un attimo a cinquantamila ultras del calcio in giro tutti assieme per Bologna un sabato pomeriggio.

Persino troppo tranquilli, per essere una categoria di italiani che si sentono dire sempre di no. Che votano politici che non rispettano le promesse. Che da anni chiedono e non ottengono, adulti consenzienti e innocui che si sentono accusati dalla Chiesa di «inficiare ogni rapporto sociale» più spesso di quanto non se lo sentano dire i mafiosi. Davvero, c´è da stupirsi che a passare il segno dell´oltraggio, in tutto il corteo di ieri, siano stati sono un paio di coretti sui nostri santi patroni in stile osteria-numero-uno, uno striscione beffardo («Meno Ruini e più... «, immaginare la rima), una maglietta anti-Ratzinger e poco altro. In quest´Italia incattivita e feroce, per trovare qualche slogan divertente bisogna venire al Pride: «La Madonna di Pompei vuole bene pure ai gay».

Forse quest´anno non sono riusciti a trovare un nemico. Come Bersaglio, la ministra Carfagna è fin troppo facile: per obbedire alla sua richiesta di essere più educati, i soci di un intero circolo gay di Milano sono venuti al Pride in cravatta (direttamente sulla canottiera, ma c´è caldo), in cambio issano un cartello dove la ministra compare ancora nelle sue passate (scarse) vesti di ragazza calendario, «Carfi te la sbattiamo in faccia noi la... cravatta». Ti aspetteresti più ferocia contro il Pd che non ha mantenuto la promessa dei Dico, invece c´è uno striscione che grida «Dall´Europa siamo fuori, e non solo ai rigori», sottotitolo «sinistra infortunata». Il leader del Pd, il partito che nel corteo c´è e non c´è, se la cava con un «Veltroni dì qualcosa di gay».

Del resto, in questa manifestazione gay mai così "sindacale", slogan e cartelli sui matrimoni gay li cerchi inutilmente nel fiume di gente, le rivendicazioni concrete sembrano sparite, è come se di fronte alla frustrazione delle richieste inevase il movimento sentisse la necessità di tornare ai fondamentali: «Dignità parità laicità» è lo striscione che apre il corteo. «I tempi non sono facili», borbotta l´assessore Libero Mancuso. «Contro il movimento gay un enorme peccato d´omissione», giudica Niki Vendola.

Coriandoli per terra, lattine, cocci di vetro e altro lavoro per Hera, poi un po´ di fotografie nelle macchinette dei bolognesi: è tutto quel che rimarrà del Gay Pride? Chissà se anche i glbt (gay lesbiche bisex trans) perdono la pazienza. «Il tempo della nostra gentilezza è finito», annuncia dal palco Aurelio Mancuso, il presidente nazionale di Arcigay. «La lamentazione è finita, torneremo nelle nostre città a dare battaglia». Il 18 e 19 ottobre, ondata di matrimoni autogestiti in tutte le città. «La delega è finita»: anche quella, turbolenta ma in fondo fedele, finora regalata alla sinistra. Nel corteo, a parte forse Vendola, non c´erano politici di primo piano, a parte quelli con un luminoso futuro già dietro le spalle. «Sono il massimo esponente che il Pd poteva mandare a questo corteo», ammette con mirabile sincerità Vittoria Franco, ministro ombra del governo ombra. Simpatizzare con i gay non è più di moda, e rischia di far arrabbiare i vescovi. Un circolo gay di Lecco ha aggiunto un´altra lettera all´acronimo impronunciabile che definisce l´universo omosex: glbts, dove la S sta per «simpatizzanti». Ma è troppo ottimista. Niente S nei discorsi ufficiali. «Popolo glbt sollèvati dalle Alpi alla Sicilia, fai sentire il tuo potente messaggio d´amore», grida ancora Mancuso in un ultimo irrefrenabile trasporto lirico per coprire, forse, l´amarezza di chi ha capito che adesso bisogna fare tutto da soli, e magari passa anche la voglia di ridere.

di Marcella Ciarnelli/ Bologna
Fonte: la Repubblica

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