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giovedì 4 novembre 2021

Oltre 200 star si oppongono al boicottaggio del TLV International LGBTQ Film Festival


Più di 200 personaggi dello spettacolo – tra cui diversi attori di spicco – hanno firmato una lettera questa settimana rifiutando gli sforzi per boicottare il prossimo Tel Aviv International LGBTQ Film Festival, che dovrebbe iniziare l’11 novembre, e condannando i boicottaggi culturali contro Israele.

Fra i firmatari della lettera organizzata dalla no profit Creative Community for Peace, vi sono: le attrici Mila Kunis e Hellen Mirren, l’attore Stephen Fry, l’ex star di una boy band Lance Bass, Melissa Rivers, l’attrice e ospite di ‘Jeopardy’ Mayim Bialik, gli attori Billy Porter e Jonathan Lipnicki, e la cantautrice Diane Warren, il produttore e regista Greg Berlanti e molti altre figure del settore, inclusi agenti, dirigenti, produttori e registi.

“Rifiutiamo qualsiasi tentativo di boicottare il TLVFest – il più grande festival cinematografico LGBTQ di Israele – che lavora per mostrare le storie delle persone LGBTQ a livello globale e creare un futuro più luminoso per le persone LGBTQ sia in Israele che nel mondo”, si legge nella lettera. “Siamo uniti a tutti i registi partecipanti contro la retorica divisiva sposata dagli attivisti del boicottaggio che cercano di disinformare, intimidire e intimidire gli artisti affinché rimuovano i loro film dal festival o li facciano vergognare per aver partecipato al festival”.

“Crediamo che chiunque lavori per sovvertire il TLVFest aggiunga semplicemente un altro ostacolo alla libertà, alla giustizia, all’uguaglianza e alla pace che tutti noi desideriamo disperatamente, specialmente per la comunità LGBTQ che è perseguitata in tutto il Medio Oriente e in tutto il mondo”, dice la lettera. “Gli artisti non dovrebbero mai essere messi a tacere e l’arte non dovrebbe essere sovvertita per obiettivi politici”.
Un boicottaggio costante

L’evento, noto come TLVFest, con la proiezione di dozzine di film e altri eventi, L’evento è costantemente preso di mira dagli attivisti del BDS, che lo accusano di “ripulire” Israele mettendo in evidenza i diritti degli omosessuali nel tentativo di distrarre dalle sue attività nei confronti dei palestinesi. L’anno scorso, più di 100 registi LGBTQ hanno esortato a boicottare il festival “fino a quando Israele non si conformerà al diritto internazionale e rispetti i diritti umani palestinesi”.
Gli organizzatori: “Così si mettono a tacere anche i palestinesi”

In una dichiarazione pubblicata prima del festival di quest’anno, Yair Hochner, direttore del TLVFest, ha osservato che l’evento è un affare privato e non governativo, che include voci palestinesi, e che il boicottaggio non fa nulla per promuovere gli sforzi verso la pace.

Questi movimenti hanno scelto l’obiettivo sbagliato e, invece di promuovere la causa palestinese, cercano di mettere a tacere coloro che combattono per la libertà di parola”, ha scritto Hochner. Il boicottaggio del festival servirà solo ad “infiammare le voci violente e sfortunatamente non farà pressione sul governo israeliano per porre fine alle sue continue violazioni dei diritti umani”, ha affermato.
Una petizione contro il boicottaggio

L’organizzazione Creative Community for Peace è anche promotrice di una petizione contro il boicottaggio degli artisti che ogni anno ricevono pressioni per non esibirsi in Israele. “Noi sottoscritti sosteniamo con tutto il cuore la vostra prossima visita in Israele. Sappiamo che prima del vostro arrivo potreste sentire dichiarazioni negative sul paese da parte di persone che vi fanno pressioni per non andare. Riteniamo che queste affermazioni siano piene di distorsioni e falsità e servano solo a scoraggiare un discorso e una comprensione significativi. Quelli di noi che sono stati in Israele sanno che, anche se non perfetto, è un paese vivace con una popolazione diversificata. È l’unica vera democrazia in Medio Oriente, che consente a tutti i suoi cittadini, indipendentemente dall’etnia, dal sesso o dalla religione, l’opportunità di partecipare alla gestione del governo. Ciò include membri arabi nel loro parlamento e giudici arabi che siedono nella Corte suprema del paese. Auguriamo una soluzione pacifica al complicato conflitto israelo-palestinese e crediamo che gli eventi culturali possano essere parte della soluzione. Gli eventi culturali sono un ottimo strumento per costruire ponti, promuovere il dialogo e favorire la comprensione tra le persone. Le arti uniscono le persone e gli eventi culturali in Israele svolgono un ruolo piccolo, ma cruciale, per aiutare, si spera, a raggiungere quella pace”.

Fra i firmatari della petizione, che ad oggi ha raggiunto più di 47000 firme, vi sono artisti del calibro di Rihanna, Radiohead, Jennifer Lopez, Paul McCartney, Justin Timberlake, Elton John, Lady Gaga, Clean Bandit, Kanye West, The Rolling Stones, Madonna, Bon Jovi, Enrique Iglesias, One Republic,J ustin Bieber, The Backstreet Boys, Ziggy Marley, The Red Hot Chili Peppers, Metallica, Alicia Keys, 30 Seconds to Mars, REM, David Guetta, Nick Cave, Guns N’ Roses, Alanis Morisette, Cyndi Lauper.

Sentirsi in gabbia. Essere un giovane LGBT in una famiglia che non ti accetta


DI GIACOMO · 4 NOVEMBRE 2021

Articolo di Marta Borraz pubblicato sul sito della fondazione Reflejos de Venezuela (Venezuela) il 1 maggio 2020, liberamente tradotto da Sabrina

Jorge è stato colto dalla dichiarazione di allarme per l’emergenza coronavirus a La Laguna (Tenerife, Spagna), dove studia medicina. Il convitto in cui viveva ha chiuso, ed è stato costretto a tornare a casa dei genitori dove ha trascorso la sua infanzia, nella valle dell’Orotava. Per questo ventenne gay il ritorno è stato anche un ritorno al nascondiglio che, dopo quasi un mese di reclusione, è una strada tutta in salita: «Ho già imparato a vivere una doppia vita da quando sono qui, ma così a lungo, giorno dopo giorno, diventa pesante».

Jorge, che usa un nome fittizio, non può parlare al telefono per paura che i suoi genitori lo sentano, quindi usa WhatsApp per rispondere. Qualche tempo fa ha provato a dire alla sua famiglia che è gay, ma «hanno finito per dirmi che sono una persona indecisa e confusa, che non sa quello che vuole, che non sarei felice e non avrei una famiglia». Il rifiuto significa che ogni volta che torna a casa, nei fine settimana o in vacanza, diventa di nuovo invisibile, però ora il contatto costante e la mancanza di spazi in cui mostrarsi così com’è ha un impatto sulla sua salute mentale e provoca in lui «stanchezza, tristezza e ansia».

Il suo caso non è l’unico documentato dalla FELGTB (Federazione Statale Lesbiche, Gay, Trans e Bisessuali), che segnala la situazione di vulnerabilità che possono attraversare le persone, per lo più giovani, che vivono 24 ore al giorno con famiglie «che negano la loro identità o rifiutano il loro orientamento sessuale». Per far fronte a questa e ad altre questioni relative alla comunità LGTBI, la FELGTB ha istituito un telefono e un indirizzo e-mail, chiamato Rainbow Line (Linea Arcobaleno), prima della chiusura dei servizi di informazione e di accompagnamento in presenza.

Inoltre, un gruppo di ricercatori di varie università spagnole ha avviato uno studio per conoscere le conseguenze psicosociali che possono derivare dallo stato di quarantena sulle persone LGTBI. Per fare questo hanno lanciato un sondaggio e, tra le altre cose, valuteranno gli effetti dell’invisibilità in casa, dove ora passiamo tutto il nostro tempo.

Miguel Ángel López, dell’Università Rey Juan Carlos, e Lucas Platero, dell’Università Autonoma di Barcellona, spiegano che molti giovani che sono tornati dalla loro famiglia raccontano storie simili: che preferiscono «non affrontare l’argomento o parlarne», «sono preoccupati per ciò che pensano gli altri», «si sentono rifiutati» o dicono che i loro familiari «non sanno cosa succede loro, o non li capiscono».

«Sta diventando sempre più difficile per me»

Jorge non ha ancora utilizzato la Rainbow Line, ma non esclude di farlo. Dal 19 marzo scorso il telefono ha ricevuto quasi duecento richieste, alcune proprio per questo motivo. Non è stato utilizzato nemmeno da Sukaina (nome fittizio), che vive con sua madre, suo marito e la sua sorellina in una città che preferisce non rivelare. Nonostante il fatto che sia uscita allo scoperto al lavoro e nei suoi gruppi di amici, nessun membro della sua famiglia sa che è lesbica: «Non lo accettano. Ci sono state situazioni scomode quelle volte che l’argomento è venuto fuori, quindi cerco semplicemente di non parlarne, annuisco e basta», spiega Sukaina, che, come Jorge, si esprime via messaggi.

La paura del rifiuto e che «smettano di parlarmi» sono le paure che le impediscono di considerare di fare un passo che, dice, sarà più vicino il giorno in cui diventerà indipendente e smetterà di vivere con loro: «Per il momento devo fingere di essere quella che non sono per paura che emerga qualche problema. Sono abituata, quindi immagino che non mi tocchi più come prima, ma ora sono 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana».

Evitare qualsiasi argomento relativo al suo orientamento sessuale o alla comunità LGTBI è anche la massima di Jorge ogni volta che è con i suoi genitori, ma soprattutto durante questo periodo di reclusione: «A casa sto vivendo il contrario della convivenza, è un logorio continuo dovuto alla mancanza di accettazione». La quarantena dovuta al coronavirus è per lui una sorta di confino interno aggiunto, un doppio confino che a volte provoca sensi di colpa e angoscia: «Parlare con naturalezza di ciò che sono non mi farebbe sentire un mostro. Sono i miei genitori e mi amano nonostante i preconcetti, ma non sono libero».

La diversità delle situazioni documentate dalla FELGTB va dal rifiuto più sottile al più diretto. Anche Kai, persona non binaria e pansessuale (attrazione affettiva e/o sessuale verso altre persone indipendentemente dal loro genere) sta attualmente vivendo una situazione di questo tipo. Abitualmente risiede a Gran Canaria, dove vive con il suo coinquilino, ma la dichiarazione dello stato di allarme del 14 marzo scorso l’ha sorpres3 a visitare la casa di sua madre, che non accetta la sua identità e continua ad usare il nome e il genere che l’è stato assegnato alla nascita.

«Le mie visite occasionali non generano molto conflitto. La negazione della mia identità mi colpisce psicologicamente e mi ferisce, ma lo sopportavo perché erano brevi visite. Amo mia madre e voglio continuare ad averla nella mia vita», riflette Kai, anche l3 via WhatsApp. Ora, il mese di convivenza «mi rende le cose difficili». È passato poco più di un anno da quando è uscit3 allo scoperto con le persone a l3 care, ma sua madre è stata l’ultima a cui l’ha detto: «Riguardo al mio orientamento, la sua reazione iniziale era che ero confus3 e che mi avrebbe chiarito le idee. Per quanto riguarda il mio genere, per lei non esiste».

Reti di supporto

Il disagio che genera l’invisibilità è sempre presente, ma si riproduce e aumenta in modo straordinario durante questo periodo, spiega lo psicologo Alejandro Alder, che il 3 aprile scorso ha tenuto una conferenza online su questo argomento. L’esperto parte dalla varietà di situazioni e di esperienze che possono verificarsi, ma sottolinea che il fatto che essere costretti a stare a casa in un ambiente discriminatorio «può aumentare lo stress, la malinconia, la paura, la tristezza o il senso di vuoto o di abbandono».

Il rifiuto «complica la vita della persona» che lo sta vivendo, «rendendo più difficile il confino», che già per chiunque può portare a un disagio emotivo. Per questo Alder sottolinea l’importanza di avere una rete di persone con cui poter esprimere apertamente le proprie emozioni. L’idea è anche quella di mantenere le cure a distanza, come sottolinea Jorge, che conta sul sostegno dei colleghi dell’Associazione Diversas, che si attiva a favore dei diritti di persone LGBTI con diversità funzionale.

Sukaina apprezza il tempo trascorso al telelavoro, durante il quale riesce ad evadere, e anche il contatto quotidiano con i suoi amici: «Di solito mi appoggio molto a loro, anche se a distanza. È triste pensare di poter essere me stessa solo attraverso uno schermo».

Testo originale: https://www.facebook.com/fundacionreflejosdevenezuela/



venerdì 29 ottobre 2021

Trinidad e Tobago: L'attivista transgender Brandy Rodriguez è morta.


L'Associazione per la pianificazione familiare di Trinidad e Tobago (FPATT) e altri gruppi hanno rilasciato dichiarazioni in lutto per la perdita del presidente della Coalizione transgender di Trinidad e Tobago, Brandy Rodrigue.

È con il cuore pesante che piangiamo la perdita della nostra sorella e leader della comunità, Brandy Rodriguez.

Brandy era una campionessa, un'attivista appassionata e instancabile, che guidava la lotta per i diritti e il riconoscimento dei trans a Trinidad e Tobago. Come capo della Trinidad and Tobago Trans Coalition, era una madre per molte persone trans. Brandy è stata riconosciuta dalla regina Elisabetta II d'Inghilterra come Punto Luce per il suo servizio alla comunità trans.


Brandy ha portato una ricchezza di potere, forza, cura e conforto a tutta la comunità LGBT+ e per questo non possiamo iniziare ad esprimere la nostra gratitudine.
Celebriamo la bellissima vita di Brandy, i suoi contributi e il suo lavoro.
Estendiamo le nostre condoglianze alla famiglia di Brandy e alla nostra comunità.

Rodriguez era nota per il suo lavoro per garantire servizi sanitari sicuri per le persone all'interno della comunità LGBTQI + e per le persone con HIV e AIDS. Ha anche fornito formazione e workshop nei luoghi di lavoro in tutto il paese per ridurre lo stigma, la discriminazione e la violenza nei confronti della comunità transgender.

A luglio, la Rodriguez ha ricevuto il 180esimo certificato di punti di luce del Commonwealth firmato dalla regina Elisabetta II per il suo lavoro. Il premio viene assegnato a persone che hanno dato un contributo eccezionale alla loro comunità. L'Alto Commissario del Regno Unito Harriet Cross le ha reso omaggio tramite il suo account Twitter, dicendo che era incredibilmente triste sentire da Jason Jones che Rodriguez era morta. "Brandy era la famiglia reale di Trini e sono orgogliosa di averla conosciuta", ha twittato.

Buon Viaggio cara Brandy Rodrigue.

"Celebration Of Identity": gli artisti transgender del Tamil Nadu mostrano il loro lavoro alla mostra d'arte della Florida


Un totale di otto dipinti di artisti trans del Tamil Nadu e del Kerala saranno presenti nella mostra dal 20 novembre al 20 aprile 2022. La mostra si intitola "Visibility and Remembrance: Standing with the Trans Community" una mostra curata dal Dipartimento di studi sulle donne e sul genere, della University of South Florida il 17 novembre. I dipinti selezionati saranno anche presenti nel sito web dell'università.

Una delle opere appartiene ad un'artista di nome Abhinaya, donna transessuale di Chennai, morta per molteplici problemi di salute durante il picco della seconda ondata di pandemia di COVID-19 nel settembre 2020 all'età di 34 anni. "Sono contenta che il suo lavoro sia onorato postumo", ha detto Kalki Subramaniam, transdonna, attivista e artista.


Insieme a lei, altri artisti le cui creazioni saranno esposte, come quelle di Saji Varrier, A Rupakala, V Rambha, S Ramesh, Silky Prema, P Santhiya e Kalki Subramaniam. La mostra sarà trasmessa virtualmente il 17 novembre, tre giorni prima del Transgender Day of Remembrance del 21 novembre.


Come suggerisce il nome, il tema della mostra d'arte celebra l'identità transgender nella sua forma più bella. Kalki Subramaniam ha inviato anche altre sette opere. Ognuno di loro ha impiegato circa quattro o cinque anni per essere finalmente completate. Tutti questi artisti sono suoi studenti ai quali ha iniziato a insegnare circa quattro anni fa.

"Tutti questi dipinti parlano della bellezza, dell'orgoglio, dell'individualità e della celebrazione della nostra identità. Tutti esprimono la gioia nella diversità così come la bellezza, sia all'interno che all'esterno della nostra comunità, insieme alle nostre speranze e desideri", ha detto Subramaniam a The Logical Indian.


In Italia il Ddl Contro l’omotransfobia viene bloccato, negli Usa arriva il passaporto senza genere


di VIOLA RIGOLI

In Italia si esulta in Aula perché la legge contro l’omotransfobia non passa, negli Stati Uniti viene rilasciato il primo passaporto in cui il genere sessuale viene indicato con la “X”.

La decisione presa dall’amministrazione Biden, segna una svolta storica nel riconoscimento dei diritti delle persone che non vogliono essere identificate con la classificazione binaria “uomo” e “donna”.

Passaporto senza genere

E così, dal prossimo anno, con l’aggiornamento di tutti i moduli federali, sarà più facile inserire nella propria richiesta la nuova opzione. Gli Stati Uniti, dopo gli anni trumpiani, tornano a promuovere l’inclusività la libertà, la dignità e l’uguaglianza di tutte le persone. Comprese le persone LgbtqI+.

Intersessualità riconosciuta dagli Usa


La prima persona a ottenere il passaporto, anche se per motivi di privacy non è stato confermato dal Dipartimento di Stato, sarà il veterano della Marina, intersessuale del Colorado, Dana Zzyym, militare americano che da anni combatte una battaglia legale per veder riconosciuta la propria intersessualità, dopo che le fu negato il passaporto per uscire dal Paese per non aver sbarrato sulla domanda né la casella “maschio” né quella “femmina”. Nessun tribunale, anche dopo numerosi interventi chirurgici anche durante l’amministrazione Obama, ha mai voluto riconoscere il suo genere “X”.

Passaporto senza genere: grazie Biden

Ma i tempi, fortunatamente, cambiano. Almeno in America. E con l’arrivo alla Casa Bianca di “Sleepy” Joe, i diritti civili tornano in primo piano. Biden nomina la transgender Rachel Levine viceministro della Sanità, e poi ammiraglio medico e impone il divieto di discriminare a scuola in base all’orientamento sessuale e all’identità di genere.

Il militare Dana Zzyym ora può partire

Il riconoscimento del passaporto X renderà più facile la vita di almeno 1,2 milioni di adulti americani non binari, 2 milioni di transgender e 5,5 milioni di persone che si considerano “intersessuali”. Almeno in partenza, perché all’arrivo in Paesi dove tutto questo non è neanche immaginabile, cosa succederà al momento ancora non è chiaro.



Intanto, però, Dana Zzyym ora potrà viaggiare fuori dal Paese, la sua battaglia è stata vinta e la sua intersessualità è stata ufficialmente riconosciuta. Del resto, come ha commentato: «Solo i criminali e i prigionieri non hanno il permesso di uscire dal Paese». Gli Stati Uniti si aggiungono ad Australia, Nuova Zelanda, Nepal e Canada.


Uno spazio per l’ascolto e il supporto, a Genova inaugura Zenatrans


Inaugurerà mercoledì 3 novembre alle 18.00 Zenatrans, lo spazio voluto da LiguriaPride e dedicato all’ascolto e al supporto delle persone trans.

Appuntamento dunque mercoledì 3 novembre alle ore 18.00 in vico Gibello 17 R per l’inaugurazione. Per informazioni è possibile inviare una mail all’indirizzo infozenatrans@gmail.com.

La prima Amazzone transgender dei fumetti di Wonder Woman


Nel primo numero della serie Nubia & the Amazons di DC Comics, uno spin-off di Wonder Woman, è stata presentata la prima Amazzone transgender della casa editrice, di nome Bia.


Nella storia sono raccontate le modalità con cui le nuovi Amazzoni arrivano a Themyscira. Si tratta di donne morte in qualsiasi parte del mondo a causa della violenza degli uomini, che rinascono attraversando un portale mistico chiamato Pozzo delle Anime, senza ricordare nulla della loro vita precedente. In Nubia & the Amazons arrivano così cinque nuove Amazzoni, le prime dopo molto tempo, tra cui proprio Bia.

Anche se nell’albo non è esplicitato in modo chiaro, Stephanie Williams – scrittrice della serie insieme a Vita Ayala – ha confermato su Twitter che Bia sarà un’Amazzone transgender: «La risposta alla vostra domanda scottante è sì. Esistono Amazzoni trans. Una delle Amazzoni più recenti è una donna trans nera».

«Così come è importante per la miniserie Nubia & the Amazons re-introdurre Nubia e stabilire il suo nuovo ruolo nel DCU, è anche importante rendere chiaro che Themyscira è un posto per TUTTE le donne» ha continuato poi Williams. «Bia avrà un ruolo a Themyscira che non sarà solo la sua esistenza: non farà da scenografia, non sarà una casella da spuntare, ma un personaggio a pieno titolo, importante per la sua comunità. Proprio come le donne trans nere sono importanti per noi nella vita reale.»

Il Pozzo delle Anime richiama la Caverna delle Anime, che fu creata da George Pérez nel 1987, quando rilanciò il personaggio di Wonder Woman e il suo universo narrativo in seguito all’evento Crisi sulle Terre infinite, e che aveva una funzione molto simile.



Rachel Levine : prima ammiraglia a 4 stelle transgender.

Rachel Levine ha abbattuto un altro muro: dopo essere diventata la prima transgender nella storia del governo americano, come viceministra della Sanità, adesso è la prima alta ufficiale a quattro stelle dell’amministrazione federale. Pediatra, professoressa universitaria e attivista Lgbtq+, Levine è stata nominata dal presidente Joe Biden ammiraglia del Corpo incaricato del servizio sanitario pubblico, formato da personale sanitario che interviene in caso di emergenze per la salute o disastri ambientali.

“Questo è un momento storico - ha commentato, subito dopo il giuramento - e io sono onorata di assumere l’incarico, per l’impatto che avrà nella vita delle persone e per ciò che rappresenta”. Da mesi Levine è diventata la voce di persone che vivono ai margini, o senza rivelarsi, e uno dei simboli più forti del passaggio da un presidente sessista e transomofobo a uno che, nonostante sia più vecchio, ha aperto fin da subito al riconoscimento di una sessualità più ampia. L’ammiraglia Levine indosserà regolarmente la divisa blu da primo ufficiale e guiderà un esercito di seimila professionisti sanitari in uniforme.


“Siamo estremamente orgogliosi”, ha commentato il chirurgo generale Vivek Murthy, capo esecutivo e portavoce della sanità. “È un momento di grande orgoglio per tutti noi”, ha aggiunto il segretario alla Sanità Xavier Becerra. Nata da una famiglia ebraica a Wakefield, Massachusetts, 64 anni, sposata nell’88 e divorziata nel 2013, due figli, la transizione a donna completata nel 2011, nella sua carriera di dirigente sanitario Levine ha sempre conquistato una approvazione bipartisan, tanto da essere confermata tre volte dal senato della Pennsylvania nel ruolo di ministra statale della Sanità. A farla emergere come personaggio nazionale è stata la sua battaglia contro la dipendenza da oppioidi, che in Usa è causa di circa 300 mila morti ogni anno, e nel contrastare la pandemia da Covid.

giovedì 28 ottobre 2021

Questa è l’Italia; DDL Zan contro l’omotransfobia affossato in Senato dalle destre : La storia vi presenterà il conto.


Sono stati 154 i sì, 131 i no e 2 gli astenuti alla “tagliola” che ha, di fatto, affossato il ddl Zan, la legge contro l’omotransfobia, ieri al Senato. Nel momento in cui è stata approvata la proposta – presentata da Lega e Fratelli d’Italia – di far saltare l’esame dei singoli articoli e bloccare così l’iter del testo, l’esultanza da stadio e le urla sguaiate da parte di chi ci dovrebbe rappresentare, al blocco di una legge che riguarda i diritti di tante persone, è inaccettabile. È stata affossata dal voto segreto. Amarezza, delusione, rabbia. Per una battaglia che dura da trent’anni e da trent’anni ogni volta, torna al punto di partenza. Ha vinto l'odio! non gliene frega niente del popolo che dovrebbero rappresentare e quei pochi a cui interessa vengono etichettati come “incapaci”. L'esultanza in aula da parte della Destra, per l’annullamento dei diritti è veramente triste, schifoso. Che brutta pagina di Storia, che vergogna! 



 

giovedì 13 maggio 2021

L'orrenda uccisione di un giovane gay mette sotto i riflettori la situazione della comunità LGBT iraniana




È stato ucciso dalla sua famiglia perché gay. Alireza Fazeli-Monfared era uno ragazzo gay e aveva programmato di fuggire dall’Iran per cercare rifugio in Turchia dove si sarebbe ricongiutno con il suo fidanzato, ma purtroppo le cose sono andate diversamente. Il giovane, di appena 20 anni, è stato decapitato dalla sua stessa famiglia che non ne accettava l'omosessualità.

Si tratta di quello che viene definito "delitto di onore" messo a punto dal fratellastro e da due cugini che sostenevano che la sua omosessualità era una vergogna per tutta la famiglia. Tre persone sono state arrestate in relazione all'omicidio, avvenuto il 4 maggio vicino ad Ahvaz, la capitale della provincia del Khuzestan, nel Sud-Ovest del Paese. In alcune intercettazioni viene ascoltato il giovane che si dice molto preoccuparo per la sua incolumità e programma la fuga.



Fazeli-Monfared aveva appena ricevuto un’esenzione dal servizio militare a causa delle sue “depravazioni sessuali“. Il documento è stato trovato dalla sua famiglia, che ha così saputo della sua omosessualità; un orientamento sessuale punibile con la morte in Iran. In Iran vige una propaganda anti gay molto forte e le leggi omofobe sono diverse, per questo il giovane voleva fuggire dal suo paese.


Il giovane è stato decapitato e poi il corpo è stato abbandonato fuori dalla città. Poco prima del delitto aveva parlato con la mamma che non lo ha mai giudicato per il suo orientamento sessuale. La donna attualmente è sotto choc e la comunità LGBTQ si sta battendo per non far cadere nel dimenticatoio il terribile delitto.


Secondo la legge islamica iraniana, le relazioni omosessuali sono illegali e possono essere punite con la prigione, le frustate e, in alcuni casi, l’esecuzione.

Alireza è stato decapitato dalla sua famiglia. Dopo averlo decapitato, l’assassino di Alireza ha chiamato la madre per dire dove poteva essere ritrovato il corpo.

La madre é stata portata in ospedale a seguito dello shock. Il corpo era stato scaricato sotto un albero fuori dalla città di Ahwaz.

Alireza stava per fuggire dall’Iran per raggiungere il suo ragazzo, che è un rifugiato e lo aspettava in Turchia. I tre accusati sono stati arrestati.

Come ha scritto la giornalista Masih Alinejad giá conosciuta per la campagna contro il velo islamico, “In Iran le comunitá LGBT sono discriminate prima dal Regime e poi dal bigottismo di certe famiglie”.

Lo scorso anno sempre nel mese di Maggio un’altro caso di decapitazione era venuto alle cronache, quando Romina Ashfari una giovane di soli 13 anni venne decapitata da suo padre perché voleva fuggire con un uomo piú grande di lei.

Questo caso suscitó molta indignazione nell’opinione pubblica sia in Iran che a livello Internazionale e per questo il Governo Iraniano si era pronunciato affinché venisse riformulata la legge sul “delitto d’onore”

Ai sensi dell’art. 220 del vecchio (codice penale e dell’art. 301 dell’attuale codice penale islamico) il padre che uccide il figlio/nipote non puó essere punito con la pena di morte, qessas. In questo caso quindi la qesass si converte in diyeh (pena pecuniaria) e ta’zir (pena diversa dalla detenzione, es. frustate).

Inoltre l’art. 612 del codice penale islamico prevede, però, che in ogni caso chi commette un omicidio per il quale non viene condannato, se il fatto commesso offende l’ordine, la sicurezza o la coscienza pubblica, viene condannato al carcere da 3 a 10 anni.

Probabilmente l’assassino, il fratello di Alireza deve aver pensato che avere un fratello omosessuale avrebbe leso la dignitá della famiglia.

Ad oggi la legge sul ‘delitto d’onore’ resta in vigore ma al di lá delle dispotiche leggi discriminatorie imposte dal regime, é proprio nelle famiglie che l’arretratezza culturale e il disonore agli occhi della comunitá, ancora permettono che si possano realizzare omicidi come quello di Alireza. Una vita spezzata solo per un diverso orientamento sessuale da quello imposto dalla societá iraniana.

Il prossimo 18 giugno in Iran ci saranno le elezioni presidenziali e si prevedono oltre ai consevatori e riformisti anche gruppi indipendenti che promettono grandi novitá per giovani. Chissá se all’inteno del programma abbiano pensato, oltre alle tante libertá negate alla popolazione anche alle comunitá Lgbt che ancora oggi sono costrette a vivere nell’anonimato.

https://www.rferl.org/a/iran-monfared-gay-man-killed-beheaded-lgbt-plight/31249991.html

Gli Stati Uniti ripristinano le protezioni sanitarie transgender negate da Trump


WASHINGTON (AP) - Il governo federale proteggerà le persone gay e transgender dalla discriminazione sessuale nell'assistenza sanitaria, ha dichiarato lunedì l'amministrazione Biden, ribaltando una politica dell'era Trump che restringeva i diritti all'intersezione tra mutevoli costumi sociali e decisioni mediche sensibili.

Ha segnato l'ultimo passo del presidente Joe Biden per promuovere i diritti delle persone gay e transgender in tutta la società, dal servizio militare, all'alloggio, alle opportunità di lavoro.

L'annuncio politico del Dipartimento della salute e dei servizi umani afferma che le leggi federali che vietano la discriminazione sessuale nell'assistenza sanitaria proteggono anche le persone gay e transgender. L'amministrazione Trump aveva definito "sesso" come il genere assegnato alla nascita, escludendo così le persone transgender dall'ombrello di protezione della legge.

Africa: Camerun, Shakiro e Patricia condannate a 5 anni di reclusione perché transgender

Arrestate l’8 febbraio in un ristorante, Shakiro e Patricia, due donne trans camerunesi, la prima delle quali molto nota come influencer, sono state condannate a cinque anni di carcere e a una multa di 200.000 franchi Cfa per “tentata sodomia” sulla base dell’articolo 347-1 del Codice penale. Qualora non riuscissero a pagare la somma stabilita, dovranno scontare altri 12 mesi di prigione.

A Shakiro e Patricia è stata applicata la massima della pena prevista da detto articolo in un Paese in cui le persone trans non hanno alcuna possibilità di accedere alla rettifica anagrafica né tantomeno di vedere riconosciuta la propria identità di genere. Al punto che sono perseguite per attività omosessuali.

Le due donne trans sono state inoltre giudicate colpevoli di oltraggio alla pubblica decenza e di falsa dichiarazione in relazione alle proprie carte d’identità. Richard Tamfu, uno dei due legali, ha annunciato che Shakiro e Patricia faranno appello contro la sentenza in quanto non ci sono prove, ma solo sospetti, che vi siano stati atti omosessuali.

Il Camerun è uno dei 28 paesi sui 49 dell’Africa sub-sahariana in cui i rapporti tra persone dello stesso sesso sono perseguiti penalmente con pene detentive che possono arrivare fino all’ergastolo.

Anche Ilaria Allegrozzi, nota ricercatrice di Human Right Watch per i territori dell’Africa centrale, descrive un forte clima fatto di intimidazioni nei confronti della “Comunità Arcobaleno”, quasi un incoraggiamento alla violenza da parte del governo verso le persone LGBTQ+, come in un episodio di arresti e torture della polizia contro 13 omosessuali, accaduto nell’ovest del Camerun a febbraio presso Bafoussam. 

L’avvocatessa di Shakiro e Patricia, Alice Nkom, famosa per aver difeso molte persone della comunità Lgtbq+ e grande sostenitrice della difesa dei diritti umani, in un’intervista a Radio France International ha dichiarato che il Camerun su questo tema ha fatto decisamente tantissimi passi indietro: “La situazione si è aggravata notevolmente. Forse per la pandemia. Forse per i vari problemi politici del Camerun. Ma questa caccia agli omosessuali deve finire. La situazione è ormai ingestibile e drammatica. Questi sono crimini contro l’umanità”.

La legge del Camerun considera l’omosessualità un reato. Secondo l’articolo 347-1 del codice penale del Paese, i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso sono punibili con una pena compresa tra sei mesi e cinque anni di reclusione, oltre a una multa. Inoltre – ricorda il sito Mimi Mefo Info – l’articolo 83, paragrafo 1, della legge del dicembre 2010 sulla cybersicurezza e la criminalità informatica rileva che qualsiasi persona faccia proposte sessuali a una persona dello stesso sesso tramite comunicazioni elettroniche è punita con la reclusione da uno a due anni e con una multa da circa 750 a 1500 euro o solo una di queste due sanzioni. Il comma 2 della stessa legge stabilisce che le pene sono raddoppiate quando alle proposte fa seguito un rapporto sessuale.

L'attivista LGTB Lindolfo Kosmaski, 25 anni, ucciso a colpi d'arma da fuoco e poi bruciato in Brasile.


Giustizia per Lindolfo Kosmaski!

Il giovane gay e contadino, 25 anni, che viveva con la sua famiglia nella comunità Coxilhão Santa Rosa a São José do Triunfo (Brasile), è stato brutalmente assassinato con due colpi di pistola e il suo corpo è stato ridotto in cenere nella notte del 30 aprile. 
Le prove indicano che ciò che ha motivato gli attacchi è stato il suo orientamento sessuale, essendo quindi un crimine di omofobia.

Lindolfo era un educatore rurale, impegnato nella lotta dei piccoli contadini dove è nato e ha portato questa identità con grande orgoglio, si era candidato come consigliere nelle ultime elezioni comunali del 2020, e non è stato eletto, ma ha condiviso con molta umiltà i suoi sogni e convinzioni di una società veramente libera.


Siamo solidali con la sua famiglia e chiediamo indagini e punizioni per gli assassini.

https://www.brasildefato.com.br/2021/05/08/lindolfo-kosmaski-ato-cobra-justica-pela-morte-de-militante-lgbt-e-da-agroecologia


venerdì 29 gennaio 2021

Omogenitorialità: la Corte Costituzionale rivolge un monito al legislatore.«Serve una legge per riconoscere i figli delle coppie dello stesso sesso»

La Corte Costituzionale ha dichiarato ieri inammissibile sia «la questione del riconoscimento dello status di figli per i nati mediante tecnica di procreazione medicalmente assistita eterologa, praticata all’estero da due donne» sia quelle «di legittimità sollevate dalla Cassazione sull’impossibilità di riconoscere in Italia, perché in contrasto con l’ordine pubblico, un provvedimento giudiziario straniero che attribuisce lo stato di genitori a due uomini italiani uniti civilmente, che abbiano fatto ricorso alla tecnica della maternità surrogata».

È quanto si apprende da due comunicati dell’Ufficio stampa della Consulta, che, pur rimandando al futuro deposito della sentenza, ne anticipano però sommariamente alcuni aspetti essenziali. Aspetti, che però segnano importanti passi in avanti.

Circa la questione sul riconoscimento dello status di figli da parte di una coppia di donne, sollevata dal Tribunale di Padova, viene infatti rilevato: «In assenza di una disciplina applicabile al caso concreto, la Corte ha ritenuto, allo stato, di non intervenire ed ha rivolto un forte monito al legislatore affinché individui urgentemente le forme più idonee di tutela dei minori, anche alla luce delle fonti internazionali ed europee».

Sulla questione sollevata invece dalla Cassazione «la Corte – si legge nel comunicato – fermo restando il divieto penalmente sanzionato di maternità surrogata, ha ritenuto che l’attuale quadro giuridico non assicuri piena tutela agli interessi del bambino nato con questa tecnica. Poiché, a questo fine, sono prospettabili differenti soluzioni, la Corte ha ritenuto, allo stato, di non poter intervenire, nel doveroso rispetto della discrezionalità legislativa, ma ha anche affermato la necessità di un intervento del legislatore»

Come dichiarato dal celebre avvocato Alexander Schuster, legale delle due mamme, anche se «è difficile giudicare dai comunicati stampa quale sarà il pensiero della Corte», non si può non rilevare che «i due moniti segnano un passo avanti importante. Certo segnalano che il diritto italiano è caratterizzato da voragini enormi, che il sistema non regge. Il diritto italiano oggi non è capace di tutelare queste famiglie, questi bambini e queste bambine. Di questi vuoti porta la primaria responsabilità il Parlamento e la Consulta ha senz’altro ragione a puntare il dito. La Corte costituzionale è però tornata alla stagione dei moniti. Speriamo che il legislatore non faccia come in passato, quando era sordo a questi ammonimenti».

In conclusione, osserva Schuster, «quando c’è un monito, si può commentare solo davanti al testo della sentenza. Solo così si capirà quanto impellente è il monito, quanto fortemente la Corte costituzionale denuncia l’urgenza di tutelare questi affetti e questi bambini. È stato fatto un passo avanti importante: per la dignità di queste famiglie e dei loro bambini. C’è solo da sperare che sia sufficiente per risolvere già oggi le situazioni più drammatiche che la vita, senza volerlo, ci consegna».

Fonte:http://www.gaynews.it/2021/01/29/consulta-richiama-legislatore-necessario-garantire-bimbo-nato-gpa-piena-tutela/