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lunedì 25 novembre 2019

25 novembre: Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

25 novembre: Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne Chiedete aiuto: Il 1522 è un numero anti violenza e stalking, è gratuito e attivo 24 h su 24, Ricordatevi che non siete sole.

L ′82% delle volte chi fa violenza su una donna non deve introdursi con violenza nell’abitazione, ha le chiavi di casa. È infatti quasi sempre il compagno o un conoscente.



Fumetti di Silvia Ziche. 

 L’errore più grosso è quello di credere di meritarlo. In Silenzio.



#stopviolenzasulledonne #orangetheworld

giovedì 21 novembre 2019

Chile: Daniela Carrasco "la Mimo" sequestrata dai militari, uccisa ed esposta impiccata x intimidire le donne che lottano. Come facevano i nazisti con i partigiani.

Daniela Carrasco - 'la Mimo', artista di strada cilena di 36 anni, è stata fermata dai militari e trovata impiccata in un comune della città metropolitana di Santiago del #Chile. Violentata e torturata fino alla morte, nel silenzio colpevole di tutti.

Lei era Daniela Carrasco, aveva 36 anni, per tutti semplicemente "La Mimo".

Il 19 ottobre scorso era scesa in piazza a Santiago del Cile per manifestare contro il governo filo-militare e nostalgico di Pinochet, come faceva ogni giorno, quando è stata catturata dai carabineros cileni. È l'ultima volta che hanno visto Mimo da viva. Il giorno successivo il suo corpo è stato ritrovato senza vita, impiccato ad un albero, straziato dalle violenze subite.

La perizia ricevuta dalla famiglia ieri, un mese esatto dopo, parla di "suicidio", senza alcun riferimento alle torture e alle umiliazioni inferte.


Daniela era una donna, un'artista di strada di straordinario talento, un'attivista per i diritti civili. Un simbolo della protesta in Cile. Daniela fino all'ultimo ha usato il suo corpo, da viva, per raccontare le atrocità di un governo trasformato in regime. Qualcuno ha usato il suo corpo, da morta, per inviare un messaggio a chiunque osi protestare, a tutte le donne che combattono e resistono, in Chile e nel mondo intero.

Daniela è stata "suicidata".
La lotta di Mimo reclama verità.
Il suo corpo grida giustizia.

mercoledì 20 novembre 2019

Oggi 20 novembre, si celebra " Il Transgerder Day oF Remembrance". Giornata del ricordo, in onore alle vittime dell'odio e della discriminazione transfobica.


Ogni anno, il 20 novembre è dedicato a tutte le persone trans, vittime dell’odio transfobico. Un odio che non si arresta, ma che aumenta di anno in anno, secondo i dati riportati.

Il TDoR, il Transgender Day of Remembrance, è una commemorazione istituita il 20 novembre 1999 e da 19 anni viene celebrata in moltissime città di tutto il mondo.

Rita Hester



Il TDoR è dedicato a Rita Hester, una donna transgender uccisa il 29 novembre 1998, a Boston. Secondo quanto ricostruito dalla Polizia, Rita Hester viene vista l’ultima volta uscire dal locale Jacques, assieme a due persone. Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno, un vicino chiama la Polizia per dei rumori sospetti e quando gli agenti entrano nell'appartamento della donna la trovano in fin di vita, accoltellata. Morirà dopo pochi minuti.

Ma Rita morirà due volte: la prima per le ferite riportate, la seconda per come venne trattata dai giornali. Tutti i media parlarono di lei al maschile, tralasciando il suo essere trans. Erano gli anni ’90, e la scarsa informazione portava a errori del genere molti giornalisti. Per tutti, quindi, era un uomo morto assassinato. Ai familiari e agli amici, rimase solo il ricordo di Rita. I responsabili non furono mai arrestati, ma le indagini supposero fossero stati dei conoscenti, in quanto non mancava nulla nell'appartamento e non c’erano indizi su un’eventuale colluttazione.

Le comunità di cui la Hester faceva parte, quella afroamericana e quella LGBT, si ribellarono, organizzando una fiaccolata a San Francisco dal nome Remembering Our Dead, da cui l’attivista Gwendolyn Ann Smith prese spunto e diede vita al TDoR.

Le statistiche di Transgender Europe



Ogni anno sono oltre 300 le persone transessuali uccise nel mondo, e i dati rilasciati da Transgender Europe nel 2019 rivelano un totale di 331 casi di omicidi segnalati di persone transgender.

L’aggiornamento TDoR 2019 ha rivelato un totale di 331 casi di omicidi segnalati di persone transgender e/o per motivi di intolleranza legati al genere tra il 1 ° ottobre 2018 e il 30 settembre 2019. In lieve calo dall'anno precedente, che segnava 369 casi.

Il triste primato va al Brasile con 130 omicidi, segue il Messico con 63 e gli Stati Uniti con 30, per un totale di 3314 casi “segnalati” in 74 paesi in tutto il mondo tra il 1 gennaio 2008 e il 30 settembre 2019.

Lo stigma e la discriminazione nei confronti delle persone trans sono reali e profondi in tutto il mondo, e fanno parte di un circolo strutturale e continuo di oppressione che priva le persone transgender dei loro diritti fondamentali. Le persone trans sono vittime di orribili violenze e reati, tra cui estorsione, aggressioni fisiche e sessuali e omicidio. Nella maggior parte dei paesi, i dati sulle persone trans assassinate non vengono prodotti sistematicamente ed è impossibile stimare il numero effettivo di casi, che è sicuramente maggiore rispetto alle cifre in nostro possesso.

Le vittime di queste violenze sono soprattutto prostitute (61%), a dimostrazione di quanto sia difficilissimo, per una persona transessuale, accedere al mondo del lavoro e vivere una vita dignitosa. In un mondo che volta loro le spalle, è la prostituzione, il più delle volte sfruttata dalla malavita, l’unica soluzione per una persona trans per mettere insieme il pranzo con la cena. Il 65% delle vittime di omicidio segnalate sono donne trans migranti.

(dati reperibili qui)



l’associazione Libellula ha messo in campo a Roma per il Transgender Day of Remembrance martedì 26, con il patrocinio di Roma Capitale, Regione Lazio, UNHCR, UNAR e CGIL.

Una mostra fotografica , “PER NON DIMENTICARE” che sarà inaugurata oggi a Palazzo Valentini (via IV Novembre 119/a) alla presenza della Sen. Monica Cirinnà e che racconta le vite strappate, recise, violate di decine di donne e uomini transessuali, che coraggiosamente hanno deciso di autodeterminarsi e scegliere con quali occhi vedere il mondo, e che purtroppo sono stati vittima del pregiudizio, dello stigma e dell’odio, di fronte al quale non hanno avuto scampo.

Si leggono le tristi vicende di Alex, studente di 19 anni trovato ucciso in Russia in circostanze misteriose; Camila, savadoregna di 29 anni, uccisa dopo essere tornata nel suo paese d’origine, Brayan, incoronata principessa gay del Carnevale a Misantia e colpita a a sangue freddo da due uomini armati, e molte altre. Giovani vite transessuali cancellate dal mondo con atti di violenza ignobili, guidati da un odio cieco e assurdo.
Le attiviste trans assassinate

Rita Hester è solo una delle centinaia di vittime che ogni anno l’odio transfobico miete. Tra queste ci sono diverse attiviste trans che coraggiosamente hanno dedicato la propria vita alle battaglie del movimento LGBT, per poi essere ammazzate una prima volta da persone transfobiche e una seconda volta dalle forze dell’ordine o della stampa.

Hande Kader

La figura dell’attivista transgender turca Hande Kader è diventata nota grazie soprattutto a una fotografia scattata durante il Pride di Istanbul del 2015, in cui veniva colpita dal getto degli idranti delle forze delle ordine, per via del divieto di manifestare. Il governo di Erdogan proibì infatti la parata all’ultimo minuto «perché ricorreva il Ramadan».



Alla giovane età di 23 anni, Hande fu trovata morta in una strada della capitale turca. Il suo corpo era stato mutilato e bruciato, probabilmente per togliere delle tracce che potevano far identificare l’autore dell’omicidio. La sua morte fece notizia in tutto il mondo, ma ancora oggi non è stato identificato l’assassino o gli assassini.

Sanath Kumara

Sanath Kumara era un’attivista srilankese impegnata nel sensibilizzare le persone transgender alla prevezione dell’HIV. La vita dei trans e delle trans non è facile in Paesi come lo Sri Lanka, tant’è che si scoprì che la stessa Sanath era una donna transgender soltanto dopo la sua morte. Il 5 settembre 2017, all’età di 34 anni venne ritrovata morta nel parcheggio di un ospedale di Dumballa: era stata brutalmente colpita con delle mazze di legno.



La sorella di Sanath venne a conoscenza del fatto con una telefonata da parte dello stesso assassino, che imprecò contro di lei senza però rivelare la propria identità.

Sasha Garden

Tra le vittime di una serie di attacchi a sfondo razzista e omotransfobico di Orlando, c’è Sasha Garden, considerata una delle voci più forti della comunità LGBT della città. Attivista transgender e coordinatrice di un’associazione per la sensibilizzazione alla prevenzione dell’HIV, Sasha è stata assassinata a soli 27 anni: il suo corpo è stato trovato in un parco la mattina del 19 luglio 2018.

L’avvocata transgender della vittima, Montrese Williams, spiegò che le persone trans sono molto restie a chiamare le forze dell’ordine in caso di necessità per il modo in cui spesso vengono trattate da questi. Aggiunse che, quando gli agenti arrivarono a casa sua per l’identificazione del corpo, si dimostrarono estremamente ignoranti sulla terminologia da usare per le persone trans. Nonostante Montrese spiegò che sia lei che la vittima fosse una donna trans, sul verbale Sasha venne descritta come «un uomo che indossava una parrucca e abiti femminili».

Vanesa Campos

Peruviana transgender trasferita a Parigi, Vanesa Campos era un’attivista impegnata nella lotta all’AIDS e per i diritti delle persone trans. Nella notte tra il 16 e il 17 agosto del 2018, Vanesa venne assassinata a 36 anni nel quartiere Bois de Boulogne: secondo una prima ricostruzione ufficiale fu accoltellata da un gruppo di uomini che aveva inseguito per difendere alcune colleghe sex worker che questi stavano molestando e derubando.

L’autopsia rivelò che non furono le coltellate dei ladri ad ammazzarla, bensì lo sparo di una pistola della polizia: secondo quanto riportato dal giornale satirico Le Canard enchaîné, l’arma del delitto apparteneva a un poliziotto che era stato derubato dai malviventi (versione mai confermata o commentata dalla Prefettura).

A questo link i dettagli di tutte le iniziative organizzate da Arcigay in occasione del Transgender Day of Remembrance 2019 su tutto il territorio nazionale.


sabato 9 novembre 2019

“Senza rosa né celeste". Diario di una madre sulla transessualità della figlia”: di Mariella Fanfarillo, prefato da Cirinnà.

«Ho imparato a mie spese la differenza tra vedere e guardare: ora so che da sempre io vedevo mio figlio ma guardavo mia figlia». 

È da questa folgorante consapevolezza che ha inizio il racconto di Mariella Fanfarillo, un viaggio a ritroso lungo la sua vita e quella di sua figlia Esther, transessuale coraggiosa, la seconda ad aver ottenuto in Italia l'autorizzazione al cambio anagrafico di sesso senza l'obbligo
dell'operazione quando era ancora minorenne. 

Raggiungere quel traguardo non è stato semplice, ma Esther e Mariella sono sempre rimaste una accanto all'altra, sostenendosi a vicenda e affrontando insieme la violenza - fisica, psicologica e persino burocratica - di un paese ancora impreparato ad affrontare la diversità e forse anche, ancora di più, l'autodeterminazione. 

Una testimonianza necessaria che «vi farà versare lacrime dolci» (Monica Cirinnà). Una storia vera, fatta di fatica, amore e resilienza.

Atleti transgender: la IAAF ha preso la sua decisione

La Iaaf ha comunicato il nuovo regolamento per atleti transgendere.

La situazione delle transgender nel mondo dell’atletica è chiacchierata da tempo ormai dopo il caso Semenya. Adesso l’IAAF ha stilato un nuovo regolamento per queste atlete, stabilendo che per poter gareggiare dovranno avere con sè una dichiarazione firmata che attesti che appartengono al genere femminile. Ma non finisce qui: le atlete, infatti, dovranno dimostrare, in un periodo di un almeno un anno, che i livelli di testosterone nel loro organismo non superano la soglia di cinque nanomoli per litro.

Nonostante la popolarità del caso Semenya, il nuovo regolamento è nato a seguito del caso di Cece Telfer un uomo diventato donna che ha partecipato ad eventi maschili negli Stati Uniti prima di essere autorizzata a gareggiare con le donne.


Di Rita Caridi

Solidarietà a Liliana #Segre , che oltre a tutto il resto deve anche subire una visita del Trux in cerca di alibi. Io lo avrei lasciato attaccato al citofono


sabato 2 novembre 2019

Il sindacato degli attori britannici Equity ha pubblicato linee guida per sollecitare i cineasti a scegliere più attori trans per i ruoli che rappresentano personaggi etero.


Equity è sindacato britannico di vocazione Lgbt legato al mondo della recitazione che recentemente ha chiesto ai direttori di casting di assumere più attori e attrici transgender anche per i ruoli che rappresentano personaggi etero.

“Il punto è che un attore transgender può essere completamente invisibile in ambito produttivo, ma rappresenta fortemente la diversità nel settore” scrivono gli attivisti di Equity. “Questa diversità “invisibile” è importante tanto quanto forme di diversità più fisicamente riconoscibili. È difficile per gli attori trans costruire una carriera partendo dalla quantità molto ridotta di ruoli trans-specifici, se questi sono gli unici ruoli per i quali sono attivamente ricercati”. In breve, un Conchita Wurst prima maniera dovrebbe avere la possibilità di interptretare la regina Elisabetta.



Forse ricorderete di quando Scarlett Johansson ha abbandonato un film in cui doveva interpretare un uomo transgender per via delle polemiche che ne sono nate. Ai fini della resa e del realismo, tuttavia, trattandosi di un protagonista maschile che si vestiva da donna, la Johansson non andava comunque bene?

Tigger Blaize, vicepresident di Equity, commenta: “Non vogliamo incolpare nessuno, questa è per molti una nuova aerea, ed è normale commettere errori”. “Ma se commettete un errore, scusatevi, correggetevi e andate avanti. Nessun dramma”. Nessun dramma per loro, per gli sceneggiatori forse un po’ di meno.




Fonte:https://www.theguardian.com/society/2019/oct/28/cast-more-transgender-actors-in-non-trans-roles-union-urges

mercoledì 30 ottobre 2019

Pose, seconda stagione: su Netflix

Dopo il successo della prima stagione, Pose torna finalmente in Italia con i nuovi episodi. La seconda stagione, arrivata a qualche mese di differita dalla programmazione statunitense, per certi versi risulta ancor più d’impatto rispetto al debutto avvenuto lo scorso anno. Premiata con riconoscimenti televisivi importanti, Pose riprende a raccontare le vicende di un gruppo di transessuali e omosessuali nella New York a cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio del nuovo decennio, i nuovi episodi, disponibili dal 30 ottobre su Netflix.

Se nel primo anno la serie ha portato fascino in mezzo al dramma, quest’anno ci consegna una narrazione più urgente e oscura, ma senza perdere la delicatezza e la speranza.

Dopo un salto di tre anni nella storia, Pose ci porta al 1990. La strategia degli scrittori era di arrivare al momento del rilascio della canzone di grande successo di Madonna “Vogue”, che fece luce sulla comunità LGBTQ+ e dei ‘Ball’, che per anni viveva nell’ombra della periferia. Blanca (Mj Rodriguez) e i suoi figli Angel (Indya Moore), Damon (Ryan Jamaal Swain) e Papi (Angel Bismark Curiel) rimangono uniti, ma a poco a poco ciascuno si fa la propria strada, con Damon che diventa un promettente ballerino e Angel una modello internazionale.


I nuovi episodi della nuova stagione di Pose continuano a raccontare le gioie e i dolori della House Evangelista, guidata da madre Blanca, interpretata da MJ Rodriguez, della casa Abundance di Elektra (Dominique Jackson), di Pray Tell (Billy Porter) e dei personaggi a loro vicini. Evitando di raccontare nei minimi dettagli la trama di questa seconda stagione della serie tv creata da Ryan Murphy, Brad Falchuk e Steven Canals, non possiamo che esimerci dall’analizzare episodi certamente ricchi di pathos narrativo e profondamente riflessivi verso alcune importanti tematiche. I temi principali sono i medesimi della precedente razione di episodi: l’importanza della famiglia, l’orgoglio personale e la voglia di realizzarsi, la lotta ai diritti in un mondo cieco verso le minoranze.



Pose è uno degli ultimi progetti di Ryan Murphy, creatore di Glee, American Horror Story e 911, tra le altre cose. La serie TV è stata realizzata in collaborazione con i partner storici Bad Falchuk e Steven Canals. Ricordiamo inoltre che il cast di Pose possiede il maggior numero di attori LGBTQ nella storia della TV.

Fonte :https://www.netflix.com/it/title/80241986

Hunter Schafer, la star transgender della serie «Euphoria»

Dopo aver guardato la prima puntata della serie tv su Sky "Euphoria" non riuscirai più a togliertelo dalla testa. Di professione modella, Hunter è transgender, ha 20 anni ed è già finita sulle cover dei magazine più importanti del mondo, sfilando per i brand più cool e indossando gli abiti delle maisons più famose.

In Euphoria, dove interpreta sostanzialmente se stessa (fa la parte di Jules, teenager trans che fa amicizia con Rue, interpretata da Zendaya) è alla sua prima prova da attrice ma Hunter Schafer è una star di Instagram, una modella famosa, un'artista e un'attivista che avrai visto sicuramente in qualche campagna pubblicitaria di grande impatto.

Euphoria nasce da un’idea di Sam Levinson e ambisce a raccontare il mondo dell’adolescenza in maniera volutamente scandalosa e senza filtri. La protagonista è Rue Bennett, interpretata da Zendaya, ex attrice e ballerina di film e serie del mondo Disney.

“Allah Loves Equality”, essere queer in Pakistan



Ai tempi anche Il Mitte aveva supportato la campagna di crowdfunding per la realizzazione di un documentario sulla comunità queer in Pakistan, “Allah Loves Equality“, realizzato tra il 2017 e il 2018 dal regista e attivista Wajahat Abbas Kazmi.

A distanza di due anni, con un budget di 12.815 euro, il documentario ha finalmente visto la luce. Promosso dall’associazione Il Grande Colibrì e patrocinato da Amnesty International, è stato presentato per la prima volta in anteprima il 28 aprile 2019, al Lovers Film Festival di Torino.



Il documentario mostra senza filtri la storia delle persone queer in Pakistan, Paese che vede applicata una delle legislazioni più repressive in materia, soprattutto a causa della sezione 377 del codice penale.

Il regista fornisce a diversi testimoni la possibilità di raccontarsi davanti a una telecamera e molti di loro lo hanno fatto per la prima volta, con totale sincerità e grandissimo coraggio. Si alternano dunque interviste, momenti di vita vissuta e spezzoni relativi a celebri fatti di cronaca, nel tentativo di scavare una strada fuori da un inferno fatto di stupri, omicidi, delitti d’onore, ostracismo e molte altre forme di violenza subite, su base regolare, dalla comunità LGBT in Pakistan.

Particolare esposizione è data alle donne transessuali, alle quali è consentito fare solo tre cose, per vivere: mendicare, danzare o prostituirsi.
Spesso ripudiate dalle loro famiglie e respinte dalla società, lottano per sopravvivere e a causa della loro condizione sono costrette ad abbandonare la maggior parte delle loro ambizioni, dalle più complesse alle più semplici. Sono fantasmi, quando non diventano bersagli.



A questo proposito vengono mostrate le violenze atroci, e a volte letali, perpetrate ai danni delle transessuali pakistane, per ragioni che vanno dallo sfruttamento al crimine d’odio.

Un caso emblematico è quello di Alisha, attivista per i diritti delle donne transgender, colpita sei volte con un’arma da fuoco e ricoverata in un ospedale di Peshawar, dov’è stata discriminata anche dal personale medico e paramedico. Dopo essere stata collocata nel reparto maschile, isolata e vicina ai bagni, Alisha è stata trattata con ostilità e negligenza, fino alla sua morte.




Meglio non va a quelle transessuali che osano opporsi ai tentativi di sfruttamento da parte della criminalità, che vede in loro solo carne da macello.

Il documentario mostra infatti il frammento di un video diventato virale, in cui una ragazza transgender di Sialkot, una cittadina del Punjab, viene frustata da un criminale del luogo, Jajja Butt, che secondo diversi media estorceva denaro alla comunità transgender. Shanaya, la ragazza mostrata nel video, fu rapita e selvaggiamente torturata per ragioni non ancora chiarite, ma che oscillano dal crimine d’odio alla rappresaglia personale.



C’è poi Esha Chaudhry, una donna transessuale di Rawalpindi, città satellite di Islamabad, capitale del Paese. Esha ha una laurea magistrale in economia e la sua ambizione è ricoprire un ruolo imprenditoriale. Attualmente, però, non può fare altro che mendicare, perché esclusa da qualunque altro ambito lavorativo. Ha trovato un compagno che la ama, ma è costretta a vestirsi da uomo quando esce con lui, perché il loro legame non potrebbe sopravvivere al di fuori delle mura domestiche.



Meglio non va agli omosessuali maschi, costretti a nascondere il loro orientamento, spinti dalle famiglie a sposarsi, spesso nell’ambito di matrimoni combinati, vittime dei pregiudizi e della mancanza di diritti, e non solo nel loro Paese.

Emblematico in questo senso è il caso del Dottor Qasim Iqbal, considerato il padre dell’attivismo LGBT in Pakistan. Cresciuto negli Stati Uniti, assunto come ingegnere informatico dalla Microsoft per circa 8 anni, è stato infine deportato in Pakistan non appena gli è stato diagnosticato l’HIV. Il laboratorio presso il quale erano state effettuate le analisi, infatti, ha inviato una copia del referto medico sia all’ufficio immigrazione che al dipartimento di sicurezza interna e a quel punto Iqbal è stato costretto a tornare in un Paese che aveva lasciato ad appena tre anni di età.



Hannan Sidique invece è un makeup artist di successo. Ha una relazione con un altro uomo, Ali, ma ovviamente non possono stare insieme alla luce del sole. Nonostante la condizione socialmente ed economicamente privilegiata, Sidique subisce comunque uno stigma che rende difficili anche le cose più semplici, come passare una serata con il suo compagno, il quale, d’altra parte, subisce forti pressioni familiari affinché si sposi con una donna.

Il documentario sottolinea inoltre la sostanziale “invisibilità” di lesbiche e uomini trans. “Ammettere che esistano le lesbiche vorrebbe dire che le donne hanno una sessualità propria e in una società musulmana questo è inaccettabile” sottolinea Qasim Iqbal, che rivela anche il dato sconcertante che in alcune parti del Pakistan si pratichi ancora l’infibulazione. E poi aggiunge: “A volte, come attivisti per i diritti civili, aiutiamo anche diverse lesbiche e uomini trans a lasciare il Paese, perché vivono una condizione di serio pericolo”.



Eppure la cultura musulmana non è stata sempre così.

Ai tempi delle monarchie islamiche, per esempio, le donne transessuali e gli omosessuali effeminati venivano definiti mukhannat e la loro condizione era assolutamente riconosciuta, all’interno dell’establishment. Ne parla, tra gli altri, lo studioso musulmano dell’XI secolo Ibn ‘Abd al-Barr.

Tra i Moghul, inoltre, le persone transgender, denominate khawjasara, godevano di una posizione privilegiata ed erano considerate con tale rispetto da svolgere, a volte, anche la funzione di consigliere di principi e principesse.

Il poeta arabo Abū Nuwās, inoltre, vissuto nell’VIII secolo, durante il califfato abbaside, componeva versi esplicitamente omoerotici e fu considerato uno dei modelli più imitati dalla poesia araba successiva. Il crossdressing era celebrato dalla società e i governanti dell’epoca, inoltre, erano decisamente aperti riguardo alla alla sessualità.

Il poeta arabo Abū Nuwās

L’invasione inglese, con l’introduzione di principi cristiani avversi alla libertà sessuale, e l’interpretazione sempre più radicale del pensiero islamico, innescò un cambiamento drastico che ebbe il suo spartiacque definitivo l’anno dell’indipendenza del Pakistan, il 1947.
A partire da quella data, la comunità LGBT cominciò infatti ad affrontare sempre maggiori difficoltà e orribili forme di mortificazione sociale.


Pakistan

Le khawjasara cercarono di proteggersi aggregandosi in gruppi e preservando in questo modo, per i secoli a venire, la loro identità e i loro valori. Questa cultura, oggi denominata Khawajha Sira, crea famiglie di fatto in cui le persone transgender trovano l’amore che non hanno sperimentato nelle famiglie di origine. Attualmente, il 90% delle transgender pakistane appartiene al sistema Khawajha Sira, per loro estremamente importante.

Ci sono anche diverse associazioni locali che lavorano giorno e notte, con coraggio e determinazione, per migliorare le cose. È stato grazie alle loro segnalazioni e al clamore mediatico creato da questi attivisti, ad esempio, che sia Jajja Butt che l’uomo accusato di aver ucciso l’attivista transessuale Alisha sono attualmente in carcere.




Per questo e per molto altro è importante condividere il messaggio di Wajahat Abbas Kazmi, che sta cercando di far conoscere storie di disperazione e resistenza che purtroppo restano spesso inascoltate.
La causa della scarsa eco di queste vicende al di fuori del Pakistan, risiede nella sostanziale indifferenza dell’occidente verso tutto ciò che non sia la diretta emanazione dei suoi valori. Ma quando un regista pakistano testardo punta all’attenzione internazionale, con l’aiuto di ogni possibile media cge voglia fare la differenza, le cose cambiano.

Le persone queer del Pakistan, intanto, continuano a combattere e anche grazie a chi, nel mondo, sceglie di prestare orecchio alle loro richieste, conquistano faticosamente nuovi spazi e prospettive per il futuro.
Dolcissimo il sorriso di Bubbli Malik, attivista e fondatrice di un’associazione per i diritti delle persone transgender in Pakistan, Wajood, che in urdu significa “esistenza”.
Malik ha dedicato 21 anni della sua vita alla causa e una parte della sua casa è diventata un punto di riferimento per la comunità transessuale locale.

Si dichiara felice di aver vissuto senza ipocrisie, “con gli occhi pieni di lacrime, ma con il cuore sempre sorridente“.

NATI 2 VOLTE - Anteprima il 6 novembre a Torino

È possibile raccontare una storia transgender in maniera leggera e profonda, con quelli che si chiamano, per consuetudine, i toni della commedia? La sfida di Nati 2 volte, al cinema dal prossimo 28 novembre, è tutta qui: il gioco degli equivoci e quello dei pregiudizi, l’eterna scelta tra la grande città e la provincia, il conflitto interiore e quello, inevitabile, legato alle relazioni con le persone che amiamo, la scelta, spesso dolorosa, di diventare finalmente uomini, o donne, o semplicemente adulti.

Diretto da Pierluigi Di Lallo (al suo secondo film) e scritto assieme a Riccardo Graziosi e Francesco Colangelo, Nati 2 volte racconta la storia di Teresa, adolescente che si sente doppiamente rinchiusa: in un corpo che non è il suo e in un paese dove vige il pregiudizio e la mentalità ristretta della provincia.

La pellicola, con il patrocinio dell’Arcigay, verrà proiettata il 6 novembre 2019 alle ore 21:00 al Cinema Massimo di Torino in anteprima nazionale in collaborazione con il Lovers Film Festival di Torino, il più importante festival cinematografico dedicato ai film LGBTQI+, da quest’anno diretto da Vladimir Luxuria. Saranno presenti il regista, Luigi Di Lallo, i protagonisti Fabio Troiano, Euridice Axen, l’attrice transgender Vittoria Schisano, la direttrice del Festival Vladimir Luxuria e il direttore del Museo Nazionale del Cinema Domenico De Gaetano.

“Questa importante anteprima – sottolinea Vladimir Luxuria, direttrice del Lovers Film Festival – inaugura una serie di appuntamenti che il Lovers Film Festival farà nei prossimi mesi sul territorio cittadino, grazie alla disponibilità e alla collaborazione di numerosi enti e associazioni. I temi trattati vanno dal cinema, alla letteratura e allo spettacolo, e intendono mantenere alta l’attenzione sul festival e sulle tematiche che rappresenta”.

Ispirato a una storia vera, Nati 2 volte non vuole essere un film militante, e non diventa mai un film caricatura. Vi sono ritratte molte propensioni tipicamente italiane: il provincialismo, la burocrazia, la “pruderie”. Il personaggio di Maurizio, nel corso della storia, si muove all’interno di una cittadina dove lo ricordano ancora per quella persona (Teresa) che oggi non esiste più

Le vicende prendono avvio nel 1989 quando Teresa, assieme a suo padre e sua madre (interpretati da Francesco Pannofino e Daniela Giordano) per sfuggire alla “vergogna” lasciano Foligno per Milano, una città dove nessuno li conosce e nessuno soprattutto, li giudica. Qui Teresa intraprenderà quel lungo percorso che la porterà alla transizione di genere “F to M” e a diventare Maurizio. Dopo venticinque anni, Maurizio/Teresa (interpretato da Fabio Troiano) è costretto a tornare nel suo paese natale, a causa della morte della madre Angela. E qui si scontrerà per l’ennesima volta con un passato decisamente ingombrante.

Girato interamente a Foligno, Nati 2 volte, è prodotto da Time, Oberon Media e Green Film, e sarà nelle sale dal 28 Novembre grazie a Zenit Distribution, società indipendente di distribuzione cinematografica di Mauro Venditti.

Querela chi la insulta per aver invocato Hitler contro il Gay Pride, la procura: "E' stata lei a provocare, sono giustificati"

Il pm respinge la denuncia di Stella Manente: «È stata lei a rievocare le persecuzioni naziste contro gli omosessuali»

Chi l’ha insultata non è perseguibile penalmente, avendo agito in risposta a un comportamento ingiusto: questa, in sintesi, la motivazione con cui la procura di Milano ha chiesto l’archiviazione della denuncia contro ignoti per diffamazione, minaccia aggravata e molestie presentata dalla modella-influencer Stella Manente che, durante l’ultimo Gay Pride, lo scorso giugno a Milano, aveva invocato Hitler sul suo profilo Instagram, perché a causa del corteo - spiegava sui social - rischiava di perdere il treno.


Subissata di proteste e insulti, la giovane si era scusata, ma poi aveva deciso di far denuncia. Denuncia per cui il pm di Milano Mauro Clerici ha chiesto l’archiviazione: “il comportamento della denunciante - si legge - costituisce palesemente un fatto ingiusto perché evocare ad alta voce Hitler nel corso di una manifestazione quale il Gay Pride significa evocare e giustificare le persecuzioni naziste contro gli omosessuali”.


L’influencer “inoltre ha dato ulteriore seguito dandovi pubblicità su Instagram e pertanto le numerose persone che hanno reagito a tale condotta, contro cui viene presentata denuncia, appaiono giustificate dal disposto di cui all’art. 599 c.p.”. Articolo per il quale “Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dall’articolo 595 (diffamazione, ndr) nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso”.

L’Arabia Saudita apre al turismo di massa. Ma per la comunità LGBT,carcere, multe e persino la morte.

È una guerra in piena regola quella dichiarata dai Paesi arabi del Golfo persico contro gli omosessuali e i trans ai quali saranno negati il visto d'ingresso e il permesso di soggiorno. Per volontà governativa della Sharia, o legge islamica.

In Arabia Saudita i Diritti LGBT non vengono in alcun modo riconosciuti; l'omosessualità risulta molto spesso essere un argomento tabù e quindi non affrontato all'interno della società: essendo inoltre considerata illegale viene punita con la reclusione, punizioni corporali giudiziarie eseguite in pubblico fino a giungere, nei casi più gravi, fino alla pena di morte.

Le persone transgender sono generalmente confuse ed equiparate agli omosessuali: sodomia, omosessualità e transessualismo sono considerati crimini e malattie, palesi segni della decadenza ed immoralità che governa l'occidente.


Secondo attivisti per i diritti civili del gruppo Blue Veins, nel marzo del 2017, due persone transgender sono state messe a forza dentro dei sacchi, picchiate con dei bastoni e torturate a morte.

La riassegnazione chirurgica del sesso è illegale in Arabia Saudita.



Fonte: UK government, The Independent

Lui è Keith Wildhaber, sergente della polizia di St. Louis in Missuri. I capi della polizia locali gli hanno negato 23 promozioni nell'arco di 15 anni. Motivo? È "troppo gay".

Keith Wildhaber è un sergente della #polizia di St. Louis in #Missouri, USA. I capi della polizia locali, nell'arco di 15 anni, gli hanno negato 23 promozioni perché "troppo #gay". Wildhaber ieri in tribunale ha vinto la causa per discriminazione: 20 milioni di risarcimento.

Nel 2017 gli avevano suggerito che, per ottenere finalmente quella promozione tanto desiderata, avrebbe dovuto «smorzare il suo essere gay» giudicato troppo «palese». Per il Sergente Keith Wildhaber, della polizia di St. Louis, Missouri, era stato come «ricevere un pugno nello stomaco»: a nulla erano servite la devozione e la professionalità dimostrate in 15 anni di lavoro.

 
Per anni si era tenuto dentro tutto. Quando aveva provato a lamentare le discriminazioni subite all'interno del corpo di polizia, i superiori lo avevano ricollocato in un'altra stazione, più lontana da casa. Nel 2017, il coraggio di denunciare all'autorità giudiziaria. E adesso la rivincita: la giuria della Contea di St. Louis ha condannato i vertici delle forze dell'ordine a versargli quasi 20 milioni di dollari.

La cifra astronomica a molti potrebbe far storcere il naso e sembrare “troppo alta”. Ed è esattamente questo il motivo per cui la giuria ha, consapevolmente, deciso di comminarla. Ai reporter locali un membro del collegio giudicante ha infatti detto che: «Volevamo mandare un messaggio. Se discrimini, dovrai pagarlo caro. Non si può difendere l'indifendibile». Ora il nuovo capo della Contea di St. Louis dice che ai vertici «ci saranno grandi cambiamenti. Le promozioni devono essere basate unicamente sul merito».

Fonte:https://www.theguardian.com/us-news/2019/oct/28/us-police-sergeant-missouri-keith-wildhaber

venerdì 26 luglio 2019

Il cervello dei bambini trans assomiglia alla loro identità di genere, non al sesso biologico



Un nuovo studio condotto da un neurologo belga ha scoperto che l'attività cerebrale nelle persone transgender assomiglia a quella riscontrata nelle persone (cis, cisgender ) che fa riferimento agli individui che sentono di appartenere al genere biologico che hanno ricevuto alla nascita. Si tratta, dunque, di persone che si identificano e si sentono a proprio agio – a livello di sentimenti e di identità sessuale - con il proprio sesso biologico. Il termine è stato coniato dalla biologa Dana Leland nel 1994.

Julie Bakker dell'Università di Liegi ha guidato la ricerca di 
risonanza magnetica, che ha coinvolto 160  bambini e  adolescente transgender con diagnosi di disforia di genere. Le scansioni hanno anche misurato le microstrutture cerebrali usando una tecnica chiamata tensore di diffusione.

I loro risultati sono stati confrontati con quelli di età comparabile a cui non è stata diagnosticata la disforia di genere.


Lo studio ha scoperto che l'attività cerebrale nei ragazzi transgender assomiglia a quella dei ragazzi cisgender e che quella delle ragazze transgender è simile a quella delle ragazze cis.

I ricercatori hanno affermato che la tecnica potrebbe essere utilizzata per aiutare i bambini transgender più piccoli.

"Sebbene siano necessarie ulteriori ricerche, ora abbiamo prove che la differenziazione sessuale del cervello differisce nei giovani con disforia di genere, in quanto mostra caratteristiche cerebrali funzionali tipiche del loro genere desiderato", ha affermato Bakker.


"Adesso saremo meglio attrezzati per aiutare questi giovani, invece di mandarli da uno psichiatra sperando che il loro dolore scompaia spontaneamente."

I risultati dello studio, presentati alla riunione della Società europea di endocrinologia, seguono precedenti studi neurologici che hanno dimostrato che gli adulti trans hanno strutture cerebrali simili a quelle delle persone cis del loro genere.

Le informazioni provengono dalla nazione LGBTQ .

Addio a Didem Akay, uccisasi a Istanbul il 22 luglio.


In memoria di Didem Akay
Didem Akay e Hande Kader

(di Cristina Leo)

Mi chiamavo Didem Akay ed ero una ragazza trans.
Alcuni di voi, forse, si ricordano di me, perché la mia foto insieme alla mia amica Hande Kader divenne virale nel 2015, durante il Pride di Istanbul, quando la polizia ci disperse con dei potenti idranti.

Eravamo bagnate ed in lacrime.
Come ricorderete, Hande fu sequestrata, stuprata, uccisa e fatta a pezzi il 12 agosto 2016.

Da quel giorno, anche la mia vita si è interrotta.
Sono rimasta sola, in preda allo sconforto, alla consapevolezza che qui, in Turchia, la vita di una persona trans vale meno di niente.

La Turchia è il Paese europeo con il maggio numero di transfemminicidi.
Abbiamo difficoltà ad accedere ai servizi sanitari, siamo precluse da ogni possibilità di accedere al mondo del lavoro, lo stigma che viviamo quotidianamente ci fa vivere ai margini delle città, delle quali siamo reiette ed emarginate. 

È una non-vita quella che le istituzioni turche ci costringono a "vivere", costrette a prostituirci nelle case o nelle strade di periferia, facendo l'amore con la morte tutte le notti. 

Questa precaria esistenza per me, non ha più senso. È certo che avrei voluto fare altro.

Ma non sono più disposta a sopravvivere così, con la paura costante di non farcela, svendendo pezzi del mio corpo e della mia anima in cambio di pochi denari e tanto disprezzo. 

Eh si, perché spesso il nostro miglior cliente può diventare il nostro peggior carnefice, che decide di ucciderci. 

Ho deciso di non dare a nessuno questo privilegio. Nessuno potrà decidere della mia non-vita, se non io.
Non darò a nessuno l'onore di uccidermi.
Continuate ad ignorarci, come avete sempre fatto.
Un calcio alla sedia ed il collo mi si spezzera', rimarrò senza fiato e sarà già tutto un lontano ricordo, di questa vita fatta di umiliazioni e di sopraffazioni.

Ci siamo quasi, sto arrivando Hande, fra pochi minuti sarò da te.
Prepara l'abbraccio più forte che hai.
«Sono la ragazza che ha tagliato l’aria quando il suo chiodo si è rotto, pensaci!».


http://www.gaynews.it/…/addio-a-didem-akay-uccisasi-a-ista…/

venerdì 28 giugno 2019

Su Netflix "Democracia Em Vertigem " documentario politico, della regista Petra Costa.


Su Netflix "Democracia Em Vertigem " documentario politico, della regista Petra Costa. Un allarme in tempi di democrazia in crisi. Un documentario per la riflessione sulla democrazia brasiliana, consiglio a tutti...Ho visto due volte, mi sono commossa tantissimo finendo per piangere!!😧

 Congratulazioni @PetraCosta il tuo documentario è una lezione di storia. #lulalivre #democraciaemvertigem #netflix

giovedì 2 maggio 2019

Processo a Rolandina. La storia vera di una transgender condannata al rogo nella Venezia del XIV secolo

Per essere in tutto e per tutto una donna le mancava solo una cosa; ma ogni altro aspetto del suo corpo – dal seno alla dolcezza delle fattezze, dalla corporatura alla voce – evocava nella sua persona una femminilità prorompente, al punto che ogni uomo che andò a letto con lei non si accorse che in realtà Rolandina Roncaglia era nata uomo: la prima transgender conosciuta della storia moderna, la cui esistenza sia certificata da un documento, nel suo caso un dispositivo di sentenza.

Perché quando fu scoperta non finì bene: il Trecento, secolo in cui visse e in cui morì sul rogo, non era fatto per una transgender; oltre a questo, la grande pestilenza del 1348 (e tutte quelle successive) fu in gran parte attribuita ai peccati che si commettevano nelle città, fra i quali quello della cosiddetta sodomia (che era ugualmente vietata in ogni forma di rapporto, anche in quelli eterosessuali). Eppure Rolandino, quando ancora si vestiva da uomo, tentò in ogni modo di condurre una esistenza “normale”: nata a Roncaglia, nel padovano (come spesso avveniva all'epoca, si adottò la località natale come cognome), sposò una giovane del suo paese con la quale però – per sua stessa ammissione, ricavata dalla sentenza dei “Signori di Notte al Criminal” conservata nell'Archivio di Stato di Venezia – non riuscì mai ad avere alcun rapporto, al punto che sua moglie lo lasciò presto, prima di morire proprio durante la pestilenza del 1348.

Fu allora che si spostò a Padova, forse per evitare le maldicenze del paese, per stabilirsi a casa di un suo parente; ma anche qui, pur vestendosi da uomo, non potè certo trattenere i gesti, le movenze, le espressioni che ne tradivano l'intima natura femminile, al punto che molti iniziarono a scambiarla per una donna che indossasse abiti maschili. La svolta arrivò nel corso di una notte: un uomo, ospite in casa, le entrò di soppiatto nel letto “credendo che lui fosse femmina” (come si legge dalle motivazioni della sentenza) ed ebbe un rapporto con lei senza accorgersi di nulla.

Per Rolandina fu una rivelazione e una liberazione: decisa, da allora in poi, ad assumere su di sé il ruolo della donna “e volendo essere ritenuto femmina” – ovvero ciò che più profondamente sentiva di essere – dopo poco tempo (e la sperimentazione di altri rapporti con uomini inconsapevoli della sua natura) si trasferì a Venezia e iniziò a vestirsi con abiti femminili. Da quel momento fu per tutti Rolandina: di giorno girava per Rialto con le sue ceste vendendo uova e talvolta di notte – non guadagnando abbastanza (alla domanda dei Signori di Notte sul perché si prostituisse rispose con grande semplicità “per guadagnare un poco di denaro”) – percorreva le stesse calli concedendo il suo corpo così come facevano decine di altre prostitute in quella zona.

Le frequentava, anzi; e nessuna mai si accorse che quella ragazza delicata e pudica che si prostituiva pur senza essere esattamente una di loro fosse in realtà un uomo: quando stava con loro Rolandina ebbe sempre l'accortezza di tenere una fascia al pube, per non rivelare la sua doppia natura, lavandosi con loro alla “stua”, uno dei tanti bagni pubblici della zona di Rialto, o condividendone addirittura il letto.

Ma era un gioco pericoloso che durò fin troppo a lungo: quasi sette anni. Dopodiché Rolandina fu scoperta; e sebbene la Serenissima sia stata nella storia abbastanza tollerante in fatto di sesso, la sodomia – specialmente quella legata all'omosessualità – si pagava con il rogo, e il “grave peccato” di cui si era macchiata la Roncaglia (che tornò ad essere “Rolandino” nel corso dell'istruttoria, tenutasi il 20 marzo 1354, nel corso della quale fu anche issata con le mani legate dietro le spalle) era di quelli da mondare con il fuoco.

Il 28 marzo 1354, vestita da uomo, la prima transgender conosciuta alla moderna storia d'Europa (raccontata anche in un libro di Marco Salvador, “Processo a Rolandina”) fu portata al cospetto del doge Andrea Dandolo, di fronte al quale ratificò la sua confessione. Lo stesso giorno, su ordine dei giudici Giovanni Nicolò Rosso e Daniele Cornaro fu condannata “a essere bruciato in modo che muoia”.




Marco Salvador è uno studioso del Medioevo e ha all’attivo molti romanzi ambientati in quel periodo storico. Questa volta la sua impresa è impegnativa. Raccontare la storia – realmente accaduta – di Rolandina (probabilmente il primo transgender o ermafrodita veneziano) è una narrazione impegnativa perché tocca, e Salvador lo sa bene, temi che hanno attraversato i secoli per essere ancora attuali anche nella nostra società. Rolandina è vista come il coacervo di tutti i mali. Un essere impuro, un sodomita che va messo al rogo e bruciato, per far sì che la città sia salva dalla peste, che i veneziani siano al sicuro dalle malattie e dalla conseguente povertà. Quello che emerge dalla ricostruzione storica che Salvador propone (tutti gli scambi epistolari dei nobili veneziani a cui spettava il compito di giudicare Rolandina) è una umanità completamente terrorizzata dalla diversità. E solo un uomo, Marco Giustinian, tenterà invano di salvare dal rogo il giovane transgender: ma mettersi contro la morale comune è qualcosa che, da soli, diventa una impresa titanica. Dal Medioevo all’oggi il passo è breve: i diritti dei gay e dei transgender sono sempre in bilico in una società che “accetta” ma che spesso non accoglie, che guarda ancora con sospetto tutti i diversi, che fa prima a ergere barriere che a costruire ponti tra mondi e culture diverse. Il romanzo di Salvador ci lascia l’amaro in bocca e la possibilità di riflettere su ciò che è stato e ciò che è e, cosa ancora più importante, ciò che vogliamo che la nostra società diventi. Probabilmente lo stile è un po’ troppo impegnativo e la forma epistolare non facilita la lettura scorrevole: eppure ne vale la pena. Vale sempre la pena di conoscere il passato per non commettere nuovi errori e orrori.

mercoledì 24 aprile 2019

Migranti, Cassazione: “Accogliere gay senza tutele nei loro Paesi”

È quanto ha sottolineato la Suprema Corte, accogliendo il ricorso di un cittadino omosessuale della Costa d’Avorio, minacciato dai suoi parenti, a cui non era stato concesso il diritto di restare in Italia

Prima di negare lo status di rifugiati ai migranti che dichiarano di essere omosessuali e di rischiare la vita se rimpatriati a causa del loro orientamento sessuale, si deve accertare se nei Paesi d'origine non solo non ci siano leggi discriminatorie e omofobe ma bisogna anche verificare che le autorità del luogo assicurino "adeguata tutela" ai gay, ad esempio se colpiti da "persecuzioni" di tipo familiare. Lo ha sottolineato la Cassazione, che ha accolto il ricorso di un cittadino omosessuale della Costa d'Avorio, minacciato dai suoi parenti.
Negato il diritto di rimanere in Italia

Al protagonista di questa vicenda giudiziaria, Bakayoko Aboubakar S., arrivata fino alla Suprema Corte, la Commissione territoriale di Crotone non aveva concesso il diritto di rimanere in Italia sottolineando che "in Costa d'Avorio al contrario di altri stati africani, l'omosessualità non è considerata un reato, né lo Stato presenta una condizione di conflitto armato o violenza diffusa". Per gli 'ermellini' questo non basta: serve accertare l'adeguata protezione statale per minacce provenienti da soggetti privati.
Minacciato dai parenti

Bakayoko Aboubakar S. aveva raccontato che era di religione musulmana, coniugato con due figli, e diventato oggetto "di disprezzo e accuse da parte di sua moglie e di suo padre" che era imam del villaggio, "dopo aver intrattenuto una relazione omosessuale". Aveva deciso di fuggire quando il suo partner era stato "ucciso in circostanze non note, a suo dire a opera di suo padre", l'imam. Secondo la Cassazione "non è conforme a diritto" - quanto deciso oltre che dalla Commissione prefettizia anche dal Tribunale di Catanzaro nel 2014, e dalla Corte di Appello di Catanzaro nel 2016 - aver negato la protezione a Bakayoko senza accertare se nel suo Paese sarebbe difeso dalle minacce dei parenti.
Ordinato l'appello bis

Il caso adesso si riapre e sarà riesaminato da altri giudici nell'appello bis ordinato dagli ‘ermellini’. Nel verdetto, i supremi giudici scrivono che pur in mancanza di "riserve sulla credibilità" del profugo ivoriano - non messa in discussione nelle fasi di merito - "non risulta che sia stata considerata la sua specifica situazione" e siano stati "adeguatamente valutati" i rischi "effettivi" per la sua incolumità "in caso di rientro nel paese di origine, a causa dell'atteggiamento persecutorio nei suoi confronti, senza la presenza di una adeguata tutela da parte dell'autorità statale". "A tal uopo - prosegue la Cassazione - non appare sufficiente l'accertamento che nello stato di provenienza, la Costa d'Avorio, l'omosessualità non è considerata alla stregua di reato, dovendosi accertare in tale paese la sussistenza di adeguata protezione da parte dello Stato, a fronte delle gravissime minacce provenienti da soggetti privati".

Ankara: revocato il divieto per gli eventi lgbt.


Nessun divieto per le manifestazioni pro-lgbt nella capitale turca, Ankara.

Il tribunale locale ha accolto l’appello del gruppo lgbti+ turco “Kaos GL” contro il ban posto dal Governo di Ankara del novembre 2017, che aveva disposto il diniego di ogni attività propagandistica lgbt nel territorio della capitale per questioni di “moralità pubblica” e “sensibilità sociale“. A seguito del primo appello, andato a vuoto, dello scorso novembre, l’Associazione ha chiesto di essere riaccolta in udienza per addurre nuove argomentazioni, che sono state accettate.

Il tribunale, nello specifico, ha dichiarato che “deve essere assicurato un livello maggiore di sicurezza” anziché porre il ban su libere manifestazioni, che non possono essere vietate “neanche in stato di emergenza“: “Invece di negare i diritti e le libertà fondamentali per proteggere la pace sociale, hanno affermato che il gruppo vulnerabile a qualsiasi attacco dovrebbe essere protetto. Si può dire che la Corte abbia stabilito che lo Stato deve proteggere i diritti e le libertà fondamentali di LGBTI +” ha commentato l’avvocato di Kaos GL Hayriye Kara in una dichiarazione.

Grande soddisfazione da parte di Amnesty International, che ha così accolto la notizia da Ankara attraverso il suo portavoce Fotis Filippou, direttore delle campagne per l’Europa ad Amnesty International: “Questa è una giornata importante per le persone LGBTI in Turchia e un’enorme vittoria per gli attivisti per i diritti LGBTI. L’amore ha vinto ancora una volta.” e apre le porte ad un nuovo, storico Pride che, dopo i ban governativi di Istanbul degli ultimi due anni, potrebbe tornare a svolgersi nella capitale turca: “Le persone LGBTI e i loro alleati sono stati scandalosamente e illegittimamente banditi dal tenere eventi LGBTI da novembre 2017. Con la stagione dell’orgoglio che si avvicina il mese prossimo, celebriamo questa significativa sentenza della corte”.

Istanbul Pride 2018
Per quattro anni le autorità cittadine, fortemente influenzate da Erdogan, hanno vietato espressamente che nella città del Bosforo si tenesse il consueto + , per non meglio precisate “ragioni di sicurezza“. Una marcia storica per il mondo musulmano, che per dieci anni è stata un punto di riferimento importantissimo per la comunità lgbt turca (registrando una partecipazione altissima che in alcune edizioni ha sfiorato le 100.000 persone) e nel 2012 ha visto, tra i partecipanti, anche i manifestanti di Gezi Park. Circostanze che hanno preoccupato il regime repressivo di Erdogan: mentre nel 2015 la polizia ha utilizzatocannoni ad acqua per disperdere i manifestanti, dal 2016 il Pride ha subito l’interdizione governativa.

Nonostante questo, il primo luglio dello scorso anno un migliaio di manifestanti hanno occupato alcune vie del centro sfidando la polizia in assetto anti sommossa. Gli arrestati, circa trenta, sono stati rilasciati dopo poche ore

Sarà giunto finalmente il momento per gli amici turchi di tornare a sfilare con le loro bandiere arcobaleno? Ce lo auspichiamo per loro.

fonte: PinkNews, Kaos GL

https://www.gaystarnews.com/article/turkish-court-lifts-ban-on-pride-events-in-ankara/#gs.7i06re

venerdì 19 aprile 2019

Dia do Indio per alcuni. Día del Aborigen Americano per altri. Ricorre, oggi, la Giornata Nazionale dell’Indio.


Ogni anno la giornata del 19 di Aprile è dedicata agli Indios, il popolo che abitava il Brasile prima che i Portoghesi sbarcassero nel 1500.

Commemorazione voluta nel 1943 dall’allora presidente Getulio Vargas, e da allora il 19 Aprile in tutto il Brasile si festeggia il “Dia do Índio”, la giornata dell’Indio, giorno in cui alcune delegazioni indigene decisero di partecipare al Primo Congresso Indigeno Latino Interamericano, avvenuto in Messico nel 1940. Tuttavia gli Indios , non si presentarono durante il primo giorno della manifestazione essendo stati per secoli perseguitati, aggrediti e decimati dall’ “uomo bianco “. Tuttavia dopo riunioni e riflessioni alcuni leader indigeni decisero di partecipare al Congresso, era il 19 di Aprile che fu pertanto scelta come data nel continente americano, per commemorare il Dia do Índio.



Secondo Survival International, il nuovo presidente del Brasile Jair Bolsonaro ha inaugurato la sua Presidenza nel peggiore modo possibile per i popoli indigeni: «La decisione di togliere al Funai (Fundação Nacional do Índio) la responsabilità di demarcare le terre indigene per affidarla al ministero dell’agricoltura è praticamente una dichiarazione di guerra ai primi popoli del paese. Tereza Cristina, il nuovo ministro dell’agricoltura, si oppone da tempo ai diritti territoriali indigeni ed è a favore dell’espansione dell’agricoltura all’interno dei loro territori. E’ un assalto ai diritti, alle vite e ai mezzi di sussistenza dei popoli indigeni del Brasile: se le loro terre non saranno protette, rischiano il genocidio. E intere tribù incontattate potrebbero essere spazzate via».

Per Survival, «Questo attacco ai primi popoli del paese è anche un attacco al cuore e all’anima stessa della nazione. Il furto dei territori indigeni getta infatti le basi per la catastrofe ambientale. I popoli indigeni sono i migliori conservazionisti e custodi del mondo naturale: le prove dimostrano che sanno prendersi cura dei loro ambienti e della fauna meglio di chiunque altro».



Ma gli indios annunciano resistenza e l’Articulação dos Povos Indígenas do Brasil (Apib) sottolinea: «Per coloro che avevano dubbi sugli interessi che Bolsonaro rappresenta, già nel suo primo giorno di governo, ha chiarito il suo impegno per ciò che sta dietro a tutto in Brasile. A cominciare dalla Medida Provisória número 870 del 1° gennaio 2019, ha riconosciuto il suo debito verso la Bancada Ruralista e ha trasferito sotto la responsabilità del ministero dell’agro-business l’identificazione, la delimitazione, la demarcazione e la registrazione delle terre indigene, che storicamente erano attribuzioni del Funai, data la sua missione di proteggere e promuovere i diritti delle popolazioni indigene».


Secondo la federazione dei popoli indigeni, «Bolsonaro e i colonnelli della Banccada Ruralista sanno che per mettere più terra sul mercato, dovranno rendere impossibile delimitare terre indigene, quilombolas, gli insediamenti della riforma agraria e le unidades de conservação. Ma sanno anche che il mondo tende a un nuovo modo di produrre e consumare e non esiteranno a denunciare questo governo e l’agri-business ai quattro angoli del mondo, denunciando e chiedendo l’adozione e il rispetto delle salvaguardie sociali e ambientali necessari al fedele adempimento dei nostri diritti costituzionali. Siamo preparati, non ci ritireremo, non rinunceremo ai diritti conquistati, per non parlare dei nostri territori, per onorare l’accordo tra Bolsonaro ei suoi colonnelli».

L’Apib – alla quale aderiscono alla quale aderiscono Articulação dos Povos e Organizações Indígenas do Nordeste, Minas Gerais e Espírito Santo (Apoinme, 64 popoli indigeni), Articulação dos Povos Indígenas do Sudeste (Arpin Sudeste), Articulação dos Povos Indígenas do Sul (Arpinsul), Comissão Guarani Yvyrupa, Conselho do Povo Terena, Grande Assembléia do Povo Guarani (Aty Guasu), Coordenação das Organizações Indígenas da Amazônia Brasileira (Coiab – sottolinea: «Noi indigeni rispettiamo i nostri antenati e ci impegniamo a favore delle generazioni future, siamo pronti a difendere i nostri modi di vita, la nostra identità e i nostri territori con le nostre vite e invitiamo la società brasiliana a unirsi alla nostra lotta in difesa di un paese più giusto, solidale e del nostro diritto di esistere. Per questo l’ Articulação dos Povos Indígenas do Brasil- APIB Associazione dei popoli indigeni del Brasile-Apib raccomanda che ogni Stato, organizzi l’avvio di una azioni popolare, chiedendo legalmente l’annullamento degli atti del presidente Jair Bolsonaro Messias, che distruggono praticamente tutta la politica indigena brasiliana. Demarcação Já!!!!»,



E l’Apib è passata dagli appelli ai fatti: ha presentato una denuncia per chiedere la sospensione degli atti approvati da Bolsonaro per violazione della Costituzione, delle leggi.

Anche gli indios Aruak, Baniwa e Apurinã annuncianmi resistenza contro il neofascista Bolsonaro: «Non vogliamo essere spazzati via dalle azioni di questo governo. Le nostre terre giocano un ruolo fondamentale nel preservare la biodiversità”.“Siamo persone, esseri umani, il nostro sangue è come il suo Signor Presidente; nasciamo, cresciamo… e poi moriamo nelle nostre terre sacre, come ogni persona sulla Terra. Siamo pronti al dialogo, ma siamo anche pronti a difenderci».

il direttore generale di Survival, Stephen Corry, promette l’appoggio della sua ONG: «Survival International è da 50 anni al fianco dei popoli indigeni del Brasile , per la loro sopravvivenza, per la protezione dei territori a più alta biodiversità del Paese, per la salute del nostro pianeta e per tutta l’umanità” ha dichiarato. Continueremo a lavorare instancabilmente perché i loro diritti e le loro terre siano pienamente rispettati e difesi».




Guarani e Kaiowá lançam campanha contra revisão de demarcações