Ma cosa manca a Rodotà?
di Arturo Di Corinto
E' un padre nobile della sinistra. Giurista insigne,
conosce la Costituzione a menadito. Ha insegnato alla Sorbona e al
Collegio di Francia. E fa il pieno di applausi dei giovani nei festival
letterari, del diritto, della legalità. Ecco chi è il prof che il pd
Fassina definisce "uno sconosciuto"
Capelli bianchi da vecchio saggio, occhi chiari e curiosi. Mimica
teatrale e gesticolazione garbata. Un fascinoso ottantenne dal
piglio giovanile, ben vestito pure in maniche di camicia. Un volto
che ricorda le origini magnogreche e manifesta la "nobile
semplicità e la quieta grandezza" della statuaria neoclassica.
Tanto discreto sulla sua vita privata quanto estroverso in
pubblico. Elegante nei modi, riservato anche con gli amici.
Tollerante verso tutte le opinioni ma determinato nelle
convinzioni. Flessibile nell'ascolto ma rigoroso sulle idee.
Attento coi giovani, sfuggente coi seccatori. Amante delle buone
conversazioni, ma sempre pronto ad andare dal dentista quando
parlare diventa inutile.
Stefano Rodotà è così. Un colto globetrotter che, dopo essersi autorottamato - «alla fine del mio secondo incarico alla Privacy», dice lui - non ha mai smesso di leggere, studiare e girare il mondo per continuare ad imparare. Per portare in giro le idee e dare battaglia sui diritti.
Già i diritti: ai beni comuni, alla riservatezza, all'informazione, alla manifestazione del pensiero, alla salute, al lavoro, al reddito, all'esistenza. Sempre declinati nella cornice del Diritto, di quella giurisprudenza da lui tanto amata che, al pari della società, vede come un corpo vivo e in costante trasformazione, non come qualcosa di fisso e immutabile.
Una pratica e una teoria che, con un gioco di parole, è diventato il titolo del suo ultimo libro: "Il Diritto di avere diritti". Tenace difensore dei beni comuni, anche negli ultimi vittoriosi referendum su acqua e nucleare, ha condotto molte battaglie per i diritti civili e l'autodeterminazione delle donne e degli uomini. Attivista per la libertà della rete e il pluralismo dell'informazione, fedele osservante della Costituzione, è un vero "garantista".
Stefano Rodotà è così. Un colto globetrotter che, dopo essersi autorottamato - «alla fine del mio secondo incarico alla Privacy», dice lui - non ha mai smesso di leggere, studiare e girare il mondo per continuare ad imparare. Per portare in giro le idee e dare battaglia sui diritti.
Già i diritti: ai beni comuni, alla riservatezza, all'informazione, alla manifestazione del pensiero, alla salute, al lavoro, al reddito, all'esistenza. Sempre declinati nella cornice del Diritto, di quella giurisprudenza da lui tanto amata che, al pari della società, vede come un corpo vivo e in costante trasformazione, non come qualcosa di fisso e immutabile.
Una pratica e una teoria che, con un gioco di parole, è diventato il titolo del suo ultimo libro: "Il Diritto di avere diritti". Tenace difensore dei beni comuni, anche negli ultimi vittoriosi referendum su acqua e nucleare, ha condotto molte battaglie per i diritti civili e l'autodeterminazione delle donne e degli uomini. Attivista per la libertà della rete e il pluralismo dell'informazione, fedele osservante della Costituzione, è un vero "garantista".
Probabilmente è per questo che viene considerato da tanti una 'riserva della Repubblica'. Soprattuto oggi, in uno scenario politico così incerto. Riserva in senso di risorsa. E lui lo sa ma non lo ammette e si schermisce e imbarazza quando glielo dicono.
Ma è questo il motivo per cui ha accettato la proposta avanzata dall'elettorato grillino e fattagli, viva voce, da Beppe Grillo, la sera di mercoledì 17, poco prima delle 18. Dopo che sia Milena Gabanelli sia Gino Strada, entrambi davanti a lui nelle Quirinarie, avevano declinato la stessa proposta. Un colloquio di pochi minuti fatto di risate e e battute spiritose.
Da lì è cambiato tutto e la cronaca delle prossime ore ci dirà come va a finire. Infatti, il pressing su Stefano Rodotà perché ceda il passo a Romano Prodi e convinca i Cinque Stelle a votare l'ex presidente ulivista della Commissione Europea, pare destinato a fallire.
Un esito che non dipende da Stefano Rodotà ma da chi lo ha candidato e da chi non lo ha fatto. Stamattina ha dichiarato: "Non intendo creare ostacoli a scelte del movimento [Cinque Stelle, nda] che vogliano prendere in considerazione altre soluzioni". Perchè si è espresso così? Perchè il M5S non molla e se Rodotà si ritirasse, i pentastellati candiderebbero Zagrebelsky e non Prodi. Quindi sarebbe inutile. E' il Pd che deve accettare la proposta dei cinquestelle che oggi hanno dichiarato: «E'il presidente dei cittadini e non dei partiti». «Qualunque nome indicherà Rodotà per formare un nuovo esecutivo, una volta presidente, a noi andrà bene».
La domanda che si pone allora è: perché il Pd non accetta di convergere su Rodotà? E' un tecnico. Giurista insigne, professore emerito di Diritto Civile, già in predicato di andare alla Consulta. Conosce la Costituzione a menadito e non perde occasione di citarne i migliori articoli, sia che parli in pubblico sia che scriva. Ha insegnato alla Sorbona e al Collegio di Francia. Dirige riviste di diritto ed è membro di numerosi comitati scientifici. E' anche un politico. E' stato parlamentare per diverse legislature con il Pci e la Sinistra Indipendente prima di aderire al Pds di cui è stato presidente per un breve periodo. E' stato anche vicepresidente della Camera, veste nella quale ha vissuto in prima persona l'elezione di Luigi Scalfaro.
Insomma Rodotà è un fedele interprete e custode della Costituzione, sa come funziona il Parlamento ed è un padre nobile della sinistra, è molto popolare nei movimenti, è amato sia da chi lo legge su Repubblica (o sul Manifesto), che dagli spettatori di Ballarò. Fa il pieno di pubblico nei festival letterari, del diritto, della legalità, e viene osannato da studenti e intellettuali. Non ama inciuci e compromessi ed ha la dignità dello statista.
Nessun commento:
Posta un commento