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sabato 26 aprile 2014

Sentenza shock a Beirut, ma in senso positivo

Diritti. L’assoluzione di una transessuale accusata di aver fatto sesso con un uomo fa ben sperare, ma la strada resta lunga. «Un gay qui non avrà mai il coraggio - o per lo meno adesso non ce l’ha - di raccontarsi in tv»



Di  Beatrice Cassina, BEIRUT, 26.4.2014

Lo scorso 28 gen­naio, il tri­bu­nale di Jdei­deh a Bei­rut, nella per­sona del giu­dice Naji El Dah­dah, ha spiaz­zato una buona parte dell’opinione pub­blica e, sicu­ra­mente in senso posi­tivo, la comu­nità lgbt (lesbi­che, gay, bises­suali e tran­ses­suali), rive­lando un’apertura di vedute dav­vero inspe­rata. L’accusa era, nei con­fronti di una tran­ses­suale, di avere avuto rap­porti ses­suali con un uomo. Ma que­sta volta, l’incerta impal­ca­tura della legge 534 è crol­lata al suolo. Per­ché, ha soste­nuto il giu­dice che ha respinto il caso, non si è nep­pure potuto par­lare di rap­porto tra due per­sone dello stesso sesso, dato che una delle due era tran­ses­suale, quindi donna.

«La realtà del Libano», rac­conta Tarek Zei­dan, atti­vi­sta impe­gnato con l’organizzazione che com­pie oggi dieci anni Helem, e con la rivi­sta Barra, entrambe dedi­cate alla difesa dei diritti lgbt, «qui è molto diversa da tutti gli altri paesi del Medio Oriente, dove esi­stono ancora leggi anti­so­do­mia. Qui non abbiamo leggi di que­sto tipo, ma ne esi­ste tut­ta­via una, la 534, che puni­sce gli atti ses­suali “con­tro natura”». Cosa signi­fica però «con­tro natura», ovvio, dipende molto da chi la legge la inter­preta e la applica. Se si viag­gia a ritroso di solo pochi anni, ci si rende conto che tante cose stanno cam­biando rapi­da­mente. Se un tempo si poteva rischiare real­mente di pas­sare una o più notti in pri­gione, di essere tor­tu­rati, spo­gliati, umi­liati, adesso quest’eventualità è diven­tata sem­pre meno pos­si­bile anche se tutto, comun­que, dipende sem­pre da chi giu­dica. «A volte — pro­se­gue Zei­dan -, in pro­cessi simili a que­sto, se chi sta valu­tando il caso vuole pro­prio arri­vare a una sen­tenza di col­pe­vo­lezza, pos­sono essere aggiunte accuse di spac­cio di droga o pro­sti­tu­zione, dato che molti tran­ses­suali, non tro­vando facil­mente lavoro, arri­vano spesso a ven­dere il pro­prio corpo». Ma il vero pro­blema è rap­pre­sen­tato da quella legge molto con­fusa che dice tutto e niente, che sen­ten­zia come una sibilla chi deve, può, non può essere condannato.

Cosa vuol dire «sesso nor­male»? Fino alla sto­rica sen­tenza del dicem­bre 2009, il rap­porto omo­ses­suale vali­cava sicu­ra­mente la linea della lega­lità. Ma, dopo quella data, in cui il giu­dice aveva sen­ten­ziato che un rap­porto ses­suale tra due uomini non è con­tro natura, l’aria ha comin­ciato a essere un poco più leg­gera. «Di fatto — aggiunge ancora Zei­dan — il giu­dice aveva detto sem­pli­ce­mente che le due per­sone denun­ciate, due uomini in que­sto caso, non anda­vano pro­ces­sate secondo la legge 534, ma solo per pub­blica decenza». Da allora sono comin­ciate ad arri­vare altre pic­cole vit­to­rie. L’associazione degli psi­co­logi ha tolto l’omosessualità dalla lista delle malat­tie. Il sin­da­cato dei medici ha deciso che nes­sun medico coo­pe­rerà più con le forze dell’ordine per valu­tare se una per­sona è gay o no, dopo che, nel 2011, in uno show tele­vi­sivo, è stato mostrato un cinema gay dove non si vedeva nes­suna pre­senza di poli­zia (per man­te­nere la sicu­rezza, dicono). La poli­zia è stata presa in giro, ma è arri­vata velo­ce­mente e ha arre­stato circa 30 per­sone. Impet­titi allora nelle loro divise, i poli­ziotti ave­vano chie­sto di far valu­tare a medici se le per­sone nel cinema fos­sero gay attra­verso visite molto par­ti­co­lari. «Hanno addi­rit­tura tro­vato una legge fran­cese del 1920, dico, del 1920! — dice Tarek infa­sti­dito -, in cui si spie­gava come deci­dere se un uomo è gay. Senza entrare in par­ti­co­lari inu­tili e spia­ce­voli, sono state usate delle uova di pla­stica e tre per­sone sono state rite­nute essere omo­ses­suali». Quest’anno invece, il caso è stato quello di un uomo che è stato tro­vato in mac­china con una tran­ses­suale. «Il fatto che ci fos­sero state altre sen­tenze negli ultimi anni a favore della comu­nità gay, ha aiu­tato molto. In que­sto caso poi, hanno rico­no­sciuto che il tran­ses­suale non è un uomo ma ormai una donna, e quindi il cri­mine pro­prio non sus­si­ste. Lo so, la legge è molto vaga, impre­cisa. Quello che ancora è molto vero è che se c’è un giu­dice omo­fobo pos­siamo ancora avere molti pro­blemi. Dipende dav­vero tutto da quello che pensa e crede il giu­dice. La cosa posi­tiva però è che ci sono state sen­tenze a nostro favore di cui gli altri giu­dici, in futuro, dovranno sem­pre e comun­que tenere conto».

Ten­tare di cam­biare la legge, ancora, è rite­nuto peri­co­loso. «Anche se que­sti giu­dici sono stati molto aperti e com­pren­sivi — spiega Tarek — dob­biamo ricor­darci che il Libano ancora non lo è. Abbiamo biso­gno del 50% della gente. Se in Ara­bia Sau­dita le cose sono molto chiare e non ci si può sba­gliare (pur­troppo), qui toc­care la legge potrebbe anche por­tarci nella dire­zione oppo­sta rispetto a quello che vogliamo real­mente rag­giun­gere. Non pos­siamo, non dob­biamo par­lare di cam­biare la legge, se prima non pre­pa­riamo la gente, la società. Stiamo lavo­rando con le forze dell’ordine così che, se doves­sero mai arre­stare un gay, la poli­zia non lo tor­turi, e che un tran­ses­suale non va messo in una cella con uomini. Ecco, noi adesso stiamo lavo­rando con medici, avvo­cati, abbiamo comin­ciato anche a lavo­rare con inse­gnanti e stu­denti, con le nuove gene­ra­zioni. Lavo­rare con la società in gene­rale è altret­tanto impor­tante ed è dav­vero l’unico modo per rag­giun­gere tutti. Meglio ancora se ci aiu­te­ranno i media, come per altro stanno già facendo. La tele­vi­sione può essere molto utile, ma qui in Libano (siamo un paese dav­vero molto pic­colo), un gay non avrà mai — o per lo meno adesso non l’ha — il corag­gio di andare in tele­vi­sione a rac­con­tare la pro­pria sto­ria, come fanno invece negli Stati Uniti e in Europa. Aveva comin­ciato a farlo negli Stati Uniti Jerry Sprin­ger, poi Oprah Win­frey… Loro hanno par­lato con gay, lesbi­che, tran­ses­suali dei loro pro­blemi di tutti i giorni. La gente ascolta, si com­muove con Oprah, capi­sce e comin­cia a rispet­tare di più chi è diverso. Le nuove gene­ra­zioni sono sicu­ra­mente la spe­ranza, ma è anche vero che i gio­vani spesso non hanno il corag­gio di par­lare con la pro­pria fami­glia. Ma credo sia un per­corso che, una volta par­tito ed è par­tito!, con­ti­nuerà a pro­ce­dere senza grandi pro­blemi, anche se la strada è com­pli­cata. In Medio Oriente e in Asia ci sono molte influenze dall’Islam e spesso le situa­zioni sono dav­vero dif­fi­cili, soprat­tutto nelle regioni dei vil­laggi, lon­tano dai grandi cen­tri metro­po­li­tani. Ci vuole un per­corso che non s’interrompa e che pro­ceda con con­ti­nuità, anche se len­ta­mente. Dob­biamo pro­se­guire, ma non con i modi che sono stati usati da Usa o Europa. Dob­biamo par­tire dal modo in cui le per­sone pen­sano qui, e aiu­tarle a vedere que­sta realtà con occhi diversi. Non dob­biamo agire come in Occi­dente, per­ché sarebbe facile accu­sarci di essere un loro pro­dotto che ha solo sna­tu­rato la nostra iden­tità. Biso­gna far capire che gay, lesbi­che, bises­suali ci sono sem­pre stati. Ma dob­biamo stare anche molto attenti a non aprire un vaso di Pan­dora. Pos­siamo cri­ti­care la Chiesa, la Moschea ma, se comin­cias­sero a com­bat­terci, noi non avremmo modo di difen­derci, visto che la legge non ci pro­tegge. Nes­suno ci pro­tegge, il sistema poli­tico non con­si­dera i diritti umani come la cosa più importante».

Ma intanto, que­sto eser­cito paci­fi­sta e com­bat­tivo, ha già comin­ciato a con­fron­tarsi nelle uni­ver­sità (come nell’American Uni­ver­sity of Bei­rut). Ci sarà pre­sto un incon­tro in cui per­sone omo­ses­suali potranno avere un’occasione per par­lare delle pro­prie dif­fi­coltà nella vita di tutti i giorni, a casa, a scuola, con la gente in gene­rale, con la ricerca di un lavoro, è una prima impor­tante occa­sione per par­lare di qual­cosa che è stato igno­rato per tanto, troppo tempo. Comun­que, il vero obiet­tivo, per comin­ciare, è dav­vero quello di far capire alla gente un punto di vista diverso, quello di un omo­ses­suale. «Abbiamo biso­gno di per­sone etero che ci capi­scano, ci appog­gino, che ci aiu­tino a far capire che non c’è niente di cui avere paura. Alla fine vor­remmo che tutto fosse natu­rale. Come abbiamo aiu­tato, e aiu­tiamo tut­tora, i rifu­giati pale­sti­nesi, siriani, gli han­di­cap­pati, gli anziani, ecco! dovremmo aiu­tarci tra noi tutti. La gente potrebbe final­mente capire che non esi­ste peri­colo. Pro­prio Geor­ges Azzi, uno dei fon­da­tori di Helem e oggi diret­tore dell’organizzazione, con base a Bei­rut, Affe (Arab Foun­da­tion for Free­doms and Equa­lity), lavora in tutto il Medio Oriente per dif­fon­dere una cul­tura di tol­le­ranza. Non è sem­plice per chi vive in città ma, per esem­pio, in un pic­colo vil­lag­gio sulle mon­ta­gne, anche solo par­lare con la pro­pria fami­glia diventa dav­vero impos­si­bile. Qui, nell’ufficio nella zona di Ash­ra­fieh , aiu­tano a orga­niz­zare pro­grammi da por­tare in tanti paesi medio­rien­tali e nor­da­fri­cani, aiu­tano a pre­pa­rare atti­vi­sti in Marocco, Tuni­sia, Egitto, ovun­que, e ci si occupa di sicu­rezza, sup­porto, diritti, pro­blemi sanitari.

«Tra le dif­fi­coltà più grandi — spiega Geor­ges -, esi­ste non tanto la chiu­sura det­tata dal pro­prio credo reli­gioso, ma da dif­fe­renze sociali molto grandi. La parte di popo­la­zione più dif­fi­cile per par­lare di omo­ses­sua­lità è sicu­ra­mente quella di gente che vive nelle zone rurali, lon­tane dalla città, che sono sem­pre le più con­ser­va­trici. Que­sto suc­cede sia in Libano che in un qual­siasi altro paese medio­rien­tale. E la “novità” dell’omosessualità, in que­sti casi, fa ancora molta paura. La nostra sfida è sem­pli­ce­mente quella di pre­pa­rare la gente a par­larne e ascol­tare senza troppi pregiudizi».


venerdì 18 aprile 2014

Scrittore colombiano Gabriel García Márquez muore all'età di 87 anni

Nato 6 marzo 1927, García Márquez è considerato uno dei più importanti autori della letteratura contemporanea. Tra le sue opere più memorabili .
Notizia di un sequestro (Noticia de un secuestro, 1996)
Cronaca di una morte annunciata (Crónica de una muerte anunciada, 1981)
Cent'anni di solitudine (Cien años de soledad, 1967


Lo scrittore Gabriel Garcia Marquez, premio Nobel per la letteratura, è morto il Giovedi (17) all'età di 87 anni.



Darei valore alle cose non per quello che valgono
ma per quello che significano.

Dormirei poco, sognerei di più.

So che per ogni minuto che chiudiamo gli occhi
perdiamo 60 secondi di luce di cioccolata.

Se Dio mi concedesse un brandello di vita,
vestito con abiti semplici, mi sdraierei, al sole
e lascerei a nudo non solo il mio corpo
ma anche la mia anima.

Dio mio, se avessi cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio
e aspetterei che si alzasse il sole.

Dipingerei le stelle con un sogno di Van Gogh.
con un poema di Benedetti, una canzone di Serrat
sarebbe la mia serenata alla luna.

Bagnerei con le mie lacrime le rose
per sentire il dolore delle spine
ed il bacio vermiglio dei petali.

Dio mio, se io avessi ancora un brandello di vita
non lascerei passare un solo giorno
senza dire alla gente che io amo, io amo la gente.

Convincerei ogni uomo ed ogni donna
che sono i miei favoriti
e vivrei innamorato dell'amore.

E dimostrerei agli uomini quanto sbagliano
quando pensano di smettere di innamorarsi
quando invecchiano senza sapere che invecchiano
quando smettono di innamorarsi.

Darei ad ogni bambino le ali
ma lo lascerei imparare, da solo, a volare.

Ai vecchi insegnerei che la morte
non arriva con la vecchiaia ma con l'oblio.

Ho imparato molte cose da voi, dagli uomini...
Ho imparato che tutti, al mondo,
vogliono vivere in cima alla montagna
senza sapere che la vera felicità
sta in come si sale la china.

Ho imparato che quando un neonato afferra,
per la prima volta, con il suo piccolo pugno,
il dito di suo padre, lo terrà prigioniero per sempre.

Ho imparato che un uomo
ha diritto di guardare un'altro uomo
dall'alto verso il basso solo quando lo aiuta a rialzarsi.

Sono tante le cose che ho potuto imparare da voi
ma non mi serviranno davvero più a molto
perchè quando guarderanno in questa mia valigia,
infelicemente io starò morendo.


Gabriel García Márquez 

25th Annual GLAAD Media Awards 2014


I GLAAD Media Awards sono premi annuali, creati nel 1990, assegnati dalla Gay & Lesbian Alliance Against Defamation alle persone che hanno promosso la parità e l'uguaglianza dei diritti per la comunità LGBT (Lesbiche, gay, bisessuali e transgender). 

La premiazione si è svolta sabato sera (12 aprile) a Los Angeles, all'Hotel Beverly Hilton. A premiata, Jennifer Lopez, che ha ricevuto l'onore più grande,per il suo sforzo nell'aumentare la visibilità e la comprensione della comunità LGBT.

Il premio viene consegnato alle persone legate al mondo della comunicazione e dello spettacolo che con il loro lavoro si battono a favore dei diritti per gli omosessuali. Negli anni passati è stato assegnato a star del calibro di Elizabet Taylor, Cher, Janet Jackson, Sharon Stone.

Ma la cantante oltre ad essere una sostenitrice dei diritti gay, ha ricevuto anche una statuetta come produttore esecutivo della serie ABC "The Fosters", la storia di una coppia lesbica che cresce i suoi figli.




Jennifer Lopez, discorso : "Siamo molto orgogliosi di questa serie perché sta facendo sì che le persone giovani si sentano amate e comprese, che è poi quello che mia zia Rita ha fatto con me quando ce n’era bisogno
Sapevo che la serie avrebbe incontrato difficoltà, ma ho deciso di ascoltare il mio cuore e le mie emozioni e ho deciso di andare avanti. Ho sempre sentito un grande amore nei confronti della comunità lesbica, gay, bisessuale e transessuale.

Il mondo sta cambiando e questo è dovuto al fatto che l’amore è più forte dell’odio. L’amore è amore. E questo è quello che dico ai miei figli [Emme Maribel Muñiz, Ariana Anthony, Cristian Marcus Muñiz,Maximilian David Muñiz, Ryan Adrian Muñiz, ndr] tutti i giorni."

La vincitrice dell’Oscar di quest’anno come Miglior Attrice Non Protagonista Lupita Nyong’o è stata nominata presentatrice della 25° edizione dei GLAAD Media Awards.


Altro premio importantissimo è andato Laverne Cox, conosciuta al grande pubblico come Sophia di Orange is the new black. A premiarla è stata Ellen Page che ha ricordato come l’attrice abbia rivoluzionato la presenza delle persone transgender nella televisione americana. Come sempre Laverne Cox è stata fantastica, «Per anni ho cercato di affermarmi come attrice, ma mi è sempre stato risposto che non era possibile, che i produttori non sapevano cosa farsene di me». Ma alla fine ce l’ha fatta. Grazie alla sua persistenza, ma anche grazie a Jenji Kohan, autrice di Orange is the new black. Tra le tante cose, Laverne ha ricordato la storia di Monica Jones, una transessuale arrestata a Phoenix, in Arizona, con l’accusa di prostituzione solo perché camminava per strada.


Alla fine del suo discorso, Laverne Cox è stata raggiunta sul palco dalla madre. Ed è stato un momento davvero emozionante (anche perché lei era davvero emozionata).


Tra le tante celebrity presenti sabato, anche Naomi Campbell che, chiamata per presentare Ellen Page, ha espresso il suo sostegno affinché «il mondo della moda possa includere modelle transessuali sulle passerelle» e ha salutato Lea T e  Carmen Carrera, le modelle transessuale che hanno conquistato le copertine dei più importanti magazine di moda.

Tra i numerosi vincitori, a trionfare alla lotta alla discriminazione. Vincitore come TV Movie, lo straordinario Behind The Candelabra con Matt Damon e Michael Douglas, mentre il Pioneer Awards è andato a Norman Lear, storico produttore di serie indimenticabile come All in the Family e I Jefferson. Tra i numerosi ospiti alla cerimonia anche  Chaz Bono.

Ecco i vincitori della giornata di sabato:
• Pioneer Award: Norman Lear

• Vanguard Award: Jennifer Lopez

• Stephen F. Kolzak Award: Laverne Cox, star di "Orange Is the New Black"

• International Advocate for Change Award: Manny de Guerre, fondatore del Side by Side LGBT Film Festival a San Pietroburgo, Russia

• Documentario: TIE : “Bridegroom” (Virgilio Film / OWN) e "Call Me Kuchu" (Cinedigm)

• serie drammatica: "I Fosters" (ABC Family)

• film tv o miniserie: "Behind the Candelabra" (HBO)

• programma di realtà: "Big Freedia: Queen of Bounce" (Fuse)

• dramma quotidiano: "“Days of Our Lives” (NBC)


.Newspaper Article: “LGBTQ in the Capital” (series) by Melissa Griffiths (Juneau Empire [Juneau, Alaska])

• Digital Journalism – Multimedia: “We Are Here: LGBTI in Uganda” by Sunnivie Brydum, D. David Robinson (Advocate.com)

• Music Artist: Tegan and Sara, Heartthrob (Warner Bros. Records)

• Comic Book: “Young Avengers,” written by Kieron Gillen (Marvel Comics)

Spanish-language nominees:

• Talk Show Interview: TIE: “Debate por la igualdad” Al Punto (Univision) and “Decisión Histórica” Sin Límites con Elizabeth Espinosa (CNN en Español)

• Local TV Journalism: “Natalia: rompiendo barreras” Noticiero Telemundo Arizona (KTAZ-39 of Phoenix, Ariz.)

• TV Journalism Segment: “Decisión Histórica” Noticiero Telemundo (Telemundo)

• Digital Journalism – Multimedia: “Eric y Juan, un matrimonio feliz a pesar de todo” by Fernando Mexia (EFE.com)

Jennifer Lopez



Laverne Cox




Salvador Camarena and Ross Mathews




Lupita Nyong’o



Naomi Campbell



Maria Menounos



Kat Graham




Rita Moreno



                               Carmen Carrera     

Chaz Bono

Eric Dane and Rebecca Gayheart



giovedì 17 aprile 2014

India: la Corte Suprema ha riconosciuto il diritto dei transessuali a essere considerati come «terzo sesso» sui documenti legali




La Corte Suprema indiana ha riconosciuto Martedì  15/04/2014  il diritto dei transessuali a essere considerati come «terzo sesso», né maschio né femmina, una decisione accolta con soddisfazione da gruppi di militanti. 


Una sezione del massimo organo giudiziario, composta dai giudici K.S.Radhakrishnan e A.K.Sikri, ha stabilito che i transessuali devono avere gli stessi diritti degli altri cittadini e che devono essere considerati come minoranza da tutelare. Il che significa che possono accedere alle “quote riservate” ad alcune minoranze e caste inferiori nelle scuole e nella pubblica amministrazione nell’ambito delle politiche di discriminazione positiva. È previsto che abbiano accesso al sistema sanitario e anche il diritto a usufruire di bagni pubblici separati. La Corte, inoltre, ha chiesto al governo e agli Stati di avviare programmi di “welfare” e campagne di sensibilizzazione. Il ricorso è stato presentato nel 2012 da un gruppo guidato da Laxmi Narayan Tripathi, un attivista eunuchi e transessuali nota per la sua lotta per il riconoscimento dei loro diritti.

All'inizio di aprile, la più alta corte in Australia ha stabilito che una persona possa essere riconosciuta dallo stato civile come sesso neutre rispetto al genere, uno dei pochi paesi a riconoscere un terzo genere. 

Nel frattempo, la Germania e Nepal permettono ai loro cittadini di mettere una X nella "sesso" box passaporto.

In India , la stessa Corte di Cassazione nel mese di dicembre ha rifiutato di depenalizzare l'omosessualità , che resta un reato. La sentenza ridà speranza alla battaglia della comunità Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali) diretta a ottenere l’abolizione del vecchio e obsoleto articolo 377 del Codice penale indiano che vieta il `sesso contro natura´ come la sodomia e la fellatio. Rovesciando una precedente decisione di una corte inferiore del 2009, lo scorso dicembre la Corte Suprema aveva reintrodotto la disposizione in base alla quale i rapporti tra omosessuali sono illegali.

Oliwer Mastalerz: il modello transessuale(FtM) che sta attirando l'attenzione del mondo della moda.



Che voi ci crediate o meno, Oliwer Mastalerz era una donna. Ed oggi è un gran figo, polacco e poco più che ventenne, nonché modello

Lui e diventato una febbre nelle rette sociale a causa del suo blog personale, in cui rivela passo dopo passo la transizioni da femmina a maschio (ftm).



Al primo sguardo, il polacco Oliwer Mastalerz richiama l'attenzione del pubblico soprattutto femminile per il suo corpo definito e con la barba lunga. Quello che poche sanno e che il ragazzo 21 anni, era in realtà nato ragazza.


Mastalerz è diventato famoso su internet per conta del suo blog, che rivela la sua transizioni giornaliere da femmina a maschioo - tornandosi un riferimento per gli altri che sono nella sua stessa condizione.

Adesso anche la moda e interessata a Oliwer, il giovane ha appena posato per la campagna di Terry Richardson per un brand maschile brasiliano.


Performance ' Gender Obsolescence' sorprendi nel rompere concetti sul sesso, genere e identità.


JULIUS KAISER e' videomaker, drag king e performance artist. La sua ricerca artistica ha origine nell'ambito della sperimentazione che indaga i ruoli sociali di genere proponendo una visione fluida degli stessi coerentemente con le teorie filosofiche Queer. 

L'incontro con l'artista Kyrahm ha determinato una prospettiva artistica ai contenuti di tale indagine, dando vita a performance sperimentali ottenendo riconoscimenti a livello internazionale. Lavora anche come videomaker realizzando videoclip e documentari, organizza workshop.

Insieme operano sia nella scena underground che nell'ambito dell'arte contemporanea presso gallerie, musei e rassegne internazional, organizzano seminari ed eventi.

Corpi nudi allineati, maschere d'oro che rivelano e nascondono l'identità.

Un rituale solenne che promette porre fine con sottigliezza, la sorpresa e la forza con le etichette e le aspettative di genere e le loro identità.

Nella ormai famosa performance " Gender Obsolescence" [ho meglio Human Installation], della coppia italiana Kyrahm e Julius Kaiser , aver penis, vagine, seno non dice molto su chi sei, soprattutto se si intende tali attributi come determinanti per le identità .

Al contrario, se allineati, strapazzate o [ri] costruiti, fanno parte di una ricca composizione delle possibilità di personaggi nelle transizioni costanti e incontri personali. 

Al suono di “The Unfolding” di Lisa Gerrard e Pieter Bourke , ogni individuo mostra una parte di sua storia attraverso il corpo. Chi e un po attento
, riesci a distinguere leggermente: un uomo cis, un uomo trans, una donna trans e una donna cis. 

Ecco, allora, apparire sul palco un'altra creatura, che rimescola l'ovvio, subisce un altro processo: quello dell'abbigliamento con pantaloni, giacca e cravatta. E getta inconsciamente la domanda: Chi è chi? per i Frammenti, genitale, vestiti, l'esperienza e la quotidianità? 

Alla fine, rimuovono tutte le maschere e rivelano il meraviglioso complesso. 

nel testo che accompagna la comunicazione, gli autori non definiscono un / una transessuale come qualcuno che sta diventando un uomo o una donna. "E 'il ritorno al contrario. Il cambiamento del corpo di un uomo transessuale non vuol dire che sta diventando un uomo, ma che sta tornando ad essere un uomo.



La performance ha vinto al Festival di Berlino 2008 Film, Vincitore Sezione Performance Human Installation I: Obsolescenza del Genere
2009, Venezia, e IDKEX negli Stati Uniti. 



Attualmente può essere visto su Youtube, con le restrizioni di età e con oltre 1 milione di visualizzazioni.




Donna cis :l termine "cis" si riferisce a cisgênero , un concetto che identifica le persone che non sono trans *



giovedì 10 aprile 2014

UN ALTRO GENERE È POSSIBILE.


Campagna per ottenere il cambio del nome e del sesso anagrafico senza intervento chirurgico

Nel 1982 quando la Legge 164 venne emanata fu un’opportunità grandissima per le persone Trans.
Dopo 30 anni la Legge 164 è diventata il più grande ostacolo per le persone transessuali di emanciparsi dalla discriminazione.

Condizionare il cambiamento del nome e del sesso anagrafico all’intervento chirurgico fa sì che ogni persona Trans che non desidera o non può operarsi non può mai ottenere il cambiamento del nome.

In poche parole condanna le persone Trans non operate in un limbo giuridico da quale non potranno mai uscire.

E’ arrivato il momento di spezzare questa catena e di pretendere che in Italia sia possibile cambiare il nome anche per chi decide di NON operarsi.

L’identità sessuale è un diritto e non può essere condizionato dalla chirurgia.

Ecco perchè pensiamo sia urgente che venga approvata una nuova legge.

Esiste già una proposta per la quale ci batteremo politicamente.

Nel frattempo, se questo Parlamento non legifererà noi proporremo cause in ogni Tribunale d’Italia per ottenere, così come è già avvenuto a Roma, sentenze cheautorizzano il cambiamento del sesso e del nome anche senza l’intervento chirurgico.

Ogni persona Trans d’Italia che non desidera operarsi ma desidera avere il cambiamento del nome potrà unirsi alla nostra battaglia.

Se sei un persona Trans non operata che vuole cambiare nome e sesso contattaci a: altrogenerepossibile@gmail.com o chiama lo 051.271666

Se vuoi aderire e diffondere la campagna puoi scaricare il materiale qui.






Bullismo, condividi fino a farlo sparire


Le statistiche sul bullismo in Singapore sono probabilmente simili a quelle di molti altri paesi. Un sondaggio svolto nel 2006 tra 4.000 studenti tra i 7 e i 16 anni ha mostrato che



il 12,72% degli intervistati subiva atti di bullismo ogni settimana, cioè 4 ragazzi in una classe di 35

di tutti i 4.000 studenti il 94,7% riferiva di aver subito almeno un'esperienza di bullismo

il 31% affermava di subire sia il cyber bullismo che quello a scuola
e così via.


Nel sito che raccoglie questo sondaggio, la Coalition against bullying for children and youth, si possono trovare anche altri dati, come tabelle sul genere di vessazione più usata, sul mezzo utilizzato e altre informazioni. La CABCY ha anche realizzato una campagna contro il bullismo piuttosto coinvolgente. Consiste in un'animazione dal titolo Share it to end it che presenta le angherie che subisce un ragazzino ma la parte coinvolgente non è solo questa. Infatti, gli ideatori hanno pensato di far condividere il filmato su Facebook e, ad ogni condivisione, di accorciare leggermente il video fino a, condivisione dopo condivisione, farlo sparire del tutto, così come dovrebbe sparire definitivamente il bullismo. Su Internazionale dicono che ad ogni condivisione il video si accorcia di un millisecondo (il filmato dura 98 secondi, per cui per farlo sparire occorrerebbero 98 mila condivisioni, una bella sfida non c'è che dire).
http://shareittoendit.com/
http://shareittoendit.com/

mercoledì 9 aprile 2014

Mercoledì 9 Aprile 2014- Il giorno delle piccole vittorie dei diritti. Si progredisce per piccoli o piccolissimi passi in Italia.

Fecondazione assistita, Consulta: “Divieto di eterologa è incostituzionale”

Una vittoria del DIRITTO Alla procreazione”. Una vittoria della Costituzione contro una legge barbara che per dieci anni ha afflitto migliaia di coppie italiani che hanno problemi di sterilità. Un piccolo segno di Laicità.


La Corte Costituzionale dichiara incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa imposto dalla legge 40. Dopo dieci anni di sentenze che l'hanno smantellata, questo pronunciamento ha una portata storica: si potrà ricorrere a ovuli o spermatozoi di un terzo donatore quando uno dei due partner è sterile.
Una sentenza che demolisce uno dei cardini di questa norma arretrata, formulata per non scontentare i vescovi italiani.


I giudici dovevano valutare la questione su cui tre tribunali - Milano, Catania e Firenze - hanno sollevato dubbio di incostituzionalità. Quella della Consulta è una sentenza fortemente attesa dalle tante coppie che in questi anni si sono viste negare la possibilità di avere un figlio grazie alla provetta, scegliendo in molti casi di rivolgersi a centri esteri, spendendo moltissimi soldi e andando spesso incontro a truffe e problemi di salute.



Nozze gay, tribunale di Grosseto obbliga Comune a riconoscere matrimonio

Giudice dà ragione a due italiani sposati a New York Firenze, 9 apr. (TMNews) - Una coppia di uomini italiani si era sposata negli Stati Uniti nel dicembre 2012, a New York, e ora il tribunale di Grosseto ha emesso una sentenza per la quale il Comune deve trascrivere nei registri di stato civile il loro matrimonio.

Il giudice ha sottolineato che "non è individuabile alcun riferimento al sesso in relazione alle condizioni necessarie" al matrimonio. La sentenza dà ragione delle richieste della coppia gay formata da Giuseppe Chigiotti e Stefano Bucci, rispettivamente architetto e giornalista.

È un precedente unico in Italia, un Tribunale ha accolto la richiesta da parte di una coppia gay di trascrivere nei registi dello Stato Civile il proprio matrimonio. I due cittadini di Grosseto hanno ottenuto ciò che fino ad oggi è sempre stato negato dai comuni e dai tribunali: veder riconosciuto il loro status di coppia sposata in uno Stato estero”.

lunedì 7 aprile 2014

Usa, poste dedicano francobollo a Harvey Milk

Il servizio postale americano ha dedicato un francobollo a Harvey Milk. il primo che onora un uomo politico apertamente gay.


Harvey Bernard Milk (Woodmere, 22 maggio 1930San Francisco, 27 novembre 1978) è stato un politico statunitense, militante del movimento di liberazione omosessuale. Fu il primo componente delle istituzioni statunitensi apertamente gay.

Fu assassinato insieme al sindaco di San Francisco, George Moscone nel 1978 dall'ex consigliere comunale Dan White. Nel 2009 ilPresidente degli Stati Uniti Barack Obama ha conferito alla memoria di Milk la massima decorazione degli Stati Uniti, la Presidential Medal of Freedom, per il suo contributo al movimento per i diritti dei gay.


Milk è oggi ritenuto un martire della comunità gay e del movimento di liberazione omosessuale.
Molte istituzioni della collettività gay statunitense sono intitolate a Milk (tra queste l'Harvey Milk Institute e l'Harvey Milk Lesbian, Gay, Bisexual and Transgender Democratic Club di San Francisco)
Portano il suo nome alcune scuole a favore dei gay, come la Harvey Milk School di New York.
Un ristorante, presso l'Università di Warwick è stato chiamato “Harvey's”.
L'assemblea degli studenti dell'Università di Leeds ha chiamato un locale notturno “Harvey Milk Bar”.
Il 25 febbraio 2011 il consiglio comunale della città di Pescara ha approvato con una larga maggioranza la proposta, presentata il 17 maggio 2010 (Giornata internazionale contro l'omofobia e la transfobia), di intitolare una via cittadina ad Harvey Milk.


Anche il cinema si è occupato della vicenda di Harvey Milk:

La vita di questo politico è stata immortalata nel documentario The times of Harvey Milk (1984), che ha vinto l'Academy Award al miglior documentario.
Il film del 1999 Execution of justice, basato su un'opera teatrale (dallo stesso titolo) scritta da Emily Mann, ripercorre le fasi dell'assassinio.
Nel 2000 il film televisivo, American Justice: It's Not My Fault - Strange Defenses esamina l'assassinio usando filmati d'archivio su Milk e White.
Nel 2009 è uscito nelle sale un biopic sulla vita di Harvey Milk intitolato semplicemente Milk, diretto da Gus Van Sant ed interpretato da Sean Penn, il quale ha vinto l'oscar come miglior attore protagonista.
Il regista Bryan Singer ha avuto in progetto la realizzazione di un film, poi sospeso, intitolato The Mayor of Castro Street, biografia sulla vita di Milk.

Scuola: sì alla censura, no alla lotta all’omofobia. Parola di Bagnasco


di Alex Corlazzoli | 7 aprile 2014
http://www.ilfattoquotidiano.it/

Frocio, gay, checca, finocchio: quante volte ho sentito ragazzini di quinta elementare o della scuola media prendersi in giro in questo modo. Basta fare un giro tra i corridoi delle scuole all’intervallo o guardare sui muri dei cessi di un istituto secondario di primo grado per comprendere quanto sia urgente parlare di omofobia.

Chi forse non si è mai seduto su una panchina con i nostri ragazzini o con ogni probabilità non è mai entrato nel bagno di una scuola sono il neo ministro dell’istruzione Stefania Giannini e il presidente della Conferenza episcopale italiana, Angelo Bagnasco che hanno mosso una guerra contro tre opuscoli dal titolo “Educare alla diversità”, realizzati dall’Istituto scientifico Beck per conto dell’Unar, l’ufficio nazionale anti discriminazioni razziali nato sotto la direzione della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Una circolare del Ministero di viale Trastevere ha bloccato la diffusione nelle classi degli opuscoli incriminati.Una vittoria per Bagnasco che nei giorni scorsi aveva mosso una vera e propria crociata contro l’iniziativa dell’Unar: “In questa logica distorta e ideologica, s’innesta la recente iniziativa di tre volumetti che sono approdati nelle scuole italiane, destinati alle primarie e alle secondarie di primo e secondo grado. In teoria le tre guide hanno lo scopo di sconfiggere bullismo e discriminazione – cosa giusta –, in realtà mirano a “istillare” nei bambini preconcetti contro la famiglia, la genitorialità, la fede religiosa, la differenza tra padre e madre… parole dolcissime che sembrano oggi non solo fuori corso, ma persino imbarazzanti, tanto che si tende a eliminarle anche dalle carte. È la lettura ideologica del “genere” – una vera dittatura – che vuole appiattire le diversità, omologare tutto fino a trattare l’identità di uomo e donna come pure astrazioni”.

Immediato l’inchino del Governo alla voce grossa del cardinale. Ma che avevano di così terribile questi opuscoli da essere censurati?

Sono andato a leggermi quello dedicato alla scuola primaria: quarantotto pagine ben suddivise in schede informative rivolte agli insegnanti, una serie di strumenti utili per l’implementazione di una politica di lotta al bullismo e una proposta di lezioni da tenere in classe. Un lavoro scientifico, serio e professionale ma anche utile che parte da un presupposto che dobbiamo dirci con franchezza: “Gli insegnanti anche i più bravi e preparati, possono non essere perfettamente consapevoli della propria omofobia e rischiare, perciò, di minimizzare dei comportamenti omofobici, definendoli “ragazzate”. Oppure possono rendersi conto che sta avvenendo un atto di bullismo omofobico, ma si sentono soli e impreparati rispetto alla modalità di intervento”.


È vero, noi maestri, ci sentiamo sempre più soli, in trincea, senza un generale dietro che aiuti il suo esercito. Questi opuscoli erano uno strumento prezioso: il ministro ha preferito cestinarli (e con essi ha gettato 24.200 euro), chiudendo gli occhi di fronte alla realtà. E così l’Italia continuerà a restare ignorante, incapace di cogliere le rivoluzioni necessarie. Come ho già sostenuto altre volte è inutile parlare di adozioni gay, di matrimoni tra omosessuali se prima non creiamo una cultura capace di aprirsi alla diversità. A partire dalla scuola.

Non potrò mai scordare quella volta che parlai in classe di omosessualità a dei ragazzini di 9-10 anni. Il giorno dopo alle 8.25 mi ritrovai otto mamme sulla porta della classe: “Maestro, va bene tutto ma non parli di omosessualità ai nostri figli”. V’immaginate se un giorno, in questo piccolo paese di campagna dove ho insegnato, arrivassero due uomini a portare il loro figlio a scuola: quali sarebbero gli atteggiamenti di quei genitori che hanno fatto la crociata contro il maestro perché ha parlato di omosessualità?

Chi governa questo Paese, forse, deve render conto a Bagnasco ma chi sta in classe ogni giorno ha il dovere di costruire un’Italia dove una principessa possa sentirsi libera di innamorarsi di un’altra principessa e non del principe azzurro. Ai maestri, il compito, di far maturare questo Paese.

sabato 5 aprile 2014

L’odio diventa amore nella pubblicità gay friendly dei biscotti (video)



Il marchio di biscotti statunitense Honey Maid ha diffuso uno spot in cui compaiono famiglie gay. Insieme alle moltissime reazioni positive, ne sono arrivate molte negative. ma l’azienda le trasforma in amore. Ecco come.

Honey Maid, noto marchio di biscotti e cracker statunitense, ha realizzato uno spot, per promuovere i suoi prodotti, in cui sono rappresentati tutti i tipi di famiglia, anche quelle gay. Sui social media, oltre ad una lunghissima serie di commenti positivi, anche molti negativi, che esprimevano “disgusto” e “orrore”.
L’azienda, per niente intimorita, ha chiesto a due artiste di prendere i messaggi di odio e trasformarli in altro. Guardate cose ne è venuto fuori.

Trans ricoverata nel reparto maschile, parlano le trans che l’hanno accudita (VIDEO)

Ai nostri microfoni la testimonianza di Daniela e Rosa, le due trans che si stanno prendendo cura di Maria (nome di fantasia), la trans ricoverata per un ictus in un reparto maschile



Ricoverata e denudata in un reparto maschile, senza alcun riguardo per la sua dignità né per la sua identità sessuale, soltanto perché questa non corrisponde al nome che era scritto sulla sua carta di identità. È la triste avventura di una donna transessuale, che noi abbiamo deciso di chiamare Maria, per non aggiungere al sopruso subito l’onta ulteriore di essere identificata con uno spersonalizzante “la trans”.
Nome e genitali corrispondono al sesso maschile: ma basta questo a stabilire l’identità di una persona?

Una definizione generica, forse troppo, riduttiva, addirittura offensiva: come se l’identità di una persona potesse essere ricondotta a una sola parola, una sigla, un’etichetta vuota. O, peggio, a un nome. Perché è questo che è accaduto quando la paziente è arrivata al San Giovanni Bosco per un ictus: leggendo il nome maschile scritto sulla sua carta di identità, corrispondente di fatto ai genitali di Maria, il personale dell’ospedale l’ha ricoverata in unastanza condivisa insieme a 4 uomini. Lì Maria è stata spogliata senza riguardo, per essere lavata e svolgere le quotidiane abluzioni. Per fortuna con lei c’erano Daniela e Rosa, due transessuali che, venute a conoscenza del fatto, sono corse in ospedale per prestarle assistenza. Ai nostri microfoni il loro racconto.
La testimonianza di Daniela e Rosa, le trans che hanno assistito Maria

“Abbiamo dovuto prendere una coperta per improvvisare un paravento a una persona che è stata denudata davanti a quattro uomini, e senza alcuna premura. Una cosa che mi ha fatto sentire offesa, frustrata, ferita nella mia dignità“ racconta Daniela Falanga, delegata alle politiche trans per Arcigay Napoli. Immediatamente Daniela e Rosa hanno discusso la questione con i responsabili della struttura ospedaliera, trovando insieme a loro un compromesso: “Fortunatamente tutti i responsabili della struttura sono stati molto comprensivi, e hanno cercato di venirci incontro come potevano” spiega Daniela. Maria non sarà spostata in un reparto femminile, dove comunque la vista del suo corpo nudo potrebbe provocare imbarazzo nelle altre pazienti, così come accade per lei nel reparto maschile, ma durante le operazioni di pulizia sarà montato un paravento che la proteggerà dagli sguardi indiscreti, tutelando la sua intimità e rispettando la sua privacy.
In Italia non esiste ancora una legge per l’accoglienza ospedaliera delle persone transessuali

Tutto questo perché, come spiega ai nostri microfoni Antonello Sannino, presidente Arcigay Napoli, non esiste ancora una legge nazionale che stabilisca le buone pratiche che il personale medico e assistenziale deve adottarenei confronti delle persone transessuali. Uomini e donne a cui è negato molto spesso qualunque riconoscimento e diritto a una vita normale, come quella di tutti gli altri. “La violenza sia fisica che verbale, purtroppo, ancora oggi, è all’ordine del giorno” spiega Daniela. “Io sono stata fortunata, perché nel mio percorso per diventare donna ho avuto vicino mia madre, che a un certo punto mi ha capita e ha cercato di aiutarmi”. La stessa fortuna non è toccata invece a Rosa, che è stata cacciata di casa dai suoi genitori all’età di 16 anni, così come è successo anche a Maria, che anche oggi, nel letto di un ospedale, si trova costretta a pagare un prezzo ingiusto per la sua “diversità”.
Un paravento per proteggerla da sguardi indiscreti: questo l’unico compromesso possibile

“Per ora Maria rimarrà nella stanza in cui si trova ora, anche perché gli altri pazienti ricoverati si sono dimostrati molto disponibili e comprensivi nei suoi confronti” spiega Daniela. “Ma” prosegue, “trovo incredibile e assurdo che in un luogo in cui bisognerebbe aiutare le persone, come un ospedale, accadano ancora queste cose, e che non ci sia uno spazio in cui accogliere i pazienti transessuali rispettando la loro privacy e le loro esigenze”. “È una battaglia che tutti noi dobbiamo combattere, insieme, per ottenere dei risultati, come sta avvenendo in altri paesi del mondo, dove effettivamente esistono o sono in fase di elaborazione delle leggi specifiche che garantiscono il rispetto dei diritti delle persone transessuali” conclude Sannino. Purtroppo, a oggi, la strada per l’integrazione sembra essere ancora lungae irta di ostacoli. Come dimostra l’ “incidente” di cui Maria è diventata, suo malgrado, vittima e protagonista.

Occupano piazze contro la legge che punisce l'omofobia."SENTINELLE IN PIEDI" una crociata contro i diritti.


Per gli omofascisti, il razzismo non esiste né razzismo né omo-transfobia, per loro le minoranze non esistono. Riescono a credere solo al politicamente scorretto, al loro umorismo nero, dopo tutto per loro conta solo il diritto di " libertà di opinione " ( come insultare, picchiare, violentare psicologicamente e fisicamente, uccidere) di RUBARE I NOSTRI DIRITTI DI ESSERE UMANI, DI PERSONA). 

Questa è la società di oggi, quella di mascherare un falso come verità incontrovertibile, la mancanza di rispetto per l'altro con battute e argomenti pietosi e manifestare contro i diritti di chi non è uguale a loro ( biancho, etero). 

Continueremo a lottare e difendere per i diritti di persone che per secoli sono state uccise e calpestate nei loro diritti di esseri UMANI. Gli studi di persone autorevoli, hanno dimostrato che dare diritti non lede fisicamente e psicologicamente nessuno. Volete essere omofobi? "Fatelo! sappiate che nella storia vi è un movimento evolutivo per cui, anche se vi sono momenti di retrocessione, alla fine si progredisce e si va avanti.


Vanessa mazza.

NOI CI SAREMO! ANCORA, UN'ALTRA VOLTA! SCENDIAMO IN PIAZZA CONTRO LA PRESENZA A VERONA DELLE "SENTINELLE IN PIEDI"


Circolo Pink GLBTE Verona, Arcigay Pianeta Urano Verona, Lieviti Verona,
Arcilesbica Verona, Milk Center Verona

NOI CI SAREMO! ANCORA, UN'ALTRA VOLTA!
Le associazione GLBTQIE di Verona scenderanno ancora in piazza contro la presenza domenica 13 aprile 2014 delle "Sentinelle in piedi" a Verona, ore 18.00.

Come successe a settembre 2013, quando in Gran Guardia a Verona si tenne il convegno omo-bi-transfobico dal titolo “La teoria del gender: per l’uomo o contro l’uomo?” e le associazioni GLBTQI di Verona, del Veneto e di molte altre città italiane scesero in piazza per dire no alla violenza contro gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, così domenica 13 aprile 2014 alle ore 18,00 saremo nuovamente in piazza Bra a Verona per contrastare la presenza del movimento delle "SENTINELLE IN PIEDI".

Come persone, gruppi e associazioni LGBTQI di Verona siamo stanche e stanchi di assistere al continuo attacco da parte della destra cattolica omo-bi-transfobica contro la nostra autodeterminazione, contro le nostre vite e famiglie diverse, contro tutto quello che la nostra cultura di inclusione e tolleranza sta costruendo e proponendo. 

Ci rendiamo conto che la paura da cui sembra pervasa la nostra controparte è in realtà la consapevolezza che le loro “convinzioni” stiano perdendo terreno e la preoccupazione di non riuscire più a controllare tutto quello che può portare alla perdita di tutti i privilegi educativi di cui hanno goduto davsempre e che hanno sempre usato contro tutte le diversità ma soprattutto contro di noi, lesbiche, gay, bisessuali e transessuali.

Dietro i loro discorsi, solo (e neanche tanto) apparentemente innocui, si nasconde un disegno ben più ampio a livello nazionale, che utilizza il concetto del gender come spauracchio agitato a tutti i livelli, soprattutto a livello culturale, politico ed educativo in nome della difesa della famiglia naturale e dei diritti dei bambini.

Da parte nostra siamo pienamente consapevoli che questi personaggi non sono da sottovalutare perché fanno parte di un disegno politico che mira al non allargamento dei diritti di cittadinanza. Il loro tentativo è quello di non far approvare una legge contro i reati di omo-bi-transfobia,

facendo passare le loro e altre posizioni come opinioni con piena libertà di circolazione. Peccato che dietro a tutto ciò ci sia molto, troppo odio contro le nostre persone.
I recenti fatti: il tentativo a Trento di togliere i figli biologici (!) a famiglie con genitori omosessuali, l'attacco di Bagnasco contro l'UNAR, le posizioni integraliste di Fassino a Torino, i convegni e gli incontri organizzati in tutta Italia contro la presunta teoria del Gender, fanno parte di quel disegno,
un accerchiamento da più parti per far sì che i diritti non vengano estesi a noi persone LGBTQI, in evidente contrasto con quanto raccomandato dalla corte costituzionale e dai vari trattati in materia di diritti civili che l’Italia ha sottoscritto.

Per rispondere a tutti questi attacchi violenti abbiamo deciso come persone, gruppi e associazioni LGBTQI di Verona di scendere in piazza domenica 13 aprile 2014 a Verona in concomitanza con la presenza in Piazza Bra delle "SENTINELLE IN PIEDI", ribattezzate per l’occasione "SENTINELLE IN PIEGA". Facciamo un appello a cittadini e cittadine (e non) di essere con noi per dire basta all'ipocrisia cattolica integralista che vuole imporsi sulle nostre vite e su quelle di chi crede in una società inclusiva, laica, aperta. Non possiamo più assistere in silenzio a questo continuo uso e manipolazione distorta della nostra sessualità.

NOI CI SAREMO!

Circolo Pink GLBTE Verona, Arcigay Pianeta Urano Verona, Lieviti Verona,
Arcilesbica Verona, Milk Center Verona

Fonte:https://www.facebook.com/CircoloPink

Verona 4 aprile 2014

Trans ricoverata e denudata nel reparto uomini di un ospedale: il caso finisce in Parlamento

Colpita da ictus. La denuncia di Sel: "Lavata in presenza di pazienti maschi"
Diventata un caso nazionale la vicenda denunciata dall'Arcigay di Napoli di una transessuale ricoverata nel reparto maschile di un ospedale del capolugo campano. Il deputato di Sinistra ecologia e libertà Alessandro Zan ha presentato un'interrogazione ai ministri della Salute, della Giustizia e delle Politiche sociali sul caso, denunciato dall'Arcigay di Napoli, di una transessuale ricoverata all'ospedale San Giovanni Bosco, nel capoluogo campano. Secondo le notizie apparse in rete, la transessuale, a seguito di un ictus, sarebbe stata ricoverata nel reparto maschile poiché il nome e il sesso maschile originari, così come riportati nei documenti di identità, non sarebbero ancora stati rettificati.

"La donna sarebbe stata denudata e sottoposta a lavaggio, alla presenza in stanza di quattro pazienti maschi, senza l'adozione di paraventi o di altre misure idonee a tutelare la sua dignità e la sua riservatezza", spiega in una nota il parlamentare, esponente della comunità Lgbt.

"Questo fatto - sottolinea Zan - riporta l'attenzione sull'urgente necessità di modificare la normativa nazionale sulla rettificazione di attribuzione di sesso, la legge 164 dell'82, che di fatto subordina la rettifica dell'atto di nascita e del nome alla sola effettuazione dell'invasivo intervento di 'riassegnazione chirurgica del sesso'".

Per Zan "è necessario, e in tal senso ho chiesto che il governo valuti iniziative urgenti atte a superare questa situazione, adottare un approccio più aperto e rispettoso alla materia, in linea con le recenti pronunce della giurisprudenza nazionale".

"Sempre più spesso, infatti - spiega Zan - i giudici sembrano ritenere sufficiente, per la rettifica del nome e del genere, il solo dato di appartenenza psicologica, rispetto a qualsivoglia ulteriore intervento chirurgico sul proprio corpo. I tempi previsti per l'intera procedura di riattribuzione del sesso, peraltro, appaiono assolutamente inadeguati a tutelare l'identità sessuale dei cittadini
interessati: una situazione che coinvolge aspetti e diritti personalissimi e insindacabili", conclude il deputato di Sel, "ed espone la persona a continui rischi di discriminazioni e umiliazioni capaci di incidere in modo negativo e permanente sul suo benessere psicofisico".

venerdì 4 aprile 2014

Transgender, sono troppi i rischi per chi vuole operarsi in Italia

MEDICINA
Liste d'attesa eterne, scarsa specializzazione, poca attenzione alle ricadute psicologiche sui pazienti. Troppo spesso nel nostro paese chi deve cambiar sesso affronta un'odissea anche in sala operatoria. Tanto che un gruppo di pazienti ha fatto causa al Sistema sanitario nazionale

di Antonio Sciotto.


Operarsi in Italia, per chi è transessuale, può essere un grosso rischio: “Molti medici non hanno sufficiente esperienza e non conoscono le tecniche più avanzate: per noi l'intervento ha aperto una vita di inferno”. La denuncia viene da un gruppo di donne che ha tentato di cambiare sesso (erano nate come uomini), oggi assistite da un avvocato, anche lei transessuale, che però per non esporsi a pericoli si è fatta operare in California, pagando di tasca propria, da una chirurga tra le più specializzate al mondo.

“Sto seguendo 13 ragazze, contro diversi ospedali italiani – spiega Alessandra Gracis, legale con sede a Conegliano, nel trevigiano – Siamo in causa per avere un risarcimento, perché gli interventi correttivi che ho già consigliato alle mie clienti di tentare in altri paesi, dagli Usa alla Thailandia, sono molto costosi e loro sono quasi prive di reddito”.

Operazioni diverse ore più lunghe del necessario, infezioni continue e fistole, la necessità di portare una sorta di dilatatore per anni, a volte anche tutta la vita: sono questi alcuni degli incredibili problemi a cui sono andate incontro le donne oggi in causa contro il nostro sistema sanitario nazionale.

Chiamati a pagare i danni il Policlinico Umberto I (4 casi) e il San Camillo (2 casi) di Roma, e diversi nosocomi di Brescia, Chieti, Pietra Ligure, Bologna. Le ragazze di Alessandra sono sì clienti, ma anche amiche, e per lei, portare avanti queste denunce, ha un valore politico: “In Italia – spiega – si fanno pochi interventi in tanti centri ospedalieri, il che non permette ai medici di specializzarsi. Dovrebbero, al contrario, come nel caso del Charing Cross Hospitaldi Londra, unico centro specialistico in Inghilterra, puntare su un solo ospedale di eccellenza. Cercheremo di farci riconoscere non soltanto il danno biologico, ma anche quello arrecato all'identità di genere, alle relazioni sociali, in base all'articolo 2 della Costituzione”.

Particolarmente grave il caso dell'Umberto I di Roma: quattro pazienti assistite da Gracis hanno denunciato penalmente l'equipe di chirurghi per “lesioni personali gravissime”, chiedendo anche l'interdizione dal ripetere lo stesso tipo di intervento in futuro. “I medici – spiega l'avvocato – hanno utilizzato una tecnica del tutto sperimentale, senza fornire informazioni adeguate: hanno ricostruito la vagina partendo da tessuto prelevato dalla bocca e poi coltivato in vitro. I risultati sono stati disastrosi, ma l'Umberto I ha continuato per almeno due anni dopo il primo intervento a utilizzare questa tecnica. Addirittura l'estate scorsa hanno pubblicato gli esiti in un articolo scientifico sul PRSJournal , la rivista dei chirurghi plastici americani, definendo l'operazione 'fattibile, sicura e vantaggiosa'”.

Gli interventi per cambiare sesso sono circa 120 l'anno in Italia, ma non esiste un registro ufficiale: il conto, empirico, viene dall' Onig , osservatorio dell'identità di genere, che sul suo sito web accorpa i dati parziali provenienti dai diversi istituti. Sono quasi tutte operazioni M to F (male to female, da uomo a donna) perché quelle F to M (da donna a uomo), in Italia sono a uno stato ancora embrionale, e chi vuole tentarle si rivolge perlopiù all'estero.


“AL LIMITE SI POTREBBE FARE SUORA”
Silvia Cimmino è una delle quattro ragazze operate all'Umberto I, tutte con risultati catastrofici, molto simili tra loro: “I medici mi hanno prospettato un intervento 'innovativo' – racconta - spiegando che avrebbero prelevato tessuto dalla bocca: avrebbero coltivato cellule staminali per creare il rivestimento della mia futura vagina, quello che di solito si ottiene rivoltando il pene. Ma non c'è stata mai un'informazione esauriente sui rischi, solo parole generiche”.

“Fu eseguito un primo intervento per creare la cavità vaginale, demolendo i miei organi maschili. Ma pochi giorni dopo mi sono venute delle infezioni, e dopo un mese e mezzo la cavità era già chiusa. Dopo il secondo intervento ho passato un mese in ospedale per un'altra infezione, e ho dovuto portare un dilatatore per 11 mesi. All'inizio mi avevano detto che questo dilatatore – una sorta di tubo in silicone riempito di soluzione fisiologica - avrei dovuto sopportarlo solo 6 mesi, ma alla fine è arrivato l'annuncio-choc: 'Dovrà portarlo tutta la vita'”.

Silvia racconta di essersi sentita come una cavia dei medici del Policlinico: “E pensare che chiedono allo Stato di finanziare queste operazioni dagli esiti disastrosi. Un continuo di infezioni, batteri e secrezioni: hanno ammesso dopo varie visite che era capitato anche ad altre ragazze”. Infine, oltre al danno, la beffa. I dottori si prendono pure gioco di lei: “'Al limite, male che vada, c'è anche l'altro buco', mi hanno detto. 'Si può sempre fare suora'. Ero sconvolta non solo dai risultati, ma anche da questo modo di trattarmi”.

“Mi hanno proposto di riprovarci prelevando la pelle addominale – conclude Silvia – Ma chi si fida più: non so se avrò il coraggio di rimettermi sotto i ferri. A volte mi sento come un eunuco: ho 28 anni e non posso vivere a pieno la mia vita”.

“RINUNCERAI ALLE RELAZIONI, MA ALMENO TI SALVI LA VITA”
Un'altra testimonianza – ma in questo caso la ragazza ci chiede l'anonimato – viene da una causa in corso con l'ospedale di Pietra Ligure. Lucia (usiamo un nome di fantasia) è stata in lista d'attesa alla Asl di Trieste per ben 7 anni: ha iniziato nel 2005 e nel 2012 le hanno telefonato per sapere se fosse ancora interessata. Alla fine ha deciso di operarsi a Santa Corona, in Liguria, perché lì avrebbe atteso meno.

Un intervento di 7 ore, e due settimane dopo a casa. Ma qui cominciano i guai: “Si manifestò una fistola, cioè un piccolo foro, che faceva riversare l'urina nella cavità vaginale, quindi si creavano continue infezioni – racconta Lucia - L'operazione era stata quella classica, usando il tessuto penile. Dopo qualche mese mi dissero che avrei dovuto portare un catetere infilato nella vescica per almeno un anno, in attesa di un nuovo intervento. Buona parte di quell'anno lo passai in ospedale, alternando nuovi interventi – in tutto una decina – con brevi periodi passati a casa. Alla fine i chirurghi mi hanno detto: non puoi tenere la fistola, dobbiamo chiudere la cavità vaginale, utilizzando tessuto preso da altre parti del corpo”.

“'Sacrifichiamo la qualità dei rapporti ma salviamo la vita', mi dissero i chirurghi. Non avevo scelta, provavo dolori massacranti e con questo catetere nella vescica non riuscivo neanche a camminare. Alla fine avevo il fisico massacrato, per i ripetuti interventi che necessitavano di tessuti da tutto il corpo: cicatrici su braccia, gambe, pancia. Tale fu lo choc che da allora non sono più tornata in Liguria, non ho il coraggio, mi viene l'ansia anche se dovesse essere solo per una vacanza”.

“Da poco mi ha visitato una specialista americana, Marci Bower: dice che qualcosa si può tentare, ma che è rischioso. Si potrebbero creare problemi nell'apparato digerente, e forare l'uretra. 'Se ti buco l'intestino – mi ha detto – poi dovrai portare un sacchetto per le feci per tutta la vita'”.

Lucia vive a Treviso: una legge regionale, la 22 del 1993, assicurerebbe alle persone transessuali venete di essere assistite e operate in Regione nei centri che la giunta avrebbe dovuto individuare entro 30 giorni, ma nessun governatore l'ha mai applicata e finanziata. “Ho scritto a Luca Zaia – dice l'avvocato Gracis – Ma non mi ha mai risposto. Mi piacerebbe incontrare con le altre ragazze il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, per far presenti tutti i limiti del nostro sistema sanitario: chiedere di investire su questo tipo di interventi, di razionalizzare il sistema, centralizzando in un unico ospedale la chirurgia e delocalizzando solo il resto”.

“ALLA FINE POTRO' FARE LA PIPI' IN PIEDI”
Alessandro Iuliano ha fatto il percorso opposto: padovano, 40 anni, ha cominciato 5 anni fa la sua transizione da donna a uomo. “Io della chirurgia italiana ho una esperienza positiva – racconta – ma perché ho saputo fermarmi a un certo punto. Al Sant'Orsola di Bologna ho fatto la mastoplastica riduttiva, per avere i pettorali maschili, e la demolizione dell'utero: ma il resto, la falloplastica, me la faranno in Belgio”.

Alessandro prima di entrare in una sala operatoria si è informato a lungo, attraverso dei forum su Internet, con ragazzi che come lui sono nati in un corpo femminile: “In Italia dicono che riescono a farti la falloplastica, ma in realtà ancora non ci sono arrivati: per quello che ho potuto vedere dalle persone con cui ho parlato, ti lasciano la vecchia uretra, quindi non chiudono completamente la vagina: un ragazzo che si è operato a Trieste mi ha detto che per mesi ha sofferto di fistole e infezioni. In Belgio al contrario ricostruiscono l'intero organo: a me hanno prelevato il tessuto da gambe e braccia. Alla fine potrò fare la pipì in piedi”.

Sembra un particolare, questo della posizione in cui si urina, ma evidentemente il problema è sentito: per molti anche questa è “identità di genere”. L'intervento di Alessandro è stato finanziato dalla sanità italiana, grazie alle nuove normative europee per cui puoi curarti in tutta l'Unione: “La mastoplastica però si erano rifiutati di finanziarmela: evidentemente il nostro Paese riconosce indirettamente che la falloplastica è meglio farla fuori. L'operazione in Belgio è costata, per differenti interventi successivi, intorno ai 45 mila euro, di cui io ho messo circa il 10% in forma di ticket”. E l'erezione? E' l'ultimo passaggio, l'intervento finale: “Si ottiene grazie a una protesi in titanio, rivestita con materiale biocompatibile, che si attiva meccani
camente”.
04 aprile 2014