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mercoledì 2 dicembre 2020

1 Dicembre 1955 Rosa Parks cambiò la storia dei diritti civili "Non ero fisicamente stanca, ero stanca di cedere".


Con il suo netto rifiuto di cedere il posto su un autobus a un bianco, Rosa Parks cambiò per sempre la storia dei diritti civili. Accadeva il primo dicembre del 1955 a Montgomery, in Alabama. Rosa Parks, figlia di James e Leona McCauley e moglie di Raymond Parks, attivo nel movimento dei diritti civili, stava tornando a casa dopo aver lavorato come sarta in un grande magazzino. Faceva molto freddo e la donna, non trovando posti liberi nel settore riservato agli afroamericani, decise di sedersi al primo posto dietro alla fila per i bianchi, nel settore dei posti comuni. 

Subito dopo di lei salì un uomo bianco, che restò in piedi. Dopo qualche fermata l'autista chiese a Rosa di lasciare libero quel posto. Lei non si scompose e rifiutò di alzarsi con dignitosa fermezza. Rosa conosceva bene le regole: i neri si sedevano dietro, i bianchi davanti, mentre i posti centrali erano misti e si potevano usare solo se tutti gli altri erano occupati, ma la precedenza spettava sempre ai bianchi. Per quel "no" fu arrestata e portata in carcere per condotta impropria e per non aver rispettato il divieto che obbligava i neri a cedere il proprio posto ai bianchi nei settori cosiddetti comuni. 

Un atto coraggioso e determinato in seguito al quale si avviò una protesta storica. Quella stessa notte, infatti, Martin Luther King, insieme ad altre decine di leader delle comunità afroamericane, pose in atto una serie di azioni di protesta. Tra queste, il boicottaggio dei mezzi pubblici di Montgomery, che andò avanti per 381 giorni, affinché fosse cancellata una norma odiosa e discriminatoria che comprometteva persino la normale possibilità quotidiana di sedersi, come gli altri, su un autobus. 

Una protesta che assunse proporzioni sempre più ampie e che ottenne il sostegno dei tassisti afroamericani che avevano adeguato le loro tariffe a quella degli autobus. Il 13 novembre 1956, la Corte Suprema degli Stati Uniti dichiarò fuorilegge la segregazione razziale sui mezzi di trasporto pubblici poiché giudicata incostituzionale. Da allora Rosa Parks è considerata "The Mother of the Civil Rights movement", la donna che, come disse Bill Clinton consegnandole un'onorificenza nel 1999, "mettendosi a sedere, si alzò per difendere i diritti di tutti e la dignità dell'America". 

Rosa Parks morì a Detroit il 24 ottobre 2005. La foto esposta durante la commemorazione funebre a Montgomery era quella scattata dalla polizia il giorno del suo arresto. Solo negli ultimi anni è diventata pubblica una storia più accurata della sua vita. Rosa non era solo una sarta, da anni era impegnata al fianco del marito nel movimento dei diritti civili. Si era distinta per aver offerto aiuto a nove ragazzi afroamericani, gli Scottsboro Boys, accusati ingiustamente di aver violentato due prostitute bianche e anche per questo era stata scelta come segretaria della sezione locale della NaacpAssociazione nazionale per la promozione delle persone di colore.

La politica di segregazione nelle regioni meridionali degli Stati Uniti era un’eredità dello schiavismo in vigore fino al 1865, quando fu abolito dal XIII emendamento alla Costituzione. Nel 1876 nei singoli stati del Sud furono varate le cosiddette “leggi Jim Crow” (dal nomignolo dispregiativo usato per indicare gli afroamericani) che diedero vita a un sistema in cui i neri erano considerati “separate but equal”, “separati ma uguali”. La separazione fu fisica – nelle scuole, nei luoghi pubblici, sui mezzi di trasporto, nei bagni dei ristoranti – e aveva anche il preciso obiettivo di ostacolare l’esercizio del diritto di voto a chi apparteneva a queste comunità. Ecco contro cosa si batteva Rosa Parks che qualche anno dopo raccontò così la sua decisione di non alzarsi nell'autobus: "Dissero che ero stanca, ma in realtà ero solo stanca di subire". Da Rosa Parks al Black Lives Matter Da allora indubbiamente ci sono stati molti progressi: è stato eletto il primo presidente nero, Barack Obama, che nel 2012, tra le altre cose, volle farsi fotografare seduto al posto di Rosa, nel famoso bus che ancora è conservato all’Henry Ford Museum, vicino Detroit. 

Con l'elezione di Joe Biden arriverà alla Casa Bianca la prima vice presidente donna afroamericana, Kamala Harris. Ma l'America è anche quella del Black Lives Matter costretta a scendere in piazza per gridare: "Le vite dei neri contano". Come ha fatto nel 2013, dopo l'assoluzione di George Zimmerman, che aveva sparato al diciassettenne afroamericano Trayvon Martin, uccidendolo, e nel 2014 dopo i fatti di Ferguson e di New York, fino a oggi. George Floyd, Breonna Taylor e le altre vittime della polizia. 

Sullo sfondo, sempre la questione razziale. Stavolta però sono cadute statue e frontiere con la protesta che si è allargata in tutto il mondo. Martin Luther King scrisse che il "no" di Rosa Parks era stato "l'espressione individuale di una bramosia infinita di dignità umana e libertà", e che "rimase seduta a quel posto in nome dei soprusi accumulati giorno dopo giorno e della sconfinata aspirazione delle generazioni future". Con il Black Lives Matter quel "no" è diventato globale. 

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