Il 25 marzo Amin Bonsu, presidente della Ghana Muslim Mission in Uganda, ha pubblicato un comunicato in cinque punti in cui afferma: “È importante per noi riconoscere i nostri peccati contro il mondo, in particolare gli atti più abominevoli come omosessualità, lesbismo, transgenderismo, distruzione di bacini idrici e foreste”. Prima di lui ci sono stati il Patriarca ucraino Filaret, il pastore americano Rick Wiles, il rabbino Meir Mazuz, il predicatore conservatore del Tennessee Perry Stone e molti altri. In Ungheria il dittatore Viktor Orbán, dopo un golpe istituzionale con cui ha sciolto il parlamento, ha ottenuto pieni poteri con la scusante di gestire più celermente l’emergenza sanitaria e accentrare nelle proprie mani decisioni che altrimenti avrebbero dovuto essere condivise con gli altri organi costituzionali. Una delle sue prime azioni è stata però emanare un provvedimento, fortemente voluto dal suo vice primo ministro Zsolt Semjen, che vieta la rettifica anagrafica alle persone transessuali, annullandone di fatto i diritti. Una misura che ha ben poco a che fare con il contenimento dell’epidemia. In Marocco, invece, in questi ultimi giorni molti uomini stanno subendo una violazione della privacy e un outing forzato dopo che un influencer ha svelato i nomi delle dating app gay più utilizzate e consigliato alle donne di crearsi dei profili falsi per identificare le persone omosessuali presenti nella propria città. Minacciati di pestaggio e cacciati di casa perché ritenuti responsabili del diffondersi del virus SARS-COV-2, i ragazzi gay si ritrovano costretti a restare senza dimora e sono più esposti al rischio di contagio. Inoltre, la forte militarizzazione della zona finalizzata a evitare la violazione delle restrizioni rende più facili gli abusi da parte delle forze dell’ordine. Il Marocco è infatti uno dei Paesi in cui l’omosessualità è ancora condannata con la reclusione.
Anche in Italia, la comunità LGBTQ+ sta vivendo l’inasprirsi delle tante problematiche già presenti, che con l’obbligo di isolamento dovuto alle restrizioni si sono aggravate. “In questi giorni tutte e tutti siamo chiamati a stare responsabilmente a casa. È tuttavia nostro dovere pensare a chi non ha una casa in cui stare o chi in quella stessa casa subisce discriminazione o violenza e vive in situazioni di disagio che necessita di supporto professionale e assistenza”, ha dichiarato Sebastiano Secci, presidente del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli. L’associazione ha lanciato una campagna a sostegno delle persone LGBTQ+, intensificando il servizio di supporto psicologico a distanza e la linea telefonica Rainbow Line 800 110 611.
In occasione della Giornata mondiale contro l’omofobia del 2019, la Gay Help Line 800 713 713 ha riportato alcuni dati elaborati insieme al Ministero dell’Istruzione: oltre ventimila contatti da tutta Italia tramite telefono, chat (Speakly.org), e-mail, di cui circa tremila relative a minori e più di quattrocento inerenti gravi maltrattamenti familiari segnalati tra i 12 e i 25 anni.
È proprio lo storico numero verde a lanciare l’allarme: nel periodo dal 2 all’8 aprile 2020, nei giorni del coronavirus, su un campione di circa tremila persone, il 40% degli adolescenti ha subito violenze e discriminazioni, di cui la maggior parte gravi e avvenute in famiglia. Un dato che sale al 50% per le persone transgender. Inoltre, quattro su cinque hanno affermato di sentirsi soli o depressi. Non solo è difficile per i centri antiviolenza prevedere nuovi inserimenti in mancanza di strutture per la quarantena, ma sono poche le case rifugio arcobaleno presenti sul territorio italiano. A Napoli, sono stati recuperati alloggi per donne e persone LGBTQ+ vittime di violenza domestica firmando contratti con tre strutture private, ma resta un caso sporadico. “Le associazioni si preoccuperanno di assistenza legale e psicologica per tutto il percorso. Nel frattempo, opereremo con ulteriore forza per stringere sinergie con prefettura e questura con l’obiettivo di rafforzare la collaborazione interistituzionale e dare maggiore impulso al lavoro che già si sta facendo per tutelare le vittime di violenza. Per quanto riguarda le persone LGBTQ+, stiamo lavorando per offrire accoglienza anche dopo l’emergenza, mediante una struttura comunale attrezzata allo scopo“, ha dichiarato l’assessora alle Pari opportunità di Napoli Francesca Menna.
La pandemia di COVID-19 sta avendo altre urgenti ripercussioni sulla popolazione transgender, sia dal punto di vista economico che sanitario. Costrette a vivere per strada dopo essere state ripudiate dalla famiglia o a prostituirsi perché vittime di discriminazioni sul lavoro, molte persone trans sono rimaste senza nulla su cui poter fare affidamento. Secondo un report redatto dall’associazione nazionale Arcigay, Mit – Movimento identità trans e Unar, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, tra il 2004 e il 2014 il 45% delle persone trans ha visto respinta la propria candidatura a un colloquio di lavoro a causa della propria identità di genere e il 25% è stato addirittura licenziato. Non a caso l’ultima indagine OCSE mostra come solo il 37% degli italiani sia disposto ad accettare una persona trans come collega di lavoro.
A ciò va aggiunto come in Italia non esista alcuna tutela per le sex worker. La prostituzione non è legalmente riconosciuta e di conseguenza lavoratori e lavoratrici del sesso non possono accedere agli aiuti economici previsti dal governo. “Faccio questo lavoro da otto anni, ho cercato altri impieghi, ma nessuno mi ha mai dato una possibilità. Non ho scelta: qui non si assumono trans, siamo discriminate”, racconta a Internazionale Gabriella, una ragazza transgender. “Certo, non mi piace quello che faccio, sono stata aggredita e rapinata più volte, ma almeno prima della pandemia riuscivo a sopravvivere. Adesso, quando vado in giro, tutti mi evitano come se fossi infetta, come se noi trans fossimo automaticamente delle prostitute e quindi veicolo del virus”. A supporto Pia Covre, rappresentante del comitato civile per i diritti delle prostitute, ha lanciato il crowdfunding “Nessuna da sola!”, che al momento ha raggiunto quota 12mila euro.
In Italia, inoltre, sono pochi gli endocrinologi che trattano la disforia di genere e le strutture pubbliche che se ne occupano sono dislocate a macchia di leopardo. I continui spostamenti a cui sono costrette le persone transgender sono però diventati molto difficili in questo periodo. Il collettivo Transvisioni ha inviato una lettera co-firmata da altre associazioni nazionali al ministero della Salute per richiedere degli interventi a tutela della comunità. Le istituzioni hanno prontamente provveduto a estendere la validità dei piani e a rendere valide le ricette prescritte dai medici di base, eppure forse ci avrebbero dovuto pensare prima. A quanto pare, però, mentre vengono stilati i decreti c’è sempre qualcosa o qualcuno di cui ci si dimentica e di solito sono le minoranze e i gruppi più deboli. Ormai è arrivato il momento che la politica si faccia carico anche di quelle identità a cui finora ha faticato a prestare ascolto.
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