Addio a Aimee Stephens l'attivista che per prima ha portato i diritti transgender alla Corte Suprema USA


Aveva 59 anni e soffriva di insufficienza renale, ma questo non le aveva impedito di continuare fino all'ultimo la sua lotta per i diritti delle persone transgender. Aimee Stephens è morta ieri nella sua casa in Michigan, ma il suo caso tuttora pendente davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti potrebbe ancora fare la storia e portare a una importantissima vittoria per i diritti LGBTQA+. Stephens, infatti, è la prima persona transgender ad essere stata ascoltata dalla Corte Suprema per un caso sui i diritti civili e in gioco c'è una decisione fondamentale: se la legge federale che vieta la discriminazione sul lavoro si applichi o meno ai dipendenti transessuali. "Aimee non ha deciso di essere un'eroina e una pioniera, ma di fatto lo è stata", ha dichiarato l'ACLU in un tweet dopo la notizia della morte. "Tutti abbiamo un debito di gratitudine per il suo impegno per la giustizia e per la sua dedizione alla comunità trans".


La vicenda giudiziale in questione comincia nel 2013 quando Stephens scrive una lettera ai suoi colleghi della RG and GR Harris Funeral Home, l'impresa funebre dove lavora. "Quello che devo dirvi è molto difficile per me e sto usando tutto il coraggio che riesco a trovare. Mi sono sentita imprigionata in un corpo che non corrisponde alla mia mente, e questo mi ha causato grande disperazione e solitudine. Tornerò a lavorare come il mio vero io, Aimee Australia Stephens, in abiti da lavoro adeguati". Stephens prende quindi la decisione di cominciare a vivere a tutti gli effetti come donna prima di effettuare la transizione, ma due settimane dopo riceve una lettera di licenziamento. Il motivo? Proprio il fatto che da quel momento "si sarebbe vestita da donna pur essendo un uomo". Inizia così la battaglia legale di Aimee che fa causa al suo datore di lavoro per essere stata licenziata sulla base del suo status di transgender.


Nel 2018 arriva la prima vittoria: la Corte d'Appello degli Stati Uniti si pronuncia contro i proprietari di pompe funebri, sostenendo che le persone LGBTQ sono protette ai sensi del Titolo VII del Civil Rights Act del 1964, per il quale i datori di lavoro non possono licenziare, rifiutare di assumere o altrimenti penalizzare le persone sulla base del loro sesso. A questo punto, però, si apre una questione ben più complessa che coinvolge direttamente l'intero mondo LGBTQA+: il Civil Act riguarda effettivamente anche l'orientamento sessuale e lo status di persona transgender?

Per rispondere a questa domanda, il caso di Aimee arriva davanti alla Corte Suprema (Stephens è stata sentita a Washington in ottobre, ndr) che a breve sarà chiamata a rispondere sul punto. Neanche a dirlo la posta in gioco è altissima. Nonostante alcuni recenti passi avanti, come spiega il New York Times, la discriminazione sul lavoro nei confronti dei dipendenti omosessuali e transgender è infatti ancora legale in gran parte della nazione e questa decisione potrebbe invece cambiare (finalmente) le cose. Se la Corte dovesse decidere che il titolo VII della legge sui diritti civili, si applica anche alla comunità LGBTQA+, allora milioni di lavoratori potrebbero davvero ottenere la tutela lavorativa che meritano.

La vittoria, però, è tutt'altro che scontata specie dal momento che la Corte Suprema è attualmente composta da 5 giudici conservatori e 4 liberali. Le variabili, d'altro canto, sono moltissime: non resta che aspettare il verdetto e sperare in una svolta a favore dei diritti civili. Aimee, purtroppo, non vedrà l'esito della battaglia a cui ha dedicato la vita, ma il suo spirito e la sua forza non potranno essere dimenticati. "Sono ottimista e credo in quello che sto facendo" ha dichiarato in un'intervista a The Detroit News. "Siamo tutti umani e tutti meritiamo gli stessi diritti di base. Non stiamo chiedendo niente di speciale, solo di essere trattati come le altre persone".


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