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giovedì 7 febbraio 2013

Matrimoni gay, perchè l’Italia resta fanalino di coda

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.

Basta uno sguardo alla mappa europea delle diverse legislazioni in materia di unioni omosessuali per capire che l’Italia resta sempre la retroguardia, quando si tratta di diritti civili. Non fu così del resto anche per la possibilità di divorziare e per la regolamentazione dell’aborto, ammesse qui da noi con un ritardo di decenni rispetto ai nostri partner occidentali?
Il matrimonio fra persone dello stesso sesso che la settimana prossima sarà legge dello Stato nella limitrofa Francia, e a seguire di poco nel Regno Unito governato dai conservatori, dopo che la Spagna già lo aveva introdotto nel 2005, vige inoltre nei seguenti paesi europei: Portogallo, Islanda, Belgio, Olanda, Danimarca, Norvegia, Svezia. Luoghi barbarici, nevvero? Ma non basta. In altri paesi “sovversivi” come la Germania, la Slovenia, la Croazia, la Finlandia, non c’è il matrimonio gay ma le unioni fra persone dello stesso sesso sono registrate e codificate come patti civili, contemplati dalla legge. Per intenderci, sul modello dei famosi Dico o Pacs contro i quali la Chiesa italiana mobilitò nel 2007 un massiccio Family Day, contraddistinto dalla presenza in piazza di tanti leader politici pluri-divorziati e puttanieri (a quel tempo Fini e Casini stavano ancora con Berlusconi).

Il fatto imbarazzante è che per trovare sulla mappa europea altre nazioni come l’Italia che finora hanno rifiutato anche solo di regolamentare le unioni civili fra omosessuali –non parliamo di matrimonio e di adozione dei figli- bisogna spostare lo sguardo verso est: gli altri paesi balcanici e le nazioni rimaste schiacciate per cinquant’anni dal giogo sovietico. A proposito, sarà un caso ma proprio in questi giorni Putin ha fatto approvare dalla Duma russa una legge che vieta “la propaganda omosessuale”. In altre parole, non solo ai gay sono negati i diritti di vivere pubblicamente le proprie relazioni, ma viene loro proibito rivendicarli. A ovest restiamo solo noi italiani (e la piccola Irlanda) a mantenere legislazioni che rifiutano l’idea stessa di unione omosessuale. Del resto non è solo Berlusconi col contorno dei leghisti a ergersi come difensore della cosiddetta “famiglia tradizionale”; ma anche l’attuale premier Monti ci tiene a precisare che, secondo lui, il matrimonio è concepibile solo fra un uomo e una donna.
Come già avvenuto per il divorzio e l’aborto, questo è un classico caso in cui la società civile esprime livelli di consapevolezza di gran lunga più avanzati della sua classe dirigente. Le persone normali non aspettano con tremore la reprimenda del presidente dei vescovi, o il corsivo dell’”Osservatore Romano”, prima di esprimersi in merito all’amore fra Gino e Luca, o fra Rosetta e Maria. Mi è stato raccontata di recente la reazione partecipe e solidale di un piccolo paese di provincia di fronte a un pubblico “outing”, cioè alla rivelazione che un loro figliolo conviveva felicemente con una nota personalità gay. Certo, l’omofobia è ancora diffusa, ed è una vergogna che il Parlamento non sia stato capace neanche di approvare una legge che la persegua severamente. Ma a prevalere nell’esperienza maggioritaria del paese sono i sentimenti di condivisione. Né la religiosità costituisce più una barriera in merito.
A rimanere intimorita, è la politica. Speriamo che il vento di Parigi soffi presto fino a Roma. Io non riesco a capire perché nel 2013 si dovrebbero negare il matrimonio e le adozioni ai gay. Resto qui pronto a discuterne.


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