L’idea del coming out fu introdotta nel 1869 dal tedesco Karl Heinrich Ulrichs, pioniere del movimento per i diritti di gay, lesbiche e transgender, che sosteneva l’importanza di “uscire allo scoperto” al fine di modificare l’opinione pubblica.
Il primo Coming Out Day si è tenuto negli USA l’11 ottobre 1988, grazie allo psicologo Robert Eichberg e al politico e attivista LGBT Jean O’Leary, i quali scelsero tale data in occasione dell’anniversario della seconda marcia nazionale su Washington per i diritti di uomini e donne omosessuali. Da allora, ogni anno, si organizzano eventi per celebrare il coming out in ogni parte del mondo, tutti ispirati al medesimo messaggio: “Sii te stesso, non uno stereotipo”.
Da recenti dati ISTAT è emerso che nel nostro Paese le persone che si sono dichiarate omosessuali o bisessuali sono circa un milione, ovvero il 2,4% della popolazione residente in Italia. Alla domanda “Con chi avete fatto per la prima voltacoming out”, queste hanno risposto di sentirsi più a loro agio a parlare con i propri amici e i colleghi piuttosto che con genitori o parenti, ad indicare ancora una profonda e radicata cultura etero-normativa che spesso è l’unica disponibile all’interno delle mura domestiche.
Il Coming Out Day si configura quindi come un evento fondamentale, in grado di promuovere e favorire una presa di coscienza di tutta la popolazione, perché solo attraverso un reale rispetto e una sincera accettazione potremmo permettere che il nostro amico, collega o figlio si possa sentire sereno e forte tanto da fare “coming out”.
Dalla presentazione del libro “Oltre le Gabbie dei Generi – Il Manifesto Pangender”, di Mirella Izzo, in uscita il 24 ottobre 2012:
(…) Un noto pensatore e maestro spirituale, Gurdjeff, amava dire che gli esseri umani nascono senza anima e che, per ottenerla, devono andarsela a prendere sulla Luna. Solo dopo questo viaggio simbolico potranno dichiararsi realmente umani e non semplici meccanismi biologici. Una metafora, ovviamente, ma che ci indica una realtà spesso dimenticata o rimossa: noi non siamo automaticamente “noi”. Milioni di condizionamenti, finanche prenatali, possono indirizzarci in un altrove nel quale non ci troveremo mai a nostro agio. L’“identità sessuata” non è questione inerente solo il sesso o il genere o l’orientamento sessuale delle persone. E’ un fenomeno globale che ci riempie tutti (o, al contrario, ci svuota o, ancora, ci rende distonici). Sentirsi a proprio agio con se stessi e sentire che si e quel che davvero ci si sente d’essere e che non si e caduti prigionieri di un “gioco di ruolo” nel quale la socialità dominante ci vorrebbe il più possibile uguali e omogenei a un predefinito modello o persona(ggio).
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