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mercoledì 23 luglio 2014

Riattribuzione chirurgica del sesso: in Italia si può - Di Laura Denu.

RIATTRIBUZIONE CHIRURGICA DEL SESSO: IN ITALIA SI PUÒ - UNA CLASS ACTION INDISCRIMINATA RISCHIA DI AFFOSSARE 30 ANNI DI LAVORO, IMPEGNO E CONQUISTE


Perchè la volontà di riaffermare questo dato di fatto? Per contrappormi all'ondata di disinformazione, mistificazione e strumentalizzazione a cui sto/stiamo assistendo per mano e volontà di alcuni personaggi del mondo transgender e non solo, che hanno ritenuto proficuo fare azione di terrorismo, distribuendo sul territorio nazionale l'informazione secondo cui in Italia sarebbe azzardato se non addirittura pericoloso, rivolgersi ai diversi centri sparsi nel territorio, per accedere all'intervento per cambiare sesso.


“Non esistono centri autorizzati e sufficientemente specializzati” a cui rivolgersi per vedere tutelata la propria salute psico-fisica, e per scongiurare danni e mutilazioni irreversibili, sarebbe opportuno rivolgersi in Thailandia o negli USA. Affermazioni del genere danno il via a sentimenti diffusi di diffidenza e paura, che destabilizzano chi serenamente coltivava questo tipo di progetto.

Tutto si sviluppa da alcuni episodi di cronaca dell'ultimo anno, in particolare mi riferisco al caso del policlinico Umberto I di Roma e alle quattro pazienti che sarebbero state “usate come cavie” all'interno di un protocollo sperimentale a loro insaputa. Il caso vuole che io, per altre problematiche, frequenti il dipartimento di chirurgia plastica ricostruttiva del policlinico di Roma da ben 16 anni e per questo posso tranquillamente fare una considerazione personale in merito all'altissimo livello di professionalità, competenza, disponibilità e umanità degli operatori, di cui ho goduto in questi anni, anche nei momenti più difficili da gestire, al di là di ogni possibile aspettativa. Come testimone diretta, posso dunque contestualizzare questa mia personale esperienza.

Ora, si potrebbe fare un manuale vero e proprio su storia, termini, forma e sostanza, ma diventerebbe estenuante. Mi limito a mettere il punto su poche ma fondamentali questioni centrali.


L'intervento di riattribuzione chirurgica del sesso oggi è un intervento iper collaudato, che vede l'uso di tecniche chirurgiche raffinatissime ed ottimizzate a livelli altissimi, sia dal punto di vista estetico che funzionale, ma in soltanto tre o quattro centri sparsi nel territorio. In Italia si effettuano circa 150 interventi l'anno, con un aumento del 25% negli ultimi 5 anni. Per lo più si tratta di conversione andro-ginoide (da maschio a femmina). I numeri relativi alla riuscita dell’intervento chirurgico di RCS, stando alle percentuali fornite dai centri specializzati e associazioni, su 10 operazioni 8 hanno un buon esito, 2 hanno esito parzialmente o totalmente negativo (stenosi e fibrosi delle pareti vaginali, fistole, infezioni, prolasso della cute peniena che riveste la neo-vagina). Le seconde hanno altrettanto peso se si tratta della vita delle persone. Non esistono, in realtà, dati e statistiche precise che riportino i numeri esatti, ma le tendenza pare essere questa stimata. Dati confermati anche in questo studio presentato al Congresso Nazionale SIA.

Qui riprendo una considerazione, a mio parere equilibrata, di Porpora Marcasciano, presidente del MIT (Movimento Identità Transessuali), che si è espressa in un articolo su Italialaica.it in merito alla questione sollevata dall'avvocata Alessandra Gracis secondo cui in Italia non esistono centri affidabili a cui rivolgersi per cambiare sesso: “Facciamo nostre tutte le denunce di mala sanità sollevate da Alessandra e da tutte le persone trans che hanno subito dei danni reali e drammatici, con la speranza e l’invito a far rientrare le loro richieste in una strategia comune, intelligente, concordata e di rete. Facciamo molta attenzione perché il rischio di perdere quello che abbiamo conquistato è molto alto e su questo credo e spero che ognuno si assuma le proprie responsabilità, quelle di una popolazione di circa 50000 persone in Italia, della loro dignità, delle loro possibilità, dei loro diritti, compreso quello di cambiare sesso.”


Testimonianze dirette, che vengono dalla lunga frequentazione personale del Policlinico di Roma che esegue la RCS da almeno 20 anni, riferiscono esiti chirurgici soddisfacenti. E' evidente che nel mondo Trans, tutti/tutte sanno dove si può e dove non si può andare, quale chirurgo è più accreditato di altri o meno. E bisogna considerare che le reazioni biologiche ad un qualsiasi intervento chirurgico sono altamente soggettive, anche se fatto da mani esperte. Di questo una mente consapevole dovrebbe tenerne conto.


Questo è un punto centrale: la consapevolezza, l'informazione e le aspettative spesso poco realistiche che le persone danno a questo tipo di interventi. L'approccio a volte sembra essere al limite del “mi cambio il taglio di capelli”. Nell'articolo di Repubblica citato sopra si dichiara: “Nessun consenso informato presentato alle pazienti relativo al carattere sperimentale di quel tipo di operazione”. Eppure da qualche anno esiste l'obbligo di un consenso informato specifico, che spiega nei dettagli e in merito all'intervento a cui si sta per essere sottoposti, rischi, controindicazioni, eventuali complicazioni, ecc.

Per questo a seguire mi limiterò a stendere una lista di cose che spesso non fate ma che dovreste fare per auto-tutelarvi da brutte sorprese. Tenendo conto comunque delle ragioni per cui si arriva all'intervento oppresse e sfiancate da anni di attese, di rinvii, di ingerenze burocratiche e coatti protocolli pseudo-scientifici (Onig). Se abbracciate la scelta di autodeterminarvi, deciderete voi se, come, dove e quando.

Per avviare il percorso di transizione non occorre affidarsi necessariamente a consultori e associazioni. Basta cercarsi un buon avvocato ed un bravo endocrinologo che non sia legato a protocolli pseudo-scientifici.

Non occorre nessuna diagnosi di DIG (disturbo dell'identità di genere): sarà il giudice del tribunale di appartenza, una volta presentato il ricorso, se lo riterrà opportuno, a nominare un consulente tecnico d'ufficio (CTU), che deciderà per una indagine di tipo psicologico. Sta a voi stabilire la necessità di una relazione da allegare al ricorso (sono sufficienti due incontri) che confermi il DIG.
Le terapie ormonali possono essere prescritte da un endocrinologo di fiducia, meglio se in una struttura pubblica, senza l'autorizzazione di nessuno.
I trattamenti estetici di base (come l'epilazione) si fanno negli ospedali. Diversi fanno anche la mastoplastica additiva: chiedete, informatevi.
Stabilite il più possibile un rapporto di fiducia con i professionisti che vi seguono, dialogate con loro, chiedete, esigete risposte. Con il chirurgo che vi siete scelte non abbiate timori reverenziali, cercate un rapporto paritario di scambio emotivo e di informazioni. Se qualcosa non andrà proprio come previsto (capita), cercate un dialogo ed un confronto onesto e diretto per decidere insieme come comportarsi, anziché viverlo come un fallimento e chiudervi nell'irrisolvibile. È possibile, se vi siete scelte il medico giusto, che vi ascolta e che parla con voi perchè voi lo avete preteso.
Capisco che dopo anni di negazione di sé, la fretta di concludere un percorso, che in realtà non si chiude mai, prenda il sopravvento. Proprio per questo non mettetevi in lista per l'intervento in tre/quattro ospedali secondo il principio “chi mi chiama, prima vado”. A meno che non abbiate le possibilità economiche per andare all'estero, pagare e fare tutto in tempi ragionevoli per le vostre esigenze.
Non caricate l'intervento di aspettative poco realistiche: la vostra neo-vagina non è un organo “naturale” ma ri-costruito e che presenta dei limiti strutturali e anche di tipo biologico. Capacità di cicatrizzazione, tempi di guarigione, strutture cutanee, quantità di tessuto utilizzabile per la ricostruzione. Non esiste una neo-vagina profonda 20 cm, ma si può ottenere il meglio se ci si attiene scrupolosamente a tutte le indicazioni del caso. Il tutore vaginale per gli esercizi di dilatazione va usato tutta la vita, tranne se avete rapporti continuativi e “regolari”. La neo-vagina anche dopo 20 anni tende per natura alla fibrosi e al restringimento. Se un chirurgo non vi trasmette tutti questi dati, non è quello giusto. Cercatene un altro!
Il corpo è solo un corpo, non deve rappresentare nessuno tranne voi stesse/stessi, non esistono modelli e stereotipi a cui assomigliare, non dobbiamo diventare “normali e uguali” a nessuno. Pensare di fare la RCS se non si hanno motivazioni strutturate, realistiche e consapevoli, che non vadano oltre l'intimo perimetro del proprio sentire sarebbe un rischio in ogni caso. Anche se il vostro intervento avrà esiti strabilianti. Ma non fatevi strumentalizzare da personaggi senza scrupoli in cerca di potere e visibilità. Cercate soluzioni col vostro medico, se avete costruito e preteso un rapporto diretto, c'è sempre una soluzione se c'è stata quella consapevolezza come fondamento.
All'atto del ricovero vi viene chiesto di leggere e firmare il consenso informato. Se ve ne consegnano uno soltanto non lo firmate, chiedete il consenso informato specifico per l'intervento che state per fare, dove vengono elencati con chiarezza pro e contro. Ma soprattutto leggeteli e rileggeteli, non li legge nessuno, lo so. “Che mi frega di leggere tutti questi fogli, firmo e basta”! È un classico che si ripete sempre. In caso contrario non potrete recriminare nulla, se non lo avete letto ma lo avete firmato.
Non state dietro al “si dice in giro che”....cercate fonti di informazione attendibili, esistono ovunque, finchè non trovate il meglio per le vostre aspettative. Un protocollo sperimentale si chiama sperimentale perchè non è stato mai fatto ed è primario essere consapevoli del fatto che può andare a buon fine o meno. Nel caso dell'Umberto I non era sperimentale la tecnica chirurgica, già applicata da anni alle problematiche genitali femminili (sindrome di Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser) con successo. E' l'applicazione alla riattribuzione sessuale ad essere sperimentale, e non sempre con esiti negativi.
Non si accede alla RCS per le richieste del compagno di turno, oppure nell'illusione di una maggior integrazione socio-lavorativa o di una vita “normale” e meno marginalizzata. La tendenza alla prassi del respingimento e dell'esclusione sociale non avrà fine con un intervento chirurgico, ma forse avrà fine con la nostra lotta quotidiana per il diritto come “persona” all'affermazione delle nostre aspirazioni e dei nostri talenti personali.
Laddove è stato impossibile, invece, assicurarsi tutta una serie di tutele e garanzie, a causa di scelte sbagliate, affrettate o non dipendenti dalla propria volontà, e i danni subiti sono stati irreversibili, invalidanti, proprio a causa dell'incompetenza accertata del medico che vi ha operate, e dove viene a mancare la volontà da parte dei sanitari e della struttura a cui vi siete rivolte di collaborare nella ricerca di una qualche soluzione, allora diventa d'obbligo rivolgersi ad un legale e denunciare. E' falso che la classe medica sia inattaccabile, se si è stati attenti al fatto che regole, procedure e documentazioni siano state effettuate ed applicate correttamente.

Infine, il vero problema in Italia è rappresentato dalle lunghe liste di attesa nei centri migliori, perchè anche nei pochi centri specializzati si fanno pochi interventi in quanto classificati di bassa priorità. Siamo considerate “malate” (DSM), ma per curarci ci impiegano anni, questo è la contraddizione di fondo. Siamo tutte e tutti vittime di un sistema economico-politico-sociale che non funziona ed è innegabile, ma lavorare su noi stessi/stesse per imparare ad auto-tutelarci ed autodeterminarci diventa fondamentale per sopravvivere e resistere ad una macchina infernale pronta a schiacciare, ostacolare e distruggere. Quindi a ciascuno le proprie responsabilità, che si denunci la malasanità laddove esiste, ma attenzione a chi approfittando di questo polverone, non aspetta altro che toglierci anche quel poco che abbiamo conquistato. Poi altro che diritto alla salute!


Per questo a noi persone Trans, ma non solo, non è concesso improvvisare se vogliamo difendere e proteggere il nostro diritto ad essere e ad esserci, come meglio crediamo. Attraverso l'unico strumento che ci occorre: l'orgoglio di essere ciò che siamo, senza che nessuna istituzione scientifica e giuridica si arroghi il diritto di scegliere e decidere per noi. A qualsiasi prezzo, tranne quello della propria salute psico-fisica.

La normalizzazione non è mai una risposta!




Brevi cenni storici


La tecnica chirurgica di riattribuzione sessuale viene introdotta dal dott. Christian Hamburger che per la prima volta, nel 1951, portò a termine tale intervento. Pochi anni più avanti, nel 1956, il ginecologo francese Georges Burou, inizia presso una clinica nel centro di Mers Sultan, la sua lunghissima e storica esperienza medico/chirurgica di riattribuzione sessuale. Sarebbero più di 1000 gli interventi all'attivo di Burou, e la sua tecnica viene ancora oggi insegnata nel mondo, a quasi 30 anni dalla morte.



Il dott.re Georges Burou


In Italia fa da pioniere di questa tecnica chirurgica il prof. Angelo Salvini, urologo di fama europea che iniziò a praticarla clandestinamente a metà anni '70, alle persone che ne facevano richiesta e che non avevano la possibilità di recarsi a Londra (Charing Cross Hospital) o a Casablanca. L'attività del Prof. Salvini si sviluppa in modo esponenziale come unico punto di eccellenza italiano per il cambio di sesso, in quegli anni, a Milano.


In seguito, nei primi anni '90, altri due centri si sono uniti all'Ospedale di San Donato Milanese dove operava Salvini, l'ospedale Sant'Eugenio di Roma, dove operava il dott. Alfredo Palmisano, e il SAIFIP diretto e fondato nel '91 dal prof. Aldo Felici. Ma anche a Pietra Ligure (dott. Bormioli), a Trieste (dott. Trombetta), a Roma (prof. Scuderi), a Milano (prof. Austoni), a Perugia (prof. Dominici), a Bari (prof. Selvaggi).


Nel 1982 arriva il supporto della regolamentazione giuridica con la legge 164/82 – Norme in materia di riattribuzione sessuale – legge De Cataldo, voluta fortemente dal M.I.T. di quegli anni – Movimento Italiano Transessuali – e dal Partito Radicale, accolta ed approvata in tempi brevissimi dal Parlamento in modo trasversale.


E' proprio di questi mesi, dopo 30 anni, la proposta - ddl 405 - di ridiscussione della legge 164/82, che, pur essendo uno strumento giuridico rilevante, presenta alcuni aspetti di restrizione rispetto all'autodeterminazione delle persone, nella volontà, che dovrebbe essere riconosciuta, di non voler accedere alla riassegnazione chirurgica del sesso per vedere invece legittimato il diritto alla rettifica anagrafica del genere di appartenenza, senza dover essere obbligate/i alla medicalizzazione forzata, laddove non ve ne sia volontà e necessità.



Fonte: laura denu

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