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martedì 1 dicembre 2015

Il 1 ° dicembre 1955, Rosa Parks si rifiutò di dare a un bianco il suo posto su un autobus. L'atto è stato una pietra miliare nel movimento antirazzista negli Stati Uniti.


Il 1º dicembre del 1955, a Montgomery, Rosa sta tornando a casa in autobus dal suo lavoro di sarta. Nella vettura, non trovando altri posti liberi, occupa il primo posto dietro alla fila riservata ai soli bianchi, nel settore dei posti comuni. Dopo tre fermate, l'autista le chiede di alzarsi e spostarsi in fondo all'automezzo per cedere il posto ad un passeggero bianco salito dopo di lei. Rosa, mantenendo un atteggiamento calmo, sommesso e dignitoso, rifiuta di muoversi e di lasciare il suo posto. Per di più, se avesse obbedito al conducente, dato che tutti i posti a sedere erano occupati, sarebbe dovuta rimanere alzata con un problema di dolore ai piedi che l'affliggeva. Il conducente ferma così il veicolo e chiama due poliziotti per risolvere la questione: Rosa Parks viene arrestata e incarcerata per condotta impropria e per aver violato le norme cittadine che obbligano i neri a cedere il proprio posto ai bianchi nel settore comune, quando in quello a loro riservato non ve ne sono più di disponibili. Da allora è conosciuta come The Mother of the Civil Rights Movement.

La protesta silenziosa di Rosa Parks si diffuse rapidamente. Il Consiglio Politico Femminile organizzo da lì un boicottaggio degli autobus della città in segno di protesta contro la misura di discriminazione razziale nel paese. Martin Luther King Jr. è stato tra coloro che hanno sostenuto l'azione. L'attivista e musicista Harry Belafonte ricorda come ha cambiato la sua vita dopo il giorno in cui King gli ha chiamato al telefono per chiedere aiuto per l'azione della donna che divenne conosciuta come la "madre del movimento per i diritti civili" negli Stati Uniti.

"L'atteggiamento di Rosa Parks ci ha permesso di reagire contro le pressioni politiche e sociali che hanno caratterizzato la nostra società. Quando King mi ha telefonato, mi invitando a una riunione, stato la mia prima volta, li inizio il combattimento ufficialmente per questo battaglia. Quando abbiamo iniziato a discutere dei suoi piani, mi sono reso conto che da allora in poi ero impegnato nel movimento guidato da lui e Rosa Parks. È stato un momento molto importante ", ha detto Belafonte.


Pochi giorni dopo l'attitudini spontaneo di Parchi, migliaia di neri si sono rifiutati di prendere l'autobus sulla strada per lavorare. Mentre le aziende di trasporto pubblico hanno cominciato a sperimentare un aumento delle perdite, i neri camminavano - spesso a piedi diversi chilometri - salutando e cantando per le strade ed è anche spesso minacciati, aggrediti, intimiditi. dai bianchi.

Il boicottaggio ha avuto il supporto di diversi personaggi noti come il della cantante gospel Mahalia Jackson, che ha fatto una serie di concerti di beneficenza per aiutare gli attivisti del movimento che erano stati arrestati. "Sarebbe disonesto omettere che ero estremamente felice di essere la prima cantante gospel ad esibirsi al Carnegie Hall di New York, e Albert Hall in Inghilterra. La vera fortuna per me, però, stata quella di cantare in prigione per coloro che sono isolati dal mondo ", dice Jackson.

Il 13 novembre 1956, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha abolito la segregazione razziale in autobus di Montgomery. Poche settimane più tardi, la nuova legge è entrata in vigore a Montgomery. Il 21 dicembre 1956, Martin Luther King e Glen Smiley, prete bianco, entrarono insieme in un autobus e occuparono posti in prima fila.

Nel giugno 1999, il presidente Bill Clinton ha assegnato Rosa Parks, allora 88 anni, con la medaglia d'oro del Congresso degli Stati Uniti. Nel corso della cerimonia di premiazione, Clinton ha sottolineato che la Parks era stata in grado di ricordare gli Stati Uniti che la promessa della libertà era stata solo un'illusione per migliaia di cittadini del paese. Nel suo discorso di accettazione, la signora Parks ha sottolineato che l'onore dovrebbe servire a incoraggiare tutti coloro che lottano per la parità dei diritti in tutto il mondo.

Rosa Louise Parks (nata Rosa Louise McCauley; Tuskegee, 4 febbraio 1913Detroit, 24 ottobre 2005) è stata un'attivistastatunitense figura-simbolo del movimento per i diritti civili,

sabato 24 agosto 2013

50 anni fa "i have a dream ' di Martin Luther King,

Cinquant’anni dopo, il discorso di Martin Luther King il 28 agosto 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington, al termine di una marcia per i diritti civili.

“I have a dream”  di Martin Luther King che auspicava un mondo libero dalle discriminazioni razziali.
«Ho un sogno: che un giorno questa nazione si sollevi e viva pienamente il vero significato del suo credo: "Riteniamo queste verità di per sé evidenti: che tutti gli uomini sono stati creati uguali"». Parole scolpite nella storia degli Stati Uniti d'America e della lotta per i diritti dei neri, che furono pronunciate dal pastore Martin Luther King davanti a una folla di 250mila persone, raccolta al Lincoln Memorial di Washington.

 

 10 DICEMBRE 1964: MARTIN LUTHER KING VINCE NOBEL PER LA PACE – Quella di Martin Luther King è stata una vita breve ma intensa, che ha portato il pastore protestante a diventare uno dei simboli della lotta non violenta per i diritti degli afroamericani negli Stati Uniti.

mercoledì 19 ottobre 2011

Martin Luther King. Simbolo della «rivoluzione nera»


Washington - «Oggi è un giorno importante di cui tutti dobbiamo andare orgogliosi: non è la festa di noi afroamericani, ma di tutto il Paese». Urla al microfono davanti al monumento dedicato al padre, Bernice King, la figlia di Martin Luther King, aprendo la giornata dedicata al simbolo della lotta contro la segregazione razziale. Una celebrazione, programmata lo scorso 28 agosto, la data del `I have a dream speach´, ma che è stata rinviata per colpa del passaggio dell’uragano Irene. Oggi, sul mall di Washington batte un sole primaverile e da tutta l’America sono arrivati in migliaia nella capitale per rendere omaggio alla memoria di dottor King.

Barack Obama è arrivato alle celebrazioni per Martin Luther King e ha scatenato l’entusiasmo della folla, per la stragrande maggioranza nera, verso il primo presidente afro-americano della storia degli States. È un abbraccio forte e convinto, malgrado i dissapori degli ultimi mesi tra la Casa Bianca e il gruppo parlamentare nero. «Four More years», altri quattro anni», urlano a squarciagola appena i maxischermi posti sulla spianata del Mall mostrano l’arrivo di Barack e Michelle nei pressi del palco da dove sta cantando Aretha Franklyn.

Barack Obama, il primo presidente nero della storia americana, parla così all’inaugurazione del monumento dedicato a Martin Luther King, che con colpevole ritardo trova il suo posto, anche fisico, tra i `Padri d’America´. Obama non delude, anche se nel suo discorso parla al cervello di tutta l’America, più che alle viscere degli afro-americani. Evitando ogni retorica, non cerca applausi facili. Anzi, in modo seppure implicito, propone un paragone tutto politico tra Mlk e se stesso.

Era il 28 agosto del 1963 quando 300mila manifestanti giunti da ogni parte degli Stati Uniti si radunarono davanti al Lincoln Memorial a Washington per quella che era stata chiamata 'Marcia su Washington per il lavoro e la libertà'. In quell' occasione il pastore battista e premio Nobel per la pace 1964, Martin Luther King, leader del movimento per i diritti civili, pronunciò dai gradini del Memorial il suo discorso più famoso: "I have a dream", in cui chiedeva la fine della discriminazione razziale e pari diritti per gli afroamericani.


"I have a dream"

(di Martin Luter King)

Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell’avida ingiustizia. Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte della cattività.

Ma cento anni dopo, il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione; cento anni dopo, il negro ancora vive su un’isola di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale; cento anni dopo; il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra.

Per questo siamo venuti qui, oggi, per rappresentare la nostra condizione vergognosa. In un certo senso siamo venuti alla capitale del paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della repubblica scrissero le sublimi parole della Costituzione e la Dichiarazione d’Indipendenza, firmarono un "pagherò" del quale ogni americano sarebbe diventato erede. Questo "pagherò" permetteva che tutti gli uomini, si, i negri tanto quanto i bianchi, avrebbero goduto dei principi inalienabili della vita, della libertà e del perseguimento della felicità.

E’ ovvio, oggi, che l’America è venuta meno a questo "pagherò" per ciò che riguarda i suoi cittadini di colore. Invece di onorare questo suo sacro obbligo, l’America ha consegnato ai negri un assegno fasullo; un assegno che si trova compilato con la frase: "fondi insufficienti". Noi ci rifiutiamo di credere che i fondi siano insufficienti nei grandi caveau delle opportunità offerte da questo paese. E quindi siamo venuti per incassare questo assegno, un assegno che ci darà, a presentazione, le ricchezze della libertà e della garanzia di giustizia.

Siamo anche venuti in questo santuario per ricordare all’America l’urgenza appassionata dell’adesso. Questo non è il momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o che si trangugi il tranquillante del gradualismo. Questo è il momento di realizzare le promesse della democrazia; questo è il momento di levarsi dall’oscura e desolata valle della segregazione al sentiero radioso della giustizia.; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Dio. Sarebbe la fine per questa nazione se non valutasse appieno l’urgenza del momento. Questa estate soffocante della legittima impazienza dei negri non finirà fino a quando non sarà stato raggiunto un tonificante autunno di libertà ed uguaglianza.

Il 1963 non è una fine, ma un inizio. E coloro che sperano che i negri abbiano bisogno di sfogare un poco le loro tensioni e poi se ne staranno appagati, avranno un rude risveglio, se il paese riprenderà a funzionare come se niente fosse successo.

Non ci sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai negri non saranno concessi i loro diritti di cittadini. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno luminoso della giustizia.

Ma c’è qualcosa che debbo dire alla mia gente che si trova qui sulla tiepida soglia che conduce al palazzo della giustizia. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste.

Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell’anima.

Questa meravigliosa nuova militanza che ha interessato la comunità negra non dovrà condurci a una mancanza di fiducia in tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col nostro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra libertà. Questa offesa che ci accomuna, e che si è fatta tempesta per le mura fortificate dell’ingiustizia, dovrà essere combattuta da un esercito di due razze. Non possiamo camminare da soli.

E mentre avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti. Non possiamo tornare indietro. Ci sono quelli che chiedono a coloro che chiedono i diritti civili: "Quando vi riterrete soddisfatti?" Non saremo mai soddisfatti finché il negro sarà vittima degli indicibili orrori a cui viene sottoposto dalla polizia.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri corpi, stanchi per la fatica del viaggio, non potranno trovare alloggio nei motel sulle strade e negli alberghi delle città. Non potremo essere soddisfatti finché gli spostamenti sociali davvero permessi ai negri saranno da un ghetto piccolo a un ghetto più grande.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono:"Riservato ai bianchi". Non potremo mai essere soddisfatti finché i negri del Mississippi non potranno votare e i negri di New York crederanno di non avere nulla per cui votare. No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume possente.

Non ha dimenticato che alcuni di voi sono giunti qui dopo enormi prove e tribolazioni. Alcuni di voi sono venuti appena usciti dalle anguste celle di un carcere. Alcuni di voi sono venuti da zone in cui la domanda di libertà ci ha lasciato percossi dalle tempeste della persecuzione e intontiti dalle raffiche della brutalità della polizia. Siete voi i veterani della sofferenza creativa. Continuate ad operare con la certezza che la sofferenza immeritata è redentrice.

Ritornate nel Mississippi; ritornate in Alabama; ritornate nel South Carolina; ritornate in Georgia; ritornate in Louisiana; ritornate ai vostri quartieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella valle della disperazione.

E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno. E’ un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.

Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho davanti a me un sogno, oggi!.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud.

Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza.

Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l’America vuole essere una grande nazione possa questo accadere.

Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.

Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania.

Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve.

Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.

Ma non soltanto.

Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.

Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.

Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.

E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: "Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente".







Fonte:http://www.ilsecoloxix.it/p/mondo/2011/10/16/AOcktFEB-luther_martin_giorno.shtml