Sentenza shock a Beirut, ma in senso positivo

Diritti. L’assoluzione di una transessuale accusata di aver fatto sesso con un uomo fa ben sperare, ma la strada resta lunga. «Un gay qui non avrà mai il coraggio - o per lo meno adesso non ce l’ha - di raccontarsi in tv»



Di  Beatrice Cassina, BEIRUT, 26.4.2014

Lo scorso 28 gen­naio, il tri­bu­nale di Jdei­deh a Bei­rut, nella per­sona del giu­dice Naji El Dah­dah, ha spiaz­zato una buona parte dell’opinione pub­blica e, sicu­ra­mente in senso posi­tivo, la comu­nità lgbt (lesbi­che, gay, bises­suali e tran­ses­suali), rive­lando un’apertura di vedute dav­vero inspe­rata. L’accusa era, nei con­fronti di una tran­ses­suale, di avere avuto rap­porti ses­suali con un uomo. Ma que­sta volta, l’incerta impal­ca­tura della legge 534 è crol­lata al suolo. Per­ché, ha soste­nuto il giu­dice che ha respinto il caso, non si è nep­pure potuto par­lare di rap­porto tra due per­sone dello stesso sesso, dato che una delle due era tran­ses­suale, quindi donna.

«La realtà del Libano», rac­conta Tarek Zei­dan, atti­vi­sta impe­gnato con l’organizzazione che com­pie oggi dieci anni Helem, e con la rivi­sta Barra, entrambe dedi­cate alla difesa dei diritti lgbt, «qui è molto diversa da tutti gli altri paesi del Medio Oriente, dove esi­stono ancora leggi anti­so­do­mia. Qui non abbiamo leggi di que­sto tipo, ma ne esi­ste tut­ta­via una, la 534, che puni­sce gli atti ses­suali “con­tro natura”». Cosa signi­fica però «con­tro natura», ovvio, dipende molto da chi la legge la inter­preta e la applica. Se si viag­gia a ritroso di solo pochi anni, ci si rende conto che tante cose stanno cam­biando rapi­da­mente. Se un tempo si poteva rischiare real­mente di pas­sare una o più notti in pri­gione, di essere tor­tu­rati, spo­gliati, umi­liati, adesso quest’eventualità è diven­tata sem­pre meno pos­si­bile anche se tutto, comun­que, dipende sem­pre da chi giu­dica. «A volte — pro­se­gue Zei­dan -, in pro­cessi simili a que­sto, se chi sta valu­tando il caso vuole pro­prio arri­vare a una sen­tenza di col­pe­vo­lezza, pos­sono essere aggiunte accuse di spac­cio di droga o pro­sti­tu­zione, dato che molti tran­ses­suali, non tro­vando facil­mente lavoro, arri­vano spesso a ven­dere il pro­prio corpo». Ma il vero pro­blema è rap­pre­sen­tato da quella legge molto con­fusa che dice tutto e niente, che sen­ten­zia come una sibilla chi deve, può, non può essere condannato.

Cosa vuol dire «sesso nor­male»? Fino alla sto­rica sen­tenza del dicem­bre 2009, il rap­porto omo­ses­suale vali­cava sicu­ra­mente la linea della lega­lità. Ma, dopo quella data, in cui il giu­dice aveva sen­ten­ziato che un rap­porto ses­suale tra due uomini non è con­tro natura, l’aria ha comin­ciato a essere un poco più leg­gera. «Di fatto — aggiunge ancora Zei­dan — il giu­dice aveva detto sem­pli­ce­mente che le due per­sone denun­ciate, due uomini in que­sto caso, non anda­vano pro­ces­sate secondo la legge 534, ma solo per pub­blica decenza». Da allora sono comin­ciate ad arri­vare altre pic­cole vit­to­rie. L’associazione degli psi­co­logi ha tolto l’omosessualità dalla lista delle malat­tie. Il sin­da­cato dei medici ha deciso che nes­sun medico coo­pe­rerà più con le forze dell’ordine per valu­tare se una per­sona è gay o no, dopo che, nel 2011, in uno show tele­vi­sivo, è stato mostrato un cinema gay dove non si vedeva nes­suna pre­senza di poli­zia (per man­te­nere la sicu­rezza, dicono). La poli­zia è stata presa in giro, ma è arri­vata velo­ce­mente e ha arre­stato circa 30 per­sone. Impet­titi allora nelle loro divise, i poli­ziotti ave­vano chie­sto di far valu­tare a medici se le per­sone nel cinema fos­sero gay attra­verso visite molto par­ti­co­lari. «Hanno addi­rit­tura tro­vato una legge fran­cese del 1920, dico, del 1920! — dice Tarek infa­sti­dito -, in cui si spie­gava come deci­dere se un uomo è gay. Senza entrare in par­ti­co­lari inu­tili e spia­ce­voli, sono state usate delle uova di pla­stica e tre per­sone sono state rite­nute essere omo­ses­suali». Quest’anno invece, il caso è stato quello di un uomo che è stato tro­vato in mac­china con una tran­ses­suale. «Il fatto che ci fos­sero state altre sen­tenze negli ultimi anni a favore della comu­nità gay, ha aiu­tato molto. In que­sto caso poi, hanno rico­no­sciuto che il tran­ses­suale non è un uomo ma ormai una donna, e quindi il cri­mine pro­prio non sus­si­ste. Lo so, la legge è molto vaga, impre­cisa. Quello che ancora è molto vero è che se c’è un giu­dice omo­fobo pos­siamo ancora avere molti pro­blemi. Dipende dav­vero tutto da quello che pensa e crede il giu­dice. La cosa posi­tiva però è che ci sono state sen­tenze a nostro favore di cui gli altri giu­dici, in futuro, dovranno sem­pre e comun­que tenere conto».

Ten­tare di cam­biare la legge, ancora, è rite­nuto peri­co­loso. «Anche se que­sti giu­dici sono stati molto aperti e com­pren­sivi — spiega Tarek — dob­biamo ricor­darci che il Libano ancora non lo è. Abbiamo biso­gno del 50% della gente. Se in Ara­bia Sau­dita le cose sono molto chiare e non ci si può sba­gliare (pur­troppo), qui toc­care la legge potrebbe anche por­tarci nella dire­zione oppo­sta rispetto a quello che vogliamo real­mente rag­giun­gere. Non pos­siamo, non dob­biamo par­lare di cam­biare la legge, se prima non pre­pa­riamo la gente, la società. Stiamo lavo­rando con le forze dell’ordine così che, se doves­sero mai arre­stare un gay, la poli­zia non lo tor­turi, e che un tran­ses­suale non va messo in una cella con uomini. Ecco, noi adesso stiamo lavo­rando con medici, avvo­cati, abbiamo comin­ciato anche a lavo­rare con inse­gnanti e stu­denti, con le nuove gene­ra­zioni. Lavo­rare con la società in gene­rale è altret­tanto impor­tante ed è dav­vero l’unico modo per rag­giun­gere tutti. Meglio ancora se ci aiu­te­ranno i media, come per altro stanno già facendo. La tele­vi­sione può essere molto utile, ma qui in Libano (siamo un paese dav­vero molto pic­colo), un gay non avrà mai — o per lo meno adesso non l’ha — il corag­gio di andare in tele­vi­sione a rac­con­tare la pro­pria sto­ria, come fanno invece negli Stati Uniti e in Europa. Aveva comin­ciato a farlo negli Stati Uniti Jerry Sprin­ger, poi Oprah Win­frey… Loro hanno par­lato con gay, lesbi­che, tran­ses­suali dei loro pro­blemi di tutti i giorni. La gente ascolta, si com­muove con Oprah, capi­sce e comin­cia a rispet­tare di più chi è diverso. Le nuove gene­ra­zioni sono sicu­ra­mente la spe­ranza, ma è anche vero che i gio­vani spesso non hanno il corag­gio di par­lare con la pro­pria fami­glia. Ma credo sia un per­corso che, una volta par­tito ed è par­tito!, con­ti­nuerà a pro­ce­dere senza grandi pro­blemi, anche se la strada è com­pli­cata. In Medio Oriente e in Asia ci sono molte influenze dall’Islam e spesso le situa­zioni sono dav­vero dif­fi­cili, soprat­tutto nelle regioni dei vil­laggi, lon­tano dai grandi cen­tri metro­po­li­tani. Ci vuole un per­corso che non s’interrompa e che pro­ceda con con­ti­nuità, anche se len­ta­mente. Dob­biamo pro­se­guire, ma non con i modi che sono stati usati da Usa o Europa. Dob­biamo par­tire dal modo in cui le per­sone pen­sano qui, e aiu­tarle a vedere que­sta realtà con occhi diversi. Non dob­biamo agire come in Occi­dente, per­ché sarebbe facile accu­sarci di essere un loro pro­dotto che ha solo sna­tu­rato la nostra iden­tità. Biso­gna far capire che gay, lesbi­che, bises­suali ci sono sem­pre stati. Ma dob­biamo stare anche molto attenti a non aprire un vaso di Pan­dora. Pos­siamo cri­ti­care la Chiesa, la Moschea ma, se comin­cias­sero a com­bat­terci, noi non avremmo modo di difen­derci, visto che la legge non ci pro­tegge. Nes­suno ci pro­tegge, il sistema poli­tico non con­si­dera i diritti umani come la cosa più importante».

Ma intanto, que­sto eser­cito paci­fi­sta e com­bat­tivo, ha già comin­ciato a con­fron­tarsi nelle uni­ver­sità (come nell’American Uni­ver­sity of Bei­rut). Ci sarà pre­sto un incon­tro in cui per­sone omo­ses­suali potranno avere un’occasione per par­lare delle pro­prie dif­fi­coltà nella vita di tutti i giorni, a casa, a scuola, con la gente in gene­rale, con la ricerca di un lavoro, è una prima impor­tante occa­sione per par­lare di qual­cosa che è stato igno­rato per tanto, troppo tempo. Comun­que, il vero obiet­tivo, per comin­ciare, è dav­vero quello di far capire alla gente un punto di vista diverso, quello di un omo­ses­suale. «Abbiamo biso­gno di per­sone etero che ci capi­scano, ci appog­gino, che ci aiu­tino a far capire che non c’è niente di cui avere paura. Alla fine vor­remmo che tutto fosse natu­rale. Come abbiamo aiu­tato, e aiu­tiamo tut­tora, i rifu­giati pale­sti­nesi, siriani, gli han­di­cap­pati, gli anziani, ecco! dovremmo aiu­tarci tra noi tutti. La gente potrebbe final­mente capire che non esi­ste peri­colo. Pro­prio Geor­ges Azzi, uno dei fon­da­tori di Helem e oggi diret­tore dell’organizzazione, con base a Bei­rut, Affe (Arab Foun­da­tion for Free­doms and Equa­lity), lavora in tutto il Medio Oriente per dif­fon­dere una cul­tura di tol­le­ranza. Non è sem­plice per chi vive in città ma, per esem­pio, in un pic­colo vil­lag­gio sulle mon­ta­gne, anche solo par­lare con la pro­pria fami­glia diventa dav­vero impos­si­bile. Qui, nell’ufficio nella zona di Ash­ra­fieh , aiu­tano a orga­niz­zare pro­grammi da por­tare in tanti paesi medio­rien­tali e nor­da­fri­cani, aiu­tano a pre­pa­rare atti­vi­sti in Marocco, Tuni­sia, Egitto, ovun­que, e ci si occupa di sicu­rezza, sup­porto, diritti, pro­blemi sanitari.

«Tra le dif­fi­coltà più grandi — spiega Geor­ges -, esi­ste non tanto la chiu­sura det­tata dal pro­prio credo reli­gioso, ma da dif­fe­renze sociali molto grandi. La parte di popo­la­zione più dif­fi­cile per par­lare di omo­ses­sua­lità è sicu­ra­mente quella di gente che vive nelle zone rurali, lon­tane dalla città, che sono sem­pre le più con­ser­va­trici. Que­sto suc­cede sia in Libano che in un qual­siasi altro paese medio­rien­tale. E la “novità” dell’omosessualità, in que­sti casi, fa ancora molta paura. La nostra sfida è sem­pli­ce­mente quella di pre­pa­rare la gente a par­larne e ascol­tare senza troppi pregiudizi».


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