'Dio è grande, urla i talebani. Poi uccidano una donna accusata di adulterio


Il Corano (arabo: القرآن, al-Qurʾān; letteralmente: "la lettura" o "la recitazione salmodiata") è il testo sacro della religione dell'Islam. Per i musulmani il Corano, così come lo si legge oggi, rappresenta il messaggio rivelato quattordici secoli fa da Dio (Allāh) a Maometto (in arabo Muḥammad) per un tramite angelico, e destinato a ogni uomo sulla terra.

Nella interpretazione talebana del Corano, il marito ha il diritto

di uccidere la moglie quando ha commesso adulterio.

L'agenzia Reuters ha pubblicato domenica (8) un video che mostra un talebano chiamato Juma Jan che spara alla moglie, identificata come Najiba l'accusa contro di lei è di adulterio. L'esecuzione è avvenuta nella provincia di Parwan, in un villaggio vicino Kabul, Afghanistan.

La donna stata uccisa in pubblico con 5 proiettili sparati a distanza ravvicinata. L'esecuzione, filmata in un video di tre minuti ottenuto dalla Reuters, tutto questo è avvenuta sulla pubblica piazza, di fronte a circa 150 persone che hanno applaudito al termine dell'esecuzione. La donna è stata fatta inginocchiare per terra e poi un uomo con il turbante le spara.

Il video mostra la ragazza di 22 anni seduta, ascoltando la sentenza di morte senza chiedere clemenza o cercare di scappare. Il marito cita versi del Corano che condannano l'adulterio, urlando "Allah akbar" (Dio è grande), e con un fucile Kalashnikov, spara due volte verso la Najiba ma sbaglia. Spara ancora e colpisce la testa.

Davanti al corpo inerte, la folla urla alcune frase del Corano.

Il Ministero degli Interni dell'Afghanistan ha promesso di indagare "l'atto di disumanità commessi da questi killer ".

Le immagini che vengono generalmente associate alle parola "Talebani" è “shari’ah” sono:

scene di morte, violenza, sopraffazione, ingiustizia. Di una mascolinità egemonica che schiaccia senza pietà la femminilità, quella delle donne e quella degli uomini e donne, perché omosessuali o transessuale.

Nel mondo islamico le donne non sono ugualmente discriminate in tutti i Paesi, per cui parlando dei diritti delle donne islamiche occorre precisare a quale piano ci si riferisca, se teorico-religioso o pratico-politico, ed a che paese si faccia riferimento.

In alcuni Stati, loro hanno ormai ottenuto parecchi privilegi una volta destinati quasi esclusivamente agli uomini, ma negli Stati più tradizionalisti e in quelli che mirano alla reintroduzione a pieno titolo della sharīa, dove le norme del Corano sono interpretate ed applicate in maniera più rigida e rigorosa, le donne non vivono una situazione egualitaria in termini di libertà, e sono considerate ad un livello inferiore rispetto all’uomo.

Dal punto di vista religioso non sembrano esserci problemi; per la legge islamica la donna è ontologicamente uguale all’uomo, ha gli stessi doveri, non c’è per essa alcuna discriminazione nella vita eterna che l’attende dopo la morte. I problemi cominciano quando dal campo religioso si passa a quello sociale. Stabilisce infatti il Corano: «gli uomini sono preposti alle donne perché Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano dei loro beni per mantenerle.»

Questo significa, in pratica, che la donna, finché rimane in famiglia, è sottoposta all’autorità del padre e dopo, quando si sposa, passa sotto l’autorità del marito. Paradossalmente esclusa da questa tutela è la nubile non più giovane che può in tutto e per tutto gestirsi senza dipendere dall'altrui beneplacito.

Così, in virtù di questo precetto, le donne sono private persino dei fondamentali diritti umani e civili: non godono della libertà di spostamento, della libertà di espressione e di parola; non possono procedere negli studi né tanto meno fare carriera o ricoprire cariche o posizioni di responsabilità in campo civile o religioso. Non possono decidere il proprio destino né quello dei propri figli e sono totalmente sottomesse all'uomo, da cui possono venire ripudiate (e non viceversa). Sono eventualmente costrette a convivere con altre mogli scelte dall'uomo; e sono obbligate a coprire il proprio corpo e spesso anche il viso. La poligamia è lecita e prevista dal Corano per gli uomini. Secondo il Corano l'uomo può ripudiare la moglie e non v'è nessun accenno che la moglie possa farlo nei confronti del marito. Esso prescrive che le credenti abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne, non mostrino troppo le loro parti belle ad altri che agli uomini della famiglia e non battano i piedi sì da mostrare le loro parti nascoste.


Dalla rivoluzione alla legge islamica, titola Yves Thréard l’editoriale sul quotidiano francese Le Figaro : “Stando alle proiezioni, le elezioni legislative in Libia sarebbero state vinte dall’alleanza liberale di Mahmoud Gibril. Sconfitti dunque i Fratelli musulmani, che invece hanno trionfato nelle prime elezioni libere da decenni in Tunisia e in Egitto.

“Ma anche i liberali che avrebbero vinto le elezioni – scrive Thréard – cercano di rafforzare innanzitutto l’identità musulmana. Non si offendano i benpensanti, ma i segnali che giungono dalla riva sud del Mediterraneo portano più le stigmate del rigore coranico che non la luce dei diritti dell’uomo.

Si dirà certo che la democrazia è il frutto di un lungo apprendistato, di una lotta ostinata. Che l’Islam finirà per adeguarsi, per ammorbidirsi come è stato il caso, nel passato, per il mondo cristiano.

[...] Per il momento, tutti i paesi che hanno cacciato i loro presidenti cercano innanzitutto di affermare l’identità musulmana. In questo modo pensano di tenere l’Occidente lontano dal loro destino.”fonte:http://www.ticinolive.ch/racola-la-satira/la-primavera-araba-rafforza-lidentita-musulmana-41211.html

Ripeterò comunque, fino allo sfinimento, che la violenza sulle donne è una realtà con cui dobbiamo fare i conti e che colpisce tutte le popolazioni, indipendentemente dalla religione.

Non esiste una via d’uscita per queste donne, non c’è possibilità di ribellione, non esiste un aiuto da parte delle autorità. Dunque questo massacro continuerà indisturbato, caratterizzato dall’uccisione di donne in nome di un Dio che certamente non annovera queste violenze tra i suoi bisogni; è ancora una volta l’uomo, tira in ballo il Divino per giustificare la presenza di un istinto sanguinario e violento che caratterizza il suo essere.

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